HOUSEPETS! LA SERIE-S.II EP.20 - LA FINE E IL NUOVO INIZIO

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valerio
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HOUSEPETS! LA SERIE-S.II EP.20 - LA FINE E IL NUOVO INIZIO

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HOUSEPETS! LA SERIE
Stagione II
Episodio 20 – La Fine e il Nuovo Inizio
Di VALERIO

Casa Arkadinoff, Babylon Gardens. 24 Dicembre.

La mano felina tigrata afferrò il bric del latte, coprendo la foto su di esso. Sotto la foto, la didascalia recitava, “Avete visto questo cane? Ricompensa a chi fornisse segnalazioni utili. Chiamare il…” Seguiva il numero di telefono (no, non quello di Dio!).
Ivan si versò un bicchiere generoso. “Papa Arseni?”
L’uomo non sollevò lo sguardo dal giornale. “Dimmi, caro.”
“Pensi che lo ritroveremo, bratishka Nikolai?”
“Sono assolutamente sicuro di sì. Saprà ritrovare la via di casa, lui è in gamba.”
“Ma perché è fuggito di casa…se tu vuoi lui bene?” Da quando era tornato dal Lucky Charm Grove, Ivan si era abbarbicato ancora più saldamente alla propria identità ‘russa’. Era in uno stato estremamente fragile, e compiacere il suo nuovo genitore era diventata una specie di sacra missione. Fargli domande era, in simili condizioni, la cosa più vicina ad un’eresia… Ma la curiosità e i gatti, si sa, tendono ad andare molto d’accordo…
“Nikolai è un cane testardo con una mente curiosa ed un cuore ribelle, proprio come il suo papa. Quando decide che casa sua gli sta stretta, corre ad esplorare il mondo. A volte sta via anche un mese, e torna in condizioni da paura, ma si riprende in fretta. È un bravo ragazzo, se lo sai prendere per il verso giusto. Spero che la tua influenza lo saprà calmare un po’. Mi dispiace che non hai potuto incontrarlo subito.”
Ivan bevve il latte. “Non importa. Sono felice che…” il gatto leonino arrossì e ridacchiò. “Sono felice che tu sia qui...Papa.”
L’uomo conosciuto come Arseni Vassilyevich Arkadinoff abbassò il giornale, rivelando un paio di occhi dalle pupille dorate chiare, profonde ed ipnotiche. “Il piacere è tutto mio, Ivan, credimi. Sono felice di avere scelto questo momento per trasferirmi qui.”
“Papa..?”
“Dimmi.”
“Perché…” Ivan deglutì. “Perché non ho mai sentito parlare di te, prima?”
L’uomo bevve un sorso di caffè. “Perché sono una gran testa dura, sono testardo, e anche quando ho ragione, i miei parenti non volevano ammetterlo. Alla fine me ne sono andato per la mia strada. Non siamo rimasti in contatto.”
In quel momento, suonò il telefono. Arseni si alzò. “Solo un attimo, caro.” Era un essere umano decisamente imponente. La camicia bianca che indossava non mostrava una piega perché gli sembrava dipinta addosso. Eppure, si muoveva con una grazia felina, e la sua profonda voce era bonaria, sempre allegra.
Ivan vide il suo nuovo genitore prendere il telefono. Il gatto era ancora scosso dalla perdita della sua ultima famiglia, causata dall’esplosione della loro auto, ma almeno, questa volta, il destino gli aveva inviato il fratello del suo Papà, e i suoi amici non lo avevano lasciato un solo momento, preoccupandosi per lui almeno quanto per lo Zio Joel. Sì, questa volta, il vecchio Ivan era stato fortunato…
Perso in quei pensieri, Ivan non vide, o almeno non riuscì a vedere l’ombra dell’umano deformarsi come se fosse stata dotata di vita propria, mentre ‘Arseni’ diceva, “Pronto?”
Ivan non vide l’ombra ghignante del grifone occupare un’intera parete.
“Sì. Certo. Sono io. E so chi siete voi. Aspettavo la vostra chiamata” E Ivan non vide il lampeggio degli occhi dell’ombra. “E so cosa farete appena questa telefonata sarà terminata. Arrivederci.”
L’’uomo’ riappese, con calma. “Hanno sbagliato numero.” Peccato avere dovuto usare un vantaggio d’immunità per una simile sciocchezza, ma se voleva che la sua parte nel nuovo round del gioco non fosse oggetto d’indebite interferenze, gli umani che potevano minacciare questo vicinato dovevano essere neutralizzati. In modo incruento, come le regole del gioco richiedevano, ma il più efficace possibile.
E Pete sapeva essere creativo…
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Uffici della Procura Distrettuale, in città

Alex Konstantin non sapeva che pesci prendere. Tutte le indagini per acchiappare i responsabili dell’attentato al Gardens Central Mall si erano scontrati contro un abisso di false piste, prestanome, e chi più ne più ne metta.
Ma doveva aspettarselo: questi erano professionisti seri, avevano calcolato meticolosamente ogni mossa, non subappaltavano i lavori a dei dilettanti, come si faceva nei telefilm polizieschi. E dopo tutti questi giorni, ormai, le poche piste erano sempre più fredde. E non aiutava che le stesse vittime avevano fatto del loro meglio per coprire quanto più possibile delle proprie identità. C’era voluta l’apparizione di questo misterioso Arseni Arkadinoff per scoprire il loro cognome…sempre che fosse vero, naturalmente. I documenti dicevano di sì, ma anche quelli erano falsificabili, giusto?
Alex affondò la faccia nelle carte che riempivano la sua scrivania. La cosa più seccante era che aveva promesso a Martin Foster che avrebbe fatto del suo meglio per proteggerlo contro le potenziali minacce mafiose. La verità era che non aveva un’idea di dove andare a parare—
Bussarono alla porta. Senza sollevare la faccia dagli incartamenti, col tono di un condannato al patibolo, Alex disse, “Avanti.”
L’uomo entrò nella stanza, e si chiuse la porta alle spalle. “Lei è il Procuratore Distrettuale, giusto?”
Alex, che si era aspettato di vedere la sua segretaria o il suo vice, o persino un animale spaventato in cerca di aiuto, al suono di quella voce sconosciuta, sollevò lo sguardo.
No, non conosceva quel tizio biondo, corporatura media, 1.90 di altezza, vestito casual ma elegante con abiti a tinte neutre.
“Posso fare qualcosa per lei?” chiese il Procuratore.
L’uomo prese una sedia e si mise seduto senza averne avuto il permesso. “Mi chiamo Derek Grey, e sono la persona che ha messo la bomba nell’auto dei coniugi Arkadinoff, o Ford come li conoscete voi.”
Alex era abituato ad avere a che fare con i mitomani, ce n’era sempre uno, anche quando si trattava di denunciare l’amministratore di un condominio per un servizio scadente. Ma era la prima volta che si presentava un tipo che reclamava la responsabilità per un duplice omicidio spettacolare come quello del Mall!
“Intendo dire chi mi ha mandato, e perché, confessare ogni possibile particolare che vi aiuti nelle indagini, in cambio di protezione,” disse quel tipo con tutta l’aria dispiaciuta e mesta che il Procuratore aveva visto su altri pentiti…
Gli occhi di Alex Kostantin andarono verso il calendario.
Babbo Natale esisteva.
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Casa Foster

“Lo so che non è proprio il massimo della tradizione, festeggiare la vigilia e scambiarsi i doni a mezzogiorno, ma dovremo accontentarci per questa volta,” disse Martin Foster, mentre aiutava Gavina McBride in cucina. “Aspetti di sentire le mie polpette di cavolo, e vedrà se non le metterà in qualche menu speciale alla prima occasione.”
“Ci conto. Lei è proprio un mago, ai fornelli, Martin. E’ uno yankee pieno di sorprese.”
“Lo so, non è facile essere me,” rise Martin. “E ricordi di aggiungere lo zucchero di canna, per l’impasto di quella torta.”
“Pensi piuttosto a tenere pronto quel bestione,” disse la donna, puntando con la testa verso la finestra, attraverso la quale si vedeva un grande camion bianco che sfoggiava il logo blu e oro del Lucky Charm Grove for the Abandoned and the Ferals-Special Medical Mobile Unit.
Non potendo lasciare parcheggiato l’elicottero-ambulanza in mezzo alla strada, Martin aveva fatto convertire un autoarticolato in centro medico mobile per le tre mamme animali di Babylon Gardens –il secondo traino, cioè, visto che il primo era destinato ai passeggeri. Ormai, il tempo era giunto: Mizar, anzi, la prima ad essere rimasta incinta, era in ritardo di almeno una settimana, come se i suoi due gemellini rifiutassero di uscire se non insieme agli altri sei fra cuccioli e gattini! Martin era percorso ogni giorno di quel ritardo da un’energia nervosa pazzesca, era sicuro di potere caricare una dinamo della Hoover Dam solo a furia di strisciare i piedi su un tappeto di lana. La sua smania organizzativa aveva preso il sopravvento su tutti, e nessuno osava contestarlo, anche quando aveva proposto di tenere quella breve festa a casa sua –l’unica, del resto, ad essere grande ed attrezzata abbastanza…
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Il Club del Buon Cane, il Circolo Schrodinger e la Common Life Society non erano stati da meno, in fatto di preparativi: l’intera Poe Plaza era stata di fatto requisita dagli animali per farla diventare un piccolo teatro all’aperto. La neve, caduta generosamente nei giorni scorsi, era stata spazzata via e il sale sparso senza parsimonia. Il cielo aveva regalato previsioni di tempo chiaro per quei due giorni, quindi non c’era rischio che la festa venisse rovinata. E visto che Fido, Joey, Bino e Fox erano tutti occupati altrove, Selene era stata messa al comando di tutta l’organizzazione.
La Presidentessa del Circolo non si era risparmiata. Da ventiquattro ore aveva messo al lavoro praticamente il 99% della comunità animale. I cani del Club avevano mugugnato, ma Fox, nel suo ultimo giorno di Presidente ad interim, aveva messo in chiaro come Rex e i cani Foster avrebbero trattato i dissidenti.
E così, adesso, Poe Plaza, grazie all’ennesimo contributo dell’ineffabile Zio Martin, poteva godere di tre schermi al plasma colossali collegati con la sala parto della clinica veterinaria del Charm, e di un palco dal quale le note di Fiddler e Keys avrebbero salutato i lieti eventi. L’eccitazione era alle stelle, e gli animali tutti si stavano radunando come raramente si era visto. In effetti, quella era la prima festa collettiva, nel senso stretto del termine, dopo il primo party di inaugurazione di Villa Foster...
“Scusate, e voi che pensate di fare?” disse qualcuno. Selene, che a dispetto delle grandi attività era ancora piena di energia, si avvicinò al punto in cui la folla si stava dividendo in due –non proprio per rispetto, quanto forse per timore di essere contaminati dalla processione di animali del vicino bosco. Due cervi, tre uccellini, una coppia di scoiattoli, tre volpi, una puzzola(!), e soprattutto due cuccioli di procione tenuti per mano dal coniglio in testa a quello strano corteo.
“Zachary Arbelt,” disse Selene, indecisa se essere sorpresa o indignata. “Non mi ricordavo che questa fosse una festa per ferali!”
Zach lasciò le manine dei piccoli procioni, e, le mani fisse ai fianchi, squadrò la gatta dritto negli occhi. E francamente, in quella che si annunciava come una notte molto speciale, non fu da meno vedere il timido coniglio tirare fuori la grinta! Qualcuno pensò che, forse, vivere con Tiger gli aveva fatto bene al carattere, alla fine...
“Mia cara,” disse Zach, “questi signori sono miei amici e per estensione invitati. E se non ti piace, parlane con tutti noi.”
Selene seguì gli occhi gialli del coniglio e si voltò...trovandosi a fissare gli sguardi severi di Tiger e Marvin.
“E lui è con noi,” disse Tiger, mostrando quella sua espressione da ‘Ucciderò-te-e-tutta-la-tua-famiglia’.
“Problemi?” Chiosò il gatto Marvin.
“Non da parte mia,” disse l’ariete nero, Orion, il più recente nuovo acquisto del vicinato, seguito dal suo immancabile amico ed angelo custode, il cane pastore australiano Dell. L’ariete si rivolse ai cervi. “Era l’ora di incontrare qualche collega ungulato. Molto piacere.”
“Piacere mio, amico del Mastro di Porta,” disse il cervo, guadagnandosi due occhiate molto incuriosite.
Zach si batté il palmo contro la faccia. Sigh!
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Lucky Charm Grove for the Abandoned and the Ferals

Padre Ghetti era già pronto ed in attesa presso la cappella del rifugio. Del resto, il buon parroco dell’Ordine di Sant’Antonio Abate era non meno eccitato di Martin: era davvero tanto che non c’erano così tante nascite in un colpo solo nella comunità animale. Soprattutto, non era ancora capitato che tutti i cuccioli ed i gattini sarebbero rimasti insieme alle loro famiglie! Il prete aveva fatto scorta di acquasanta e caffeina. I suoi chierichetti avevano l’ordine di svegliarlo a bastonate se fosse stato necessario!
Per ora, se ne stava in ginocchio davanti alla statua del Santo Protettore degli Animali Domestici, a pregare che tutto andasse per il verso giusto, dopo i tanti problemi e tragedie delle settimane scorse…
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Keith Greyfield e il lupo Light erano in fibrillazione totale. Le misure di sicurezza erano state moltiplicate all’inverosimile per gli ospiti d’onore. L’intera clinica veterinaria era stata ripassata al pettine e i team umani/canini avevano ordine di non fare passare neppure i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse se questi non avevano un’autorizzazione di Foster in persona!
Solo un individuo al mondo poteva permettersi di avvicinarsi indisturbato al rifugio e dire ad un’esterrefatta guardia, “Giovanotto! Ho sistemato bulletti più grossi di te quando tu portavi i pannolini e pensavi che il mondo iniziasse e finisse nella tua culla! Quindi ti do un consiglio, fammi passare con le buone adesso oppure—“
Keith avrebbe riconosciuto ovunque quella voce che echeggiava per tutto il rifugio con la potenza di uno spirito vendicativo. “Miss Sunman! È bello rivederla!”
Evelyn Sunman sembrò sollevata dalla vista del capo della sicurezza. “Finalmente! Keith, sei la prima persona ragionevole che vedo in questa gabbia di matti! Vuoi spiegarlo tu a questo moccioso che io conosco Grape Jelly Sandwich da quando era un’ospite al vecchio rifugio, e che ho il diritto sacrosanto di essere presente nel suo giorno più bello??”
Keith appoggiò una mano alla spalla della guardia. “Lei è a posto, Rich. Sei fortunato: ancora un minuto, e avresti assaggiato la sua bacchetta. È peggio di una WMD.”
La guardia e il cane si irrigidirono sull’attenti. “Molto bene, signore! Può passare…err, madame.”
Keith lanciò un’occhiata al bambino e al doberman che si tenevano a rispettosa distanza dietro Evelyn. “Ma tu guardali! Terry! Bouncer! Eravate dei tali scriccioli, quando siete venuti qui.”
“Parla per te, ometto,” sbuffò il cane muscoloso.
“E tu sei diventato anche loquace, Bouncer. Un bel miglioramento. Miss Sunman, Evelyn, ha fatto un bel lavoro con loro, davvero. Complimenti!”
La proprietaria della Fattoria Sunman annuì. “Faccio il possibile. E loro sono dei veri angeli. Allora, mi fai vedere dove la mia gatta preferita andrà a scodellare questa nidiata?” Mostrò una fotocamera digitale rossa. “Ho appena imparato a usare questa diavoleria, e voglio consumarla per bene.”
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C’era un vantaggio, nel fatto che il trasloco nella ricostruita Villa Foster fosse imminente: Martin aveva potuto liberare gran parte della casa dai mobili, e guadagnare spazio. Il salotto era pieno di regali di ogni forma e dimensione, ma su tutti uno in particolare troneggiava: una scatola di un metro di altezza per un metro per un metro e mezzo di lunghezza, avvolta da una splendida carta lucida blu con un motivo a stelle e un nastro d’oro.
Grape Jelly riconobbe il tocco di Mamma, in quella confezione. Solo lei, in famiglia, sapeva incartare così bene… Ma quello che alla gatta lavanda più importava, era sapere da chi veniva quel regalo.
Procedendo a quattro zampe, perché ormai già da tempo non poteva stare sui due piedi, Grape camminò intorno a quella scatola facendo tanto d’occhi. “Peanut… È questo il famoso ‘progetto’ misterioso su cui hai tanto lavorato in queste settimane?”
Peanut annuì. “Sì.” Poi la sua voce si tinse di preoccupazione. “Non ti piace?” Joel lo aveva visto, non era ancora finito, e se poi aveva spifferato tutto a Grape? Chissà che impressione poteva essersi fatta...
Grape gli si accostò e si strofinò amorevolmente contro la sua pancia. “Sciocchino Nutty: devo ancora aprirlo. È solo che…” tornò a guardare la scatola. “Wow. Qualunque cosa sia, deve essere davvero una gran cosa. Io, invece, ti ho dato così poco, in cambio…”
Peanut le accarezzò la gola e le diede un bacio sulla testa, fra le orecchie. “Nah, qualunque cosa sia, sono sicuro che sarà molto più extrasupermegabella del mio regalo. Tu li hai sempre scelti bene, Jellybelly.”
La gatta arrossì. “Heh, sei sempre così dolce, non so come faccio a meritarti… Su, vieni. Non posso alzarmi, e non posso prendertelo con i denti. Quella è una cosa che fate voi botoli col bastone, non noi felini.”
Ridacchiando, Peanut seguì la sua sposa fino al mucchio ordinato di pacchi e pacchetti. Grape prese un pacco rettangolare con la carta dei colori della pelliccia di Peanut, avvolto da un nastro viola e bianco. “Ecco qua. Scusa se non c’è il biglietto, ma credo che non potrebbe dirti di più di quello che già provo per te. Ti amo.” E si allungò a dargli un bacio sulla guancia.
Peanut fece una smorfietta felice. Poi la sua attenzione fu tutta canalizzata sul pacchetto. Lacerò nastro e carta con pochi colpi frenetici, e quando ebbe rivelato cos’era… “Ohh!”
Un volume perfettamente, professionalmente rilegato, dalla copertina viola rigida di pelle, come quella di un libro antico, e il titolo vergato in oro,

LA FRECCIA DEL DESTINO
Un racconto delle Pridelands
Di Grape Jelly Sandwich


“La tua fan fiction…” Peanut era sul punto di scoppiare a piangere. Scuoteva la testa, incredulo. “Quella che iniziasti a scrivere quando andammo da Zio Reuben, la prima volta.”
Grape annuì. “Sfoglialo.”
Peanut aprì piano il volume, come se temesse di romperlo. Sulla raffinata carta color avorio della prima pagina c’era scritto,

Al mio più devoto e paziente fan, sposo fedele, unico amore della mia vita.
Con sincera gratitudine e certezza di tanti anni a venire insieme.
G.J.S.


Peanut non trattenne le lacrime, mentre apriva il volume, andando direttamente al primo capitolo. Ed eccolo lì, l’unico passo che avesse letto e ancora ricordasse…

Her name was Gapre. All at once, when Petir's eyes met hers, it was like an arrow shot in the air, and when the arrow landed in the depths of his heart, he was hers fully…

Peanut chiuse il libro. Si chino in avanti e diede un profondo e lungo bacio alla sua gatta. “Grazie, davvero. Io…non so che dire, è…bellissimo! Sono io a non meritarti… Piuttosto,” e all’improvviso la sua espressione si fece incuriosita… “Era per questo che Joey ha potuto leggerla per primo, giusto?”
Grape annuì. “Qualcuno doveva pur recensirla, ed aiutarmi con le correzioni. E l’unico fan canino delle Pridelands che potesse condividere il tuo punto di vista era lui. E poi conosce un buon tipografo, non credi? La sua parte nel regalo è stato questo confezionamento.”
Peanut strinse il libro al petto come fosse stato – e lo era! – il più prezioso dei tesori. “Dovrò fargliene uno altrettanto speciale per il suo compleanno!”
“Ti credo. E, peanut...per favore, prova a leggerlo piano, questo. Vorrei che te lo godessi, non che lo finissi e basta come uno dei libri che razzi alla biblioteca.”
Non sembrava, tuttavia, necessario sottolinearlo: il cane quasi aveva paura di aprirlo... “Ed ora tocca al mio regalo!” disse all’improvviso, tornando a quel familiare entusiasmo da cucciolone.

“Tieni l’orecchio lontano da quella porta, giovanotto,” disse Budweiser. Un attimo dopo, il padre biologico di Peanut tirò Maxwell per il collare.
“Erk!” fece il gatto nero, per poi massaggiarsi la parte offesa. “Non c’è da essere così rudi, mister! Non si può essere curiosi? Ci sono anche i miei figli, là dentro.”
Bud gli lanciò una delle sue collaudate occhiatacce di avvertimento. Pensionato o no, sapeva ancora come mettere in riga i testoni. “Giovanotto, ricordi cosa ho detto sulla santità del matrimonio del mio ragazzo? Questo è il loro momento di intimità, forse l’ultimo prima che finiscano per un bel pezzo al centro dell’attenzione generale, e sono pronto a seppellirti se lo rovini con i tuoi piagnistei da primadonna, caro il mio donatore.”
Max lanciò una disperata occhiata d’aiuto agli altri animali presenti, ma non trovò difesa in Sasha, Fido, Bino, Joey, Blanche Bigglesworth, Alcor, Mizar, il Sergente Ralph e Kevin, Antares, Aldebaran, Caelia, Lucky, Felix, Sabrina e la sua sorella, Neredia (o Jinx come la chiamavano ormai un po’ tutti quelli che l’avevano incontrata, chissà perché).
Max sbuffò e rimase seduto dov’era, incrociando le braccia al petto e sbuffando. “Giuda. Tutti quanti.”

A differenza di Peanut, Grape odiava fare scempio della carta. Le piaceva l’idea di conservarla e riutilizzarla per abbellire le cose o rifare dei regali… Anche se stavolta aveva dovuto davvero trattenersi per non fare a pezzi l’involucro.
Ma questa volta, ad aprire tutto doveva essere Peanut. E lui, in segno di rispetto, non sciupò nemmeno un lembo .
La scatola sotto l’involucro era di legno, leggera ma robusta.
“Peanut,” disse Grape, osservando il pannello laterale. Il cane le aveva detto che sarebbe bastato togliere quel perno di metallo per fare cadere il pannello e rivelare la sorpresa. “Peanut, dimmi che non è uno di quegli stupidi regali a Matrioska. Perché se finisci col donarmi qualcosa grande come una bomboniera, ti ci infilo dentro.”
Peanut scosse la testa. Sorrideva tutto orgoglioso. “Hm-m, no! Vedrai. Su, forza! Aprilo!”
Grape lo fece…

Dall’altra stanza si udì il suono di qualcosa di pesante che cadeva a terra, poi il silenzio. Dopo dieci, interminabili secondi, Grape urlò “O. Mio. DIO!”

Aveva ben ragione di essere eccitata.
Sorpresa, senza ombra di dubbio.
Peanut non era certo un fior di artista, anche se le piacevano davvero le sue storie di Spot (Supercane). Era uno che andava nel panico se alla fine del suo fumetto scopriva che gli era avanzata della carta.
Peanut scultore, da sola, sarebbe stata una novità esaltante.
Uno scultore con un simile talento, era semplicemente roba dell’altro mondo.
Questa è ispirazione divina, signori! Come avrebbe detto Tom Hanks in ‘Apollo 13’.
Grape osservò il diorama fatto col DAS, scolpito e dipinto fino all’ultimo dettaglio, della fattoria di Zio Reuben. C’era tutto, inclusi gli animali, incluso Made of Win, incluso…Rufus, che vegliava sui polli, le gatte nel fienile…
E sul tetto del fienile…
Grape si sentì colma di una commozione immensa, alla vista delle due figurine sedute sul tetto rosso, che si stringevano in un amorevole bacio.
Grape tese un artiglio verso la riproduzione così fedele di lei e Peanut, di quell’indimenticabile primo momento che aveva cambiato per sempre le loro vite per il meglio…
L’artiglio sfiorò la statuina di lei, e lei lo udì. *clink!* fecero le minuscole medagliette, sfiorandosi, proprio come quelle vere, quella volta. La memoria di Grape tornò a riempirsi di quelle sensazioni, del calore del suo dolce cane mentre la stringeva in quella notte d’estate. L’odore della sua pelliccia. La forza e la delicatezza insieme con cui la teneva a sé… “Peanut…” Grape era senza fiato. “Come hai fatto..?” Spostava continuamente lo sguardo da lui al diorama e di nuovo a lui. “Come ci sei riuscito? È…è…”
Peanut si mise a quattro zampe a sua volta, e si strofinò contro di lei. “Non lo so. So solo che ad un certo punto, mentre pensavo a cosa regalarti per Natale, mi è venuto in mente questo, e…l’ho fatto e basta. Non ci ho pensato davvero, ho solo…realizzato quello che vedevo, cioè, quello che ricordavo.”
Osservando quel modellino, a Grape sembrava davvero di potere sentire il rumore del trattore di Zio Reuben che passava per i campi, l’abbaiare di Rufus, Zia Kate che diceva ai figli di smetterla di spaventare le galline…
E loro due. Quel terribile litigio, perché Peanut era convinto di averla persa, era pronto ad andarsene dalla sua vita per rispettare i suoi sentimenti, credendo che lei avesse dato il suo cuore a Max, invece che a lui…
E quel primo, tenerissimo bacio…
“Sono ricordi bellissimi, Peanut. Dovremo trovare un posto adatto, a casa, ed essere sicuri che i nostri piccoli vedano questa meraviglia, e sappiano quanto papà e mamma si volevano bene. Grazie, amore.”
Peanut stava per rispondere, quando entrambi sobbalzarono nel sentire dire, alle loro spalle, “DDAAAWWWW!!!!”
Per un attimo, Grape pensò davvero di essere stata teleportata indietro nello spazio e nel tempo a quel fatale momento, quando tre certe persone si erano messe di mezzo come altrettante comari intriganti!
E invece, erano in casa. E guardavano la coppia felice sporgendosi con le sole teste attraverso le porte scorrevoli.
“Mary Ellen!” disse Peanut, tutto contento. “Clarabelle! Betty Lou!”
Le tre gatte di Zio Reuben aprirono del tutto le porte ed entrarono. “Ma tu guarda che roba!” disse Mary Ellen, fissando ammirata la pancia di Grape. “Oggi si fa il pieno di dolcezza! Tu, i piccoli, lui, e questo modellino! Peanut, davvero!” La gatta diede un bacio sul muso del cane, che arrossì violentemente. “Sei stato bravissimo! Ci si potrebbe dormire, in quel fienile!”
“Certo che dovresti dimagrire parecchio,” disse Betty Lou. “Wow, sembra uscito da una foto, ragazzo di città. E comunque, cugina, lascia che da mamma ti dica che sei scandalosamente fortunata. Cinque! Io ne ho sfornati quattro, una volta sola. Sly è l’unico che è rimasto, e tu invece te li tieni tutti sotto lo stesso tetto!”
Le tre gatte si raccolsero intorno a Grape, circondandola di attenzioni e di fusa.
“Ciao, zio Peanut!” e così dicendo, un piccolo missile terra-terra arrivò addosso al cane. Peanut riuscì miracolosamente a non farsi buttare addosso al diorama!
“Ciao anche a te Awesome,” disse Peanut, tenendo sotto le braccia l’energico cucciolo. “Stai diventando sempre più grande, lo sai?”
*giggle* “Me lo dicono tutti!” Poi Peanut lo mise a terra, e Awesome si avvicinò a Grape. Aveva gli occhioni sgranati, mentre le accarezzava i fianchi. “Ohh, li sento muoversi. Sei proprio bella, Zia Grape.”
La gatta strofinò il muso contro quello del cucciolo. “E tu sei un tale tesoro, piccolo.”
“Voglio essere un papà forte come Peanut!” esclamò lui all’improvviso.
A quel punto, il ‘momento di intimità’ come lo aveva chiamato Bud, era passato, e la folla di amici ed ammiratori si riversò nella stanza.
Uno in particolare si posò sulla testa di Grape. “Ehilà, fiore di campo!”
“Nevermore,” sbottò Grape. “Che piacere rivederti, il meno possibile.”
Il corvo volò da lei sulla testa di Peanut. “Never puoi chiamarmi, dolcezza…e poi ricordati che mi devi ancora una vita, ingrata felina.” Le fece la linguaccia. A suo merito, c’era da dire che aveva ragione: non avesse avvertito lui Lucky e Felix, quella volta, tre certi cagnacci avrebbero potuto seriamente mettere in pericolo i suoi gattini non nati…

“Sono dentro?”
“Tutti quanti, capo,” disse il molossoide meticcio che rispondeva al nome di Diego. “Facciamo in un attimo, non se ne accorgeranno nemmeno.”
Per quanto fossero grossi, i tre cani sapevano muoversi con una certa…felinità. Vivendo come guardiani di discarica da una vita, Fredd, Diego e Armando avevano visto andare e venire centinaia di ragazzotti in cerca di pezzi di ricambio delle loro macchine. Nei tanti giorni di noia, i cani avevano studiato con attenzione quei mocciosi glabri smontare macchine e sventrarle in caccia di un carburatore, di una coppa dell’olio, cerchioni…
E Fredd non aveva mai smesso di essere affascinato dall’idea che bastasse un buchetto nella coppa dell’olio dei freni per causare un incidente. Un motore poteva funzionare come il più perfetto e indistruttibile meccanismo, ma quella piccola emorragia poteva segnare il destino di un’auto e dei suoi abitanti…
E Fredd, che qualche tempo fa aveva subito l’umiliazione suprema di averle prese da un gatto, aveva tutta l’intenzione di dare il suo contributo vendicativo a quel bel quadretto familiare… E poi, non era cattiveria, la sua. Era solo un modo per ricordare a quel buffone di Max e ai suoi amichetti che il karma non andava sottovalutato…
“Allora,” bisbigliò Fredd al suo sottoposto. Ormai doveva avere finito, e ad ogni minuto che passavano, gli umani nel camion rischiavano di scoprirli! “Che stai aspettando, Diego?!”
“Uh, capo?” Armando picchiettò la spalla del suo capobranco. Il suo bisbiglio suonava stranamente allarmato.
“Che c’è?!” Fredd si voltò di scatto, snudando i denti. “Non ho tempo per… Oh.”
Quel giorno in cui aveva per caso incontrato di nuovo Max, il gatto a cui aveva tolto un pezzo d’orecchio, Fredd le aveva prese da quel suo amico, Felix (altro nome da aggiungere alla lista nera), che gli aveva lasciato un bel graffio che gli attraversava ancora il corpo come il segno di una cintura di sicurezza.
Poi era stato il turno di quei due ENORMI cani di quel tizio, Foster. Erano venuti alla discarica ed era stato subito concerto per percussioni & ossa rotte in ululati di do(lore) maggiore. Ecco, era soprattutto a causa di quei bestioni, Antares e Aldebaran, che oggi Fredd e i suoi accoliti preferivano fare le cose in camuffa. Quel Max e la sua compagna avevano fin troppi amici tosti per sfidarli apertamente…
Non aveva immaginato che in quel novero potessero essere compresi tre muscolosi, ringhianti e molto, molto arrabbiati lupi. La femmina del branco stava reggendo Diego per la collottola, e aveva gli occhi di fuoco. I due maschi torreggiavano su Fredd e Armando proprio come i due cani giganti prima della batosta. E le loro zanne snudate promettevano morte!
Fredd colse un movimento dalla finestra di casa Foster. E vide quel Max sporgersi fuori, i gomiti appoggiati al cornicione, e una tazza di (‘non posso credere che non è’)cioccolata in una mano, mentre con l’altra salutava la sua vecchia nemesi. Il gatto aveva un’espressione buffa, con gli occhi socchiusi e la punta della lingua di fuori.
Fredd tornò a rivolgersi a Miles con un pietoso sorriso e le dita aperte a ‘V’. “Pace e amore..?”

Max chiuse la finestra. Bevve un lungo sorso della sua bevanda, mentre l’aria si riempiva del pestaggio più sonoro che mai quei figli selvaggi di madre natura avessero inflitto a qualcuno!
“Ringrazia tuo padre da parte mia per questo bel regalo, Caelia,” disse il gatto, toccando il pugno con la figlia di Daryl. “A quando il matrimonio con Antares?”
“Dopo che tutti i piccoli saranno nelle loro case e la famiglia Foster nella nuova Villa. Per questo ho deciso di sposarlo, quel cucciolone così carino: lui non lascerà mai la famiglia, adesso che ci sono i cuccioli da difendere, e io non voglio lasciare lui.”
Max bevve un altro sorso. “Tuo padre non l’ha presa bene, mi pare.” Da un po’ di tempo, era quasi pericoloso rivolgere la parola a Daryl…
Caelia fece spallucce. “Be’, dovrà, quando toccherà a me mostrargli una bella nidiata.”
Max si strozzò con la sua bevanda. Stava immaginando quel gigante buono di Antares e il suo Papà che gli faceva ‘il discorso’. E la cosa lo spinse a scoppiare a ridere di gusto.

Il pranzo consisteva di un unico buffet in piedi (mamme escluse), e dopo i saluti di rito, i capannelli per le chiacchiere si erano più o meno consolidati.
“…E così, quella vecchia pazza ha lasciato un branco di lupi di guardia alla fattoria, Earl!” Reuben divorò con rabbia un trancio di pizza. “Quel Foster causa guai persino per procura!”
“Reuben…” tentò invano di ammonirlo la moglie, bonariamente. Da quando quella Evelyn Sunman era arrivata a Luton County, la gente aveva smesso di annoiarsi!
Earl Sandwich, seduto su un divano a fianco della moglie, scosse la testa. “Andiamo, ‘Ben. Miss Sunman è una cresciuta alla vecchia scuola. Può essere un po’…eccentrica, ma datele respiro! Se qualcuno venisse a dirti come comportarti in casa tua, non gli diresti che è un impiccione che dovrebbe farsi gli affari suoi?”
Reuben sbuffò e scosse la testa. “Già, ma che lo dico a fare a voi animalisti del piffero?!”
Kate si frappose rapidamente fra i due fratelli. Batté una mano sulla spalla del marito. “Dice così, ma ogni domenica manda a quella cara miss Sunman le migliori uova e carne secca per ringraziarla: i suoi lupi tengono a bada ogni possibile ferale, tassi inclusi.”
Reuben mugugnò qualcosa, ma ebbe almeno la decenza di arrossire, mentre gli altri due coniugi Sandwich ridacchiavano –poi, il verso di Jane divenne un breve gemito, che lei soffocò rapidamente, mordendosi il labbro inferiore. Per fortuna, nella confusione della festa, nessun altro tranne loro quattro se ne accorsero.
Earl diede un bacio alla guancia della moglie. “Tutto bene, cara?”
Lei annuì. “Sembra che anche Billy the Kid si stia stancando di vitto e alloggio gratis, alla fine.” Anche Jane Sandwich era in ritardo sulla tabella. Il ginecologo non sapeva spiegarselo, visto che non c’erano problemi di sorta. Alla fine, si era rifugiato dietro una frase di circostanza: era la prima volta, capitava, e l’importante era che il bambino e la signora stessero bene...
Earl e Jane, a quel punto, si erano guardati, ed avevano capito: quel bricconcello era determinato a nascere insieme ai gattini!
“Così, sapete già il sesso?” fece Kate. “Che cari... Ma si chiamerà davvero ‘Billy the Kid’?”
“Oh, no,” disse Earl. “E’ un nomignolo, visti i trascorsi di Jane—“ il resto della frase si perse in un buffo verso strozzato, quando lei gli appioppò una gomitata nello sterno. “Amore,” disse lei, mostrando un ghigno pericoloso, cantilenando come il clown di IT, “non costringermi a romperti quelle costole appena guarite. E tu, Reuben, meglio che non gli chiedi dettagli o non farai più figli...”

“Mamma!” disse il maggiore dei ragazzi Sandwich. “Vieni, mamma!” Indicava freneticamente la tavola. “Ci sono due topi che stanno mangiando, sulla nostra tavola!”
Mary Ellen, Clarabelle, Betty Lou e Sly deglutirono all’unisono. “E’ arrivato il dolce!” disse la gatta grigia scura, mentre tutte si precipitarono verso la tavola.
“L’ho sentito prima io!” disse Clarabelle...
Invece, tutti e quattro si scontrarono contro la barriera vivente formata da Antares e Aldebaran.
“Non che mi dispiaccia incontrarvi così, tesoroni,” disse Mary Ellen, massaggiandosi la testa dolorante. “Ma perché vi comportate così?”
Muovendosi come sempre come specchi l’uno dell’altro, i due cani indicarono col pollice Fido e Joey che andavano felici alla tavola a...salutare le due creaturine.
“SPO!” esclamò Fido, imitato con lo stesso tono felice dal fratello che disse, “SQUEAK!”
I due topi smisero di mangiare il panino al prosciutto col quale avrebbero potuto saziarsi per giorni, e i loro occhietti si fecero enormi.
“Yay!” esclamò Spo, mettendosi poi a correre verso il cane, che già gli stava offrendo la mano tesa. Saltò sulla mano e da lì, come uno scoiattolo, corse lungo il braccio, da lì alla spalla e infine sulla testa, dove si adagiò nel ciuffo di pelliccia come un uccellino nel nido. “Hmm, come mi era mancato tutto questo! Sono proprio felice di rivederti, vecchio segugio! Come stai? Sempre a far strage di cuori, immagino! Hai continuato a fare i provini su Tommy Lee Jones come ti avevo detto?”
Fido aveva gli occhi lucidi. Accarezzò il topolino, affondandolo ulteriormente fra le proprie orecchie. “E tu sei mancato tantissimo a me. Come ti trovi, gran capo della Libera Repubblica dei Topi?”
“Malissimo! Mrr, dietro il collo con quell’unghia, grazie... Non faccio altro che tenere a bada le teste calde, razionare il cibo, sistemare a cazzotti i prendenti al trono...”
“E piantala!” fece Squeak, seduta sulla spalla di Joey, mentre anche lui l’accarezzava dietro la schiena. “Non fa altro che comportarsi come un sorcio nel formaggio, con tutti gli scarti del rifugio che Zio Martin ci lascia! Stiamo diventando tutti grassi. Anch’io...” si lamentò, toccandosi la pancetta. “Oh, Joey, penserai che mi sto trasformando in un bombolone!”
Joey le diede un bacetto sulla guancia. “Nah, sei sempre la topolina più carina che ci sia, piccola. Sono tanto contento di rivederti.” Poi il giovane cane si voltò verso la siamese che, invece, fissava Squeak in modo...inquietante. “Blanche,” disse Joey con tono chiaramente di avvertimento. “Questa è Squeak, la mia migliore amica. Squeak, Blanche Bigglesworth, la mia ragazza.”
“Eee, congratulazioni!” Squittì la topolina, tendendo la zampina, dimenticando per ora di essere un potenziale pasto. “Molto felice! Aw, cosa avrei dato per incontrarti al tuo primo appuntamento, fortunata gatta!”
La siamese allungò un dito. “Be’, penso proprio di esserlo… Joey mi aveva parlato di te, ma pensavo che scherzasse.”
“Il guaio è che non scherza mai. Non credo che abbia un senso dell’umorismo, certe volte. Sono gli altri a non credergli; però rimane un cane meraviglioso.”
“Su questo siamo d’accordo. Perciò non ti mangerò, parola...” Blanche si accarezzò il mento, “Anche se devi pur sempre stare attenta ai miei nove coinquilini, se venissi a farci visita...”
Squeak si nascose dietro la testa del suo amico.

“Io dico che nasce prima il mio!” disse Bino, e sventolò una banconota da dieci dollari. “E sarà anche più bello dei vostri!”
“Quello lo dicono tutti i genitori,” disse Peanut, sventolando i propri soldi. “Quindi non vale. Nascono prima i miei.”
“I nostri,” lo corresse Max, mettendoci la sua quota.
“I nostri!” intervennero Ralph e Alcor, mettendoci venti dollari a testa.
Bino aumentò la propria quota per pareggiare gli altri. Tutto quello che aveva risparmiato stando all’Accademia..! “Vedo, sbruffoni! Il suo primo uggiolio vi metterà in riga.”
“Come se fosse qualcosa di brutto,” disse Mizar, scuotendo la testa. “Maschi! Se non litigate su qualcosa, scommettete.”
Bino le fece la linguaccia. “E’ che non sai perdere. Quei soldi sono già mie—“ in quel momento, un pezzo di intonaco cadde dal soffitto e colpì il cranio di Bino con chirurgica precisione!
“Oh, tesoro!” fece Sasha, chinandosi su di lui, ma fu Fido a tirarlo su.
Martin era pallidissimo. Per quanto Bino sapesse essere un gran seccatore, l’uomo non gli avrebbe mai augurato un simile incidente. “Mi dispiace moltissimo, Bino, davvero! Questa casa è solidissima, non so proprio come sia potuto succedere…”
“Mammina,” stava dicendo il povero cane, con un’espressione ebete, “andiamo ancora a cavallo della stella cometa, shiiiihh…”

Sabrina bevve un sorso di tè alla pesca, cercando di non fare caso che era del tipo in polvere. “Questa potevi risparmiartela, sorellina,” disse alla gatta bianca in finto rimprovero. In fondo, Bino aveva accumulato parecchio cattivo Karma.
Jinx, sordomuta dalla nascita, che solo da poco stava imparando attraverso il labiale, fece spallucce, come a dire ‘una volta sola, dai’ e guardandola con tutta l’innocenza possibile in quei suoi occhi innaturalmente e completamente blu notte.
Sabrina sospirò. <Spirito Dragone,> comunicò mentalmente. <sarà meglio che tieni lontana mia sorella dai tuoi intrighi.>
<Mi offendi,> disse la creatura smeraldina, apparendo nel tè. <Dopo il mio terribile errore di giudizio con Tarot, non ho alcuna intenzione di causare altri problemi alle vostre esistenze.>
<Non ora che Pete è in vantaggio, eh?> fece Sabrina, desiderando stringere il bicchiere e spazzare via quella creatura almeno in effige. Povera Tarot, lei che aveva davvero creduto che quel ‘Grande Spirito’ fosse davvero interessato ad aiutarla… Che razza di ‘implicita benevolenza’ poteva avere un gioco cosmico che usava le vite delle persone come mere pedine?
<Non è il momento adatto per parlarne, mio avatar,> disse il Dragone con una voce profonda come il cosmo stesso. <Oggi dev’essere un giorno di gioia, non di rancori. A presto.> Poi l’immagine si dissolse in un ultimo incresparsi del liquido.

Martin passò l’impacco freddo 3M a Bino, che non risparmiò all’umano un’occhiataccia mentre si appoggiava l’oggetto sul bernoccolo.
Martin pensò che forse era colpa sua, in un certo senso. Il soffitto doveva essere stato indebolito da tutti i rituali di sveglia mattutina di Antares e Aldebaran. L’uomo scherzava solo fino a un certo punto, chiamandoli ‘terremoti’…
L’uomo andò in cucina. Doveva preparare qualcosa da mangiare, tenersi occupato in qualche modo, a costo di mettere tutti all’ingrasso come—
Il cellulare nella sua tasca squillò. Martin si mise rapidamente il ricevitore bluetooth all’orecchio. “Foster,” disse, sperando che non ci fossero problemi… “Oh, Kostya. Piacere di sentirla; ci sono novità nelle indagini? Cosa? La sento male, è in strada? Il notiziario? Un attimo.” Andò al piccolo schermo che stava sul banco da lavoro e lo accese su KPET News…
“…Renata Fayre. E’ di questi minuti la notizia di uno degli arresti più clamorosi nell’ambito delle indagini sul recente attentato al Gardens Central Mall,” stava dicendo una cocker spaniel dalle orecchie nere, davanti ad un edificio in una strada centralissima. “L’intera famiglia Antonov è stata arrestata su mandato della Procura, dopo le rivelazioni di un pentito…”
Martin osservò la processione dei prigionieri mentre venivano caricati su un cellulare sotto un plotone di poliziotti armati di tutto punto. “Per la miseria,” gli scappò in un mormorio. “Kostya, mi ricordi di mandarle il più -censura- grosso cesto di frutta che la fantasia umana possa concepire. E si ricordi che le devo anche da bere. Ci sentiamo, e grazie per la novità.”
Martin chiuse la linea, e si mise a sedere. Almeno, quel problema era risolto, e qualunque divinità ne fosse responsabile, la ringraziò ferventemente nei suoi pensieri. Poi prese il cellulare e compose rapidamente un nuovo numero…
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Haichicko Mercy

Il telefono della camera 207 squillò un paio di volte, prima che una mano impellicciata di grigio prendesse la cornetta per passarla al paziente.
“Grazie, Fox,” disse Joel Foster al cane sdraiato in un letto accanto al suo. “Pronto? Ehi, fratellone! Sì, stavo per chiamarti io, abbiamo visto la notizia proprio ora... Sì, ci stiamo preparando a festeggiare a modo nostro.” Allungò una mano a grattare il collo di Fox che rispose con un felice mugolio.
“Joel,” disse la voce di Martin. “Tu lo sai che ho convocato tre famiglie e organizzato la più grossa sala parto della storia della medicina veterinaria e contribuito alla seconda festa collettiva di questo vicinato su una tua precisa indicazione. Lo sai che se era uno scherzo, ti scanno, vero?”
Joel consultò l’orologio che indicava l’inesorabile countdown verso la fine della propria umanità e l’inizio della nuova vita, seppure come avatar di Pete. Un particolare ‘rito di passaggio’ che, su esplicito desiderio di Joel, come da accordi con il Grande Kitsune, doveva avvenire con la nascita degli otto piccoli. “Tranquillo, capo. Anzi, se fossi in te, li porterei adesso in ospedale. Manca ancora un po’, ma è meglio che siano pronti. L’ultima cosa che vogliamo è un incidente per la fretta, giusto?”
“Se non avessi ragione, verrei lì a prenderti a calci, prima che tu metta su la coda.”
Joel rise. “Perché dopo non oseresti toccarmi con un dito, giusto?”
“Coccole a parte, no. Quindi cerca di non darmi una ragione per farti soffrire fisicamente, prima del lieto evento. E salutami Fox.”
“Con piacere. Martin?”
“Sì?”
“Ti voglio bene. E non smetterò certo di frequentarti, con la mia nuova vita.”
“Ci conto. Grazie di tutto, Joel.”
“Grazie a te, per avere creduto in me fino alla fine.”
“Ehi, ci credo ancora, in te. Non farmi sentire come se io potessi abbandonarti...” Martin sospirò. Joel era sicuro di poterlo vedere sorridere. “Lo sai? Certe volte vorrei essere al tuo posto.”
Joel scosse la testa. “Attento a quello che desideri, fratellone, lo sai. Da queste parti ci sono orecchie pronte ad ascoltarti.”
Martin rise. “Troppo vero! A rivederci, cane.”
“Wurf!”
Quando la linea fu chiusa, Joel ridiede la cornetta a Fox. “Ah, Fox... Grazie per volere passare con me queste ultime ore. Significa molto, amico.”
L’husky gli si strinse accanto per quanto poteva, viste le condizioni del paziente di un recente intervento chirurgico. “Hai dato via la tua umanità per me, per questa nostra amicizia. Sono io che ti ringrazio, per un dono così grande. Ti voglio bene.”
“Heh. Buon Natale, per una volta tanto.”
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Martin mise il cellulare nel taschino. Aveva ancora una voglia pazza di cucinare, di fare qualcosa...
“Ah, Martin?” disse Earl, dalla soglia. Per un attimo, il padrone di casa Foster non capì come mai il suo amico avesse quel tono così allarmato.
E solo a quel punto, si accorse del silenzio innaturale che era piombato in casa. E andò nel panico. Ossignore, non dirmi ti prego che sta succedendo qualcosa di grave, nonononono!
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Re: HOUSEPETS! LA SERIE-S.II EP.20 - LA FINE E IL NUOVO INIZ

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Stanza 207, Haichiko Mercy

Il libro cadde a terra con un tonfo sordo.
“Joel!” esclamò Fox.
Due mondi si sovrapposero, davanti al fratello di Martin Foster. E uno di essi lo sopraffece con la propria intensità, fatta di odori di ospedale così amplificati da dargli la nausea, dei suoni di scarpe e di discorsi provenienti attraverso la porta chiusa, di colori…diversi, alcuni più sfocati altri più brillanti. E il lenzuolo gli faceva il solletico, cioè, faceva solletico alle migliaia di peli che coprivano il suo corpo in un manto uniforme bianco e azzurrino…e faceva così caldo
Joel rimirò le proprie zampe impellicciate, incuriosito più che spaventato dalla velocità con cui tutto stava accadendo…
Poi il mondo, cioè lui, tornò alla normalità. Joel Foster osservò Fox, che ansimava per lo spavento. “Ehi, piccolo, perché quella faccia?”
L’husky lo guardò come se fosse stato un alieno. “Joel, un secondo fa, per pochi istanti, ti eri trasformato in un cane! Non c’eri più, c’era un—“
Joel gli appoggiò una mano al muso per placarlo. “Lo so cosa è successo, amico mio.” Sorrideva, estatico. Sollevò il camice quel tanto che bastava per vedere che la cicatrice dell’operazione era scomparsa. Grazie per i piccoli favori, uccellaccio della malora.
Joel abbracciò forte il cane. “Ci siamo. Ci siamo…”
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Poe Plaza

La quiete di Babylon Gardens fu spezzata dal rombo inconfondibile di un autoarticolato.
Il suono raggiunse la piazza del quartiere di lusso, dove dozzine di paia di orecchie di ogni forma e dimensione si drizzarono come una sola, creando per un attimo una foresta di appendici auditive.
I tre televisori appesi agli alberi si accesero con un lieve ronzio. Tutti quanti mostravano il volto del Dottor Mordecai Stanwick il veterinario della clinica del Lucky Charm Grove. Il silenzio gravava come una coperta su tutti gli animali presenti.
“E’ cominciata,” disse il Dottor Stanwick, faticando a contenere l’eccitazione. “La prima ad entrare in travaglio è stata…Grape Jelly Sandwich. Le funzioni vitali sono nella norma.”
La parte felina e alcuni cani esplosero in un lungo urlo liberatorio da fare tremare i vetri delle residenze.
“Sì!!” fece Selene, pompando il braccio, la coda tutta gonfia per l’eccitazione, e con un gran ghigno soddisfatto, abbandonando ogni finzione di dignità. “Sì! Bravo Max!”
1-0 per i gatti e per i cani delle coppie miste. I soldi cominciarono a volare di mano…
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Alla stazione di polizia di Babylon Gardens, il Capo Horace Norton in persona era alla radio, e stava dicendo al microfono, “Avete tutti i semafori verdi e zero traffico fino al Lucky Charm, Foster. Cercate di non fare un casino.”
“Grazie, capo Norton. Gliene devo una.”
“Lasci stare: la comunità gliene deve una per avere sistemato quel dannato cane assassino, e lei non mi ha dato neppure la soddisfazione di meritarsi una multa da far togliere, da allora. Buona fortuna alle signore.”
“Grazie, Capo Norton. E Buon Natale anche a voi.”
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Il Dottor Stanwick ne aveva viste davvero di cotte e di crude, nella sua carriera di medico veterinario militare. C’era voluta un’esperienza di quasi morte per toglierlo dai ranghi, lui che curava animali-soldato in prima linea sotto il fuoco nemico. Far nascere dei cuccioli e dei gattini da animali sani, seppure alla loro prima esperienza, in una struttura attrezzata con ogni possibile frutto della tecnica moderna e il migliore staff che i soldi potessero comprare, doveva essere una passeggiata.
Nella sala riunioni, davanti a tre file fra assistenti ed infermieri, Stanwick passeggiava avanti e indietro come una tigre in gabbia. Si stava ripetutamente leccando il labbro superiore per il nervosismo, come se avesse voluto scarnificarlo con la lingua. Stava pensando ad una miriade di cose che potevano andare male e costargli, conseguentemente, la vita.
Mizar, Grape Jelly e Sasha erano praticamente le femmine più amate dei Gardens, delle celebrità nei cuori di tanti animali e persone…
Sono solo pazienti, sono solo pazienti, sono solo pazienti! E Foster mi strapperà il cuore pulsante e lo darà in pasto al grande Dio Anubi se succede loro qualcosa!
“Dottore?” fece un’infermiera, toccandogli la spalla.
“EEEK… Oh, è lei, signorina Mayers. La prego, qualunque cosa voglia dirmi, dopo mi porti una camomilla. Forte.”
“Uh… Dottore? Ha chiamato adesso l’Unità Medica Mobile. Ah… anche Sasha e Mizar sono entrate in travaglio.”
Fino a quel momento, Stanwick si era comportato come un principiante alla sua prima lezione di parapendio. La prima paura da superare, era quella del salto.
Adesso era ufficialmente nel vuoto. Lo scenario peggiore si era avverato, doveva gestire tre prime gravidanze, di cui una quintupla gemellare. Poteva dire che, da quando aveva lasciato l’esercito, era per quel momento che si era preparato. Sarebbe stato il suo trionfo!
Ripreso il pieno autocontrollo, Mordecai Stanwick si rivolse al suo personale. “Signori, ci siamo. Da questo momento e fino a quando non li sentiremo tutti miagolare ed uggiolare, nessuno di voi ha più una famiglia o degli amici, salvo Fine del Mondo. Kristos: tu e la tua squadra in sala parto. Voglio un triplo controllo di ogni strumento e asciugamano. Neanche un pensiero cattivo deve oltrepassare le porte, chiaro? Mayers, si assicuri che le stanze abbiano piena disponibilità per le gestanti ed i loro compagni e parenti. Al primo segno di ansia da separazione, rotoleranno delle teste!”
Uomini e donne si alzarono. “Le faccio ancora quella camomilla, Dottore?” chiese la Mayers.
Lui le scoccò un’occhiata assassina. “Caffè! Voglio che ordini tanto di quel caffè da potercelo trasfondere al posto del sangue, se necessario. E molte ciambelle. E ora, via! Ci aspetta la giornata più difficile delle nostre carriere!”
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“Temperatura stabile…”
“Buona risposta del battito fetale…”
“Pressione nella norma…”
“Nessuna perdita…”
“Peanut!”
Jane Sandwich, seduta accanto a Grape, le accarezzò piano la testa. “Grape, amore, Peanut è nell’altra sezione dell’articolato, e sarà da te appena arriveremo in camera tua, in clinica. Ssh-sh, tesoro. Lo senti cosa stanno dicendo i medici? Stai andando benissimo, va tutto bene. I piccoli stanno bene, ed è normale che tu ti senta un po’ spaventata, ma è adesso che devi tornare ad essere la mia gatta forte forte, hm?”
I pensieri di Grape, invece, erano un turbinio incontrollato. Aveva voglia di trovare un angolino dove partorire, da sola, in pace, senza tutta quella gente e quei suoni intorno. Aveva sete. Voleva Peanut, dov’era quello sciocco botolo, quando aveva bisogno di lui? “Peanut…”
“Grape,” disse la voce di Sasha. E quella, più della voce di Mamma, riuscì a fare breccia nella sua angoscia, come un raggio di sole nel mezzo di un uragano.
Grape voltò lo sguardo verso la femmina di pastore tedesco, verso quei suoi occhi caramella che non tradivano altra emozione se non un’assoluta fiducia che le cose si sarebbero messe bene.
Sasha sapeva benissimo cosa stesse succedendo, e la sua felicità per quell’evento, mentre i medici continuavano ad auscultarla e ad annotare valori, trasmise a Grape un grande senso di serenità.
I lettini della cagnetta e di Grape erano l’uno di fronte all’altro. Sasha allungò una mano a prendere quella della sua amica. “Staranno tutti bene, saranno bellissimi.” Lo disse non con la rassicurante voce di circostanza, vuote parole di conforto, ma con quella stessa certezza che la gatta le aveva visto nello sguardo il giorno in cui si erano ritrovate entrambe alla clinica per la prima ecografia.
Ora Sasha la guardava in quello stesso modo, comunicandole una condizione di fatto, come l’inevitabile sorgere del sole. “E uno di loro assomiglierà a…”

“Peanut!”
“Eh? Cosa?” Peanut guardò suo padre, Bud, ma guardò anche attraverso di lui. “Uh? Papà?” poi i suoi occhi corsero a tutti gli altri animali presenti. Ricordava remotamente che Papà e Mamma e gli altri umani seguivano sulle loro auto, formando una specie di convoglio…
Peanut non smise di fissare la parete posteriore del camion come se fosse stata fatta di vetro, immaginando ogni doloroso momento della sua povera gatta, che doveva stare separata da lui…

Max, seduto accanto a Peanut, capì, da quando quell’ultima prova era iniziata, che le sue ultime speranze di essere più che ‘migliore amico’ di Grape, erano ormai definitivamente tramontate. Si vergognava ad ammetterlo persino con se stesso, ma nella concitazione a cui era seguita la rottura delle acque, lui aveva dato un’occhiata alla dedica sul libro che Grape aveva regalato a Peanut, e soprattutto aveva visto il dono di lui a lei.
Quelli non erano semplici oggetti originali, erano pegni di due anime profondamente unite, cose che li avrebbero accompagnati verso la vecchiaia… Certo, Max aveva dato loro i gattini, e per questo Grape gli sarebbe stata riconoscente per sempre…
Ma ‘unico amore della mia vita’, quello no. E meno che mai, ‘papà’ …
Una mano gli si posò sulla spalla.
“Per quanto sia doloroso non potere stare con lei,” gli disse Ralph, fissandolo con quei suoi profondi occhi grigi, “Sai di esserti lasciato dietro qualcosa che è solo tuo. Sii fiero di questo.”
Maxwell annuì debolmente. “Non si può avere tutto, immagino.”

“Mi dispiace, Fido, mi dispiace tanto!” Bino non faceva che uggiolare fra le braccia del fratello, da quando era iniziato il travaglio di Sasha. “Ho pensato…ho pensato delle cose orribili su di te, mi sono comportato come un vero idiota. Oddio, ho scommesso sulla nascita del mio cucciolo, io… E se Sasha poi sta male? Se qualcosa va storto..? Sarà colpa mia, il cielo punirà lei perché non sto prendendo sul serio una cosa così importante!”
Jinx, seduta in disparte insieme a Sabrina, lanciò una breve occhiata interrogativa a sua sorella.
La gatta nera gliene rivolse una ammonitrice, e mutamente, scandendo bene col labiale, disse ‘Non ci pensare neppure!’ E riuscì anche a metterci il punto esclamativo. Anche se avrebbe comunque voluto stendere lei stessa Bino, pur di placare quell’attacco isterico che non aiutava l’atmosfera generale.
“Ehi, Bino,” disse Peanut, accarezzandogli la schiena. “Andiamo, conosci Sasha: ‘via la tristezza’, ricordi? Scommetto che là dentro,” indicò il fondo del loro vano con il pollice, “sta già cercando di convincere le altre a cambiare i nomi di tutti i piccoli. Non è vero, Alcor? Magari qualcosa del tipo ‘Croissant’, o ‘Panini’, o ‘Minibino’…”
Alcor ridacchiò. “Non hai tutti i torti, Peanut. Mi sa che dovremo tenerla in una stanza separata, quella svampitella, o finirà col far riempire la sala parto di pelouche di unicorni.”
Anche Bino fu preso dalla ridarella. “No, vorrà che un infermiere suoni ‘ballata per AAARRGH in si maggiore per pianola da Peanuts!”
Presto, tutti gli animali scoppiarono in una lunga risata liberatoria, con le lacrime agli occhi.
“Minibino…heh…” il gatto bianco sposo di Mizar si rivolse a Bino. “Ehi, tu lo hai già scelto il nome per il cucciolo?”
Bino annuì, cercando di tergersi gli occhi. “Se è un maschio, si chiamerà Bosco. TG Bosco, roba tosta. Se è una femmina, ho già promesso a Sasha che lo sceglierà lei. E voi?”
Alcor fece spallucce. “I nomi dei nostri li sceglierà Papà. Ci ha salvato la vita, ci tratta da re, si è guadagnato il diritto. Massimo riserbo, anche se sappiamo già che si ispirerà alle stelle.”
“Aw,” fece Peanut. “Avrei voluto pensarci io.”
“Il primogenito si chiamerà Raspberry,” disse Max con quel suo ghigno satanico. “Lo ha scelto il nostro campione in persona!”
Bino scoppiò a ridere. “Raspberry? Hai chiamato tuo figlio come una pernacchia? Non ci posso credere: neppure io sarei stato così carogna!”
Loro malgrado, anche le tre gatte di Reuben fecero una risatina.
Peanut arrossì tutto. “No, no, come il frutto! Raspberry, come figlio di Grape! E’ carino ed è unisex.”
Max gli diede una pacca sulla spalla. “Rilassati, campione, si fa per ridere un po’. Invece, Grape chiamerà il secondo Dayshaun, se sarà un maschio.”
“Quello è molto bello,” dissero i due gemelli all’unisono. “E chi darà il nome al terzo?”
Max si puntò il pollice al petto, tutto orgoglioso. “Sarà praticamente epico.”
“Conoscendoti,” disse Bino, “Si chiamerà Parnok o Illaya.”
Max sporse la lingua mentre si metteva una mano dietro la testa, arrossendo a sua volta. “Heh, a un fan non si può negare una simile occasione.”
“Papà e Mamma nomineranno gli ultimi due,” disse Peanut. Poi si ricordò di una cosa, e quasi si poteva vedere il punto interrogativo acceso al neon sulla sua testa. “Bino, scusa, per cosa sta ‘TG’?”
Stavolta fu il sorriso di Bino a rifarsi quello malevolo che tutti conoscevano. “The Game, Il Gioco. E hai appena perso:”
Peanut spalancò gli occhi in un’espressione di profondo dolore, ma prima che potesse ululare di tristezza, in quel momento, il camion si arresto con uno sbuffo di aria compressa e un cigolio dai freni.
Tutti gli animali si alzarono in piedi, dimenticando qualunque altra cosa.
Erano arrivati.
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Villa Foster

Martin aveva intenzione di dare una gran festa per il ritorno agli antichi splendori della sua proprietà, ricostruita da cima a fondo dopo che una spaventosa esplosione l’aveva distrutta.
Naturalmente, quella festa non si sarebbe più tenuta, non ora che l’attenzione era e sarebbe stata per tre mamme ed i loro piccoli.
E così, la nuova Villa Foster attendeva pazientemente il ritorno dei suoi abitanti. Le porte erano chiuse, le persiane abbassate, non una luce brillava. Tutto era quieto, fuori…
…e dentro. Il pavimento di marmo bianco del salone d’ingresso era così lucido da potercisi specchiare. Ai mobili era stata tolta la plastica protettiva, le tende aspettavano solo una mano che sciogliesse il cordone per permettere loro di filtrare la luce esterna.
In cucina, file di strumenti nuovi di zecca, disposti ordinatamente come in una sala operatoria, aspettavano di potere incontrare i più svariati ingredienti per lavorare nuove delizie per il palato. I fornelli trattenevano il loro rovente fiato per le padelle che li avrebbero toccati. La bocca del forno non si lamentava, sapeva che la sua fame di grandi portate, tacchini e torte provenienti dalla dispensa colma, sarebbe stata soddisfatta…
Nella sala giochi, solo le sedie si confrontavano silenziosamente contro un tavolo che avrebbe visto tanti giocatori eccitati intorno a sé…
Nella sala lettura di Martin Foster, i libri pazientavano, lo facevano da sempre –tanto sapevano che erano le loro pagine cartacee che gli ospiti avrebbero cercato, una volta varcata la soglia. Gli amplificatori della filodiffusione erano pronti a riversare le note più adatte per ogni scelta della biblioteca…
E il computer sulla scrivania, porta sul quel mondo globale delle meraviglie ed informazioni chiamato Internet…si accese.
O meglio, si accese il solo schermo. L’unità centrale taceva, il disco fisso dormiva senza il contatto di un dito che lo avrebbe acceso.
Lo schermo LCD illuminava la stanza di una luce intensa, proiettando strane ombre mentre su di esso iniziava un dialogo non destinato ad occhio mortale…
3 Stooges: siamo arrivati.
Spookmaster: era l’ora.
3 Stooges: provaci TU a trovarla facile, la strada attraverso l’Oltremondo!
Spookmaster: già fatto. Sono qui che vi aspettavo, no?
3 Stooges: Solo perché hai più esperienza…*grumble grumble*
Spookmaster: i piccoli sono in arrivo. Siete pronti?
3 Stooges: eccome! Sono come tante piccole stelle, in questo mondo buio.
Spookmaster: le regole le conoscete, spero.
3 Stooges: non usare quel tono! Lo sappiamo benissimo quello che dobbiamo fare!
Spookmaster: ci tengo molto a quelle creature. Non deludetemi.
3 Stooges: Okey-dokey, boss!

Lo schermo si spense e il buio tornò sovrano.
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Lucky Charm Grove for the Abandoned and the Ferals

A Elias era stato detto, una volta, che la Direzione organizzava un grande Party di Solidarietà, una volta l’anno, ad ogni anniversario della rifondazione del rifugio. Era un momento in cui tanti umani venivano a scegliersi i nuovi membri della loro famiglia, c’era la musica e tanto cibo ancora migliore di quello che si mangiava normalmente.
L’ultimo Papà del meticcio boxer/labrador era un soldato, un marine, ed Elias ricordava i suoi racconti di guerra su un posto chiamato Iraq. Erano storie molto avvincenti, dove anche lì c’era tanta gente, ma erano tutti agitati, urlavano ordini a destra e a manca, e nell’aria c’era tanta paura…
Ecco, vedendo quella processione frenetica di sei medici intorno a tre barelle con tre femmine all’ultimo stadio di gravidanza, ed un seguito di venti animali e dieci umani che non facevano che scambiarsi un cumulo incomprensibile di parole a toni fra l’eccitato e lo spaventato (un’umana incinta piangeva, e due suoi simili cercavano invano di consolarla. Qualunque cosa aveva detto uno, si era appena beccato una gomitata nello sterno), mentre guardie armate ed i loro cani vegliavano severissimi… Be’, Elias pensò ad una specie di scena di evacuazione di uno di quei villaggi dove Papà aveva combattuto…
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“Buonasera, signorine. Io sono la dottoressa Margaret Redwall.”
Grape, Mizar e Sasha osservarono per un attimo la sorridente ed alta figura femminile che entrò nella stanza con fare professionale, seguita da tre infermiere. La Redwall aveva una chioma bionda, occhi verdi su un volto segnato dalle rughe del sorriso. Un sorriso, tuttavia, che per qualche ragione ricordava quello di un velociraptor. Affamato.
Appena fu entrata, Margaret si fermò e guardò una ad una le gestanti. “Sarò il vostro medico curante fino a quando non sarete entrate in sala parto, dove Stanwick e la sua equipe vi assisteranno nell’ultima fase di questo splendido evento e nell’inizio delle vostre nuove, meravigliose vite. Domande?”
Sasha sollevò la mano per prima. “Ci darete un gelato, dopo?”
“Se riuscirai ad averne voglia, perché no? E voi altre?”
“E’ vero che avremo una sala parto comune?” Chiese Mizar
Margaret annuì. “E’ stata voluta dal Signor Foster, che ha dimostrato un interessante senso di preveggenza. Quindi sì, se tutto va come indicano le analisi, vi avremo tutt’e tre in un solo turno, là dentro.”
Toccò a Grape, che strinse la mano di Peanut, in piedi accanto a lei, così come Alcor e Bino stavano insieme alle loro compagne. “I nostri compagni potranno stare con noi? Durante, intendo?” Rivolse un’occhiata supplice a Peanut, che le rispose con un allegro scodinzolio ed un sorriso rassicurante.
Margaret annuì ancora una volta. “Durante, prima, dopo… L’importante è che nessuno di lor signori e i loro amici si permettano di interferire con le procedure mediche o con la serenità delle mie pazienti, oppure…” mostrò una mostruosa siringa! “…Vi darò una bella botta di anestetico. Tutto chiaro?”
A quel punto, però, i maschi erano già svenuti con le gambe all’aria. *twitch*
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Vedendo quell’immenso gruppo appoggiato alla parete a vetri che dava sulla sala parto speciale, Stanwick non poté fare a meno di pensare ad un’orda di zombi concentrati sulla loro preda. Fu felice che Foster avesse pensato ad un vetro molto rinforzato.
Il medico si schiarì la gola, con discrezione, non sperando davvero di essere udito in mezzo a quel cicaleccio che riempiva il corridoio.
Quasi trenta teste si voltarono all’unisono verso di lui, in un silenzio di colpo mortale!
“Ah, signori, non c’è bisogno che aspettiate qui. Se tutto va bene, ci vorrà ancora qualche ora. Seriamente, perché non andate alla caffetteria? E’ stato preparato tutto il necessario per—“
“Non possiamo andarci,” lo interruppe Jane Sandwich.
Stanwick tentò il suo più cordiale sorriso diplomatico. “Ah, Jane, credimi, capisco il tuo coinvolgimento, ma non sarete di alcun aiuto standovene—“
“Non possiamo andarci,” ripeté Jane, “perché devo essere ricoverata anch’io.” La donna indicò la pozza di liquido amniotico ai suoi piedi! “Se non ricordo male, Martin ha attrezzato una sezione anche per me, in quella sala, giusto?”
Mordecai Stanwick decise di svenire…fra le braccia di Padre William Ghetti, che sorrideva come la più beata delle anime. “Evvai,” disse il prete.
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“Ciao, Principessa Pervinca,” disse il malamute, entrando nella stanza, rivolto a Grape.
“Lucky!” esclamò la gatta, felice, alla vista del suo primo amico, in una vita triste, ormai così lontana per entrambi…
Il cane le si avvicinò e le diede un bacetto sulla guancia, subito ricambiato.
“Scusami per non averti dato più attenzioni, oggi, tesoro,” disse Grape. “Lo so quanto ci tieni a starmi vicino… E ciao anche a te, Felix,” aggiunse, rivolta al soriano rosso che ancora stava sulla soglia. “Coraggio, che ci fai lì?” Il gatto non era stato, sempre in quei giorni, una figura meno importante. Infatti, loro erano i Tre Moschettieri, i re delle marachelle del vecchio vicinato
Felix si avvicinò a Lucky, ed entrambi presero la mano di Grape fra le proprie. “Siamo così felici per te,” disse Lucky. “Adesso che Papà è il Direttore del rifugio, e guadagna di più, magari anche lui prenderà un cucciolo…” voltò la testa verso Felix, che arrossì leggermente. “..O un gattino. Lo tireremmo su tosto come noi!” si batté un pugno sul petto, “Così difenderebbe i nostri nipotini!”
“Possiamo considerarli nipotini, vero Moschettiera?” fece Felix, con le orecchie basse.
Grape annuì. “Tesori, non vorrei niente di meno. Lo sai che se avessi spazio, a casa, vorrei anche voi due con me e Peanut, e Max, e--.”
“..Sasha?” disse una nuova voce, nel momento in cui doberman si sporse dentro.
“Bouncy!” esclamò la femmina, agitando le coperte per lo scodinzolio. “Stai bene! E c’è anche Terry! Vi siete fatti davvero carini!”
Bouncer arrossì. “Heh, grazie.” Si avvicinò al letto di lei, e le prese una mano fra le proprie. “Ti dobbiamo la vita, Sasha, non l’ho mai scordato. Se non fosse stato per te, adesso…”
Sasha gli accarezzò il dorso del muso. “Io non ho fatto niente. Avevate solo bisogno di qualcuno con cui parlare. Lo dico sempre che le cose si affrontano meglio, quando si è in compagnia. Vieni un po’ qui…” Lo tirò gentilmente a sé…e gli diede un bacio sul tartufo, appena un tocco delle labbra. Poi soffiò sul punto appena baciato. “Via la tristezza.”
“Grazie,” fece Bouncer, e l’abbracciò piano. “Ti faccio i miei migliori auguri, anche se so già che sarai la migliore mamma.”
“Battuto sul tempo, si direbbe,” disse una nuova voce, facendole drizzare le orecchie. E non solo a lei. Per poco, Sasha non saltò giù dal letto. “Papà!
Roger Truman, ex proprietario di quella dolce creatura, pessimo esempio di umano, ma pentito di averla lasciata e ancora sinceramente affezionato a quella cagnetta che tanto aveva fatto per tirarlo su di morale nei suoi giorni più difficili. “Scusa per non avere fatto prima, principessa.”
Roger strinse a sé la sua ex ‘figlia’. “Sono così felicefelicefelice di vederti, papone! E non odori più neppure di birra!”
Quello era un nervo scoperto: una delle cause che avevano spinto Roger ad abbandonare Sasha, dopo un lungo periodo di abusi, era stato l’alcolismo…
L’uomo le arruffò il ciuffo sulla testa. “Frequento la Alcolisti Anonimi sul serio, adesso, e sono riuscito a riavere un lavoro. Insomma, sto rimettendo insieme la mia vita, e quando Zio Martin mi ha detto di questa cosa…” Accarezzò piano la pancia di Sasha. “Sono così felice per te, piccola. Bino,” disse poi al compagno di lei. “Io ho fatto una moltitudine di sciocchezze con questa magnifica creatura. Se vengo a sapere che tu non ti comporterai meno che perfettamente con lei…” E lasciò la frase in sospeso, ma il tono di minaccia era inequivocabile.
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Uffici della Sicurezza, Torre 1, Terrace High

“Ocielocielocielocielocielo!! Sono ancora in tempo? Fate attenzione, drink della vittoria in arrivo! Wee-o Wee-o Wee-o!!”
Un paio di mani nere afferrarono al volo la bacinella contenente il liquido a base di aranciata, prima che il minipinscher che la reggeva rischiasse di farla cade, data la fretta con cui si muoveva.
“Sì, sei ancora in tempo, perro loco,” disse Hannibal ‘Psycho’ Bates. Poi il nero alsaziano posò la bacinella insieme al resto del buffet. “Mi auguro che questa tua ‘invenzione’ sia buona come dici.”
S.A. Tobee Gallant lanciò un’occhiata ammonitrice al bestione grosso il triplo. “Ti terrà su fino a dopodomani, sbruffone!”
Le zanne bianche lampeggiarono nella bocca nera. “Sei pronto a scommetterci i tuoi biscotti, nino?”
“Calma tutti e due,” intervenne il weimaraner Sigmund Follett, frapponendosi fra loro. “Siamo qui per festeggiare la paternità dei nostri amici Bino e Peanut. E basta. Quindi, buoni, o vi sbatto in cella.”
Psycho e Tobee si diedero la schiena, sbuffando indignati.
Dalla sua posizione, mentre sgranocchiava patatine, il doberman Ivan Danko, responsabile della metà non-umana della Sicurezza di Terrace High, si annotò di tenere d’occhio quel Follett. Pareva un damerino, ma sapeva essere grintoso. Accanto a Ivan, sedeva la sua padrona e migliore amica di sempre, Janet Masterson.
“Allora, Nonno Martin, come stanno andando le cose, lì da voi?”
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Martin sedeva nella piazzola davanti alla sala parto, un laptop iMac aperto in grembo. “Siamo alle batture finali, mia cara. Adesso anche Jane è entrata in travaglio. Abbiamo un bel poker fra le mani. Ghetti è in estasi mistica, Stanwick vorrebbe essere a Timbuctu. Io sto scoprendo il mio lato religioso. Vorrei che foste qui, tu e Ivan.”
La donna rise. “No, grazie, amico mio: credo che ci siano già fin troppi ospiti… Cosa è stato?” Istintivamente, la donna si voltò in direzione dell’urlo lacerante che aveva udito.
Martin aveva fatto lo stesso. “Jane! La stanno portando adesso in sala parto. Poveretto chi dovrà starle dietro, quella sa menare duro… Oh.”
“Che c’è?”
Quando le porte scorrevoli della stanza si erano aperte, e la barella con la paziente fatta entrare, Martin vide che non era la sola.
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Poe Plaza

“Signore e signori,” disse Mordecai Stanwick, facendo di nuovo piombare nel silenzio totale la piazza. Mai umano ebbe più attenzione di lui, in quel momento. “Annunciamo che Jane e Grape Jelly Sandwich, Mizar Foster e Sasha Byron sono state ricoverate ora in sala parto. La fase finale del travaglio è iniziata. Tutti i parametri fisici sono ottimali.”
E ancora una volta, la piazza eruttò in un lungo verso di gioia collettiva!
Fiddler e Keys salirono sul palco, senza che nessuno, perso nella propria felicità, badasse sul momento a loro.
Poi il rarissimo violino Stradivari D1, regalo di Martin a Fiddler, iniziò a suonare contemporaneamente alla fedele tastiera di Keys.
E la voce della gatta violinista cantò le prime, dolci parole di quella ballata…

Dancing to the feel of the Drum
Leave this World behind
We'll have a drink and toast to ourselves
Under a violet Moon

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Era per questo che valeva la pena vivere.
Era per questo momento che ogni sacrificio, ogni gioia e ogni sofferenza assumevano un valore.
Il valore di una nuova vita.
Sasha ripensò al suo allevamento, ai dolci colpi di lingua di sua madre che la puliva, al caldo del lettino, al sapore indimenticabile della prima poppata. All’orgoglio provato quando i suoi genitori la scelsero per prima, per poi darle quella medaglietta a cuore che non l’avrebbe più lasciata. Una vita felice, pur con le sue ombre, per i problemi della sua famiglia, la rabbia di papà per non avere saputo tenere tutti uniti… E l’abbandono, la tristezza, e poi la nuova famiglia, insieme a Fido, il matrimonio…
“Bino, stai bene?” chiese lei, mentre le ultime contrazioni regalavano al mondo la prima nuova vita di Babylon Gardens.
Bino le stringeva la mano, ma era anche, chiaramente, in catalessi. Le pupille erano microscopiche, la sua bocca contratta in una ‘o’
Non era un’illusione, non era un sogno. Quello che l’infermiera stava reggendo fra le mani, frizionandolo delicatamente con un panno, era…davvero…
“Un bel maschietto,” disse la donna, sorridendo da dietro la mascherina. “Complimenti, giovanotti.”
Bino, per la prima volta nella sua vita, era sinceramente felice come mai. Improvvisamente, tutta la sua vita non aveva solo preso una nuova svolta. Era…cambiata per sempre, perché lui potesse essere il migliore dei genitori per quel fagottino uggiolante che l’umana stava porgendo a Sasha.
“Benvenuto al mondo, piccolo Bosco Byron,” disse lei, mentre appoggiavano l’indifesa creaturina nell’incavo formato dal suo corpo.
Bosco Byron.
Nome e cognome. Non solo figlio di Sasha, ma già membro della sua famiglia, ora e per sempre…

Nella saletta riservata ai testimoni del lieto evento, Fido e Joey e Max stavano facendo la conga, pompando le braccia in segno di successo, canticchiando ‘Dududududu!’
Ryan Byron e la sua compagna Beth si diedero ad un grande abbraccio insieme a Jake Costner, Papà di Bino.
“Dio, è così carino che non ci posso credere!!” disse poi Jake, incollandosi al vetro. Mostrò al suo Bino il pollice levato. “SEI STATO GRANDE!!” urlò, pur sapendo che la sua voce sarebbe stata attutita dallo spesso cristallo.
Ma, comunque, il suo cane non gli avrebbe risposto: Papà Bino era chino su Sasha, a leccarla dietro le orecchie mentre lei finiva di pulire il suo cucciolo…
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“Uno a zero per la polizia dei Gardens!” esclamò Tobee, saltando tutto eccitato sul grembo di Psycho. “YAY!”
Sigmund e l’alsaziano si diedero il cinque.
“Calma voi due,” disse Danko. “Arrivano i prossimi!”
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Tudor Rose with her Hair in curls
Will make you turn and stare
Try to steal a kiss at the Bridge
Under a violet Moon


Le voci di Fiddler e Keys cercavano di canalizzare l’emozione che pervadeva la folla. A dispetto dell’entusiasmo generale, tuttavia, tutti osservavano rapiti gli schermi, come ipnotizzati da quella nuova presenza, perché per quanto fosse vero che le adozioni e i nuovi vicini non erano infrequenti, a Babylon Gardens, una nuova vita, il nuovo membro di una famiglia, era ancora una grande e meravigliosa novità…
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Era per questo che valeva la pena vivere.
Era per questo momento che ogni sacrificio, ogni gioia e ogni sofferenza assumevano un valore.
Il valore di due nuove vite.
Gemelli. Maschio e femmina, entrambi bianchi come il latte, con il musetto ed il dorso neri, per ora consci solo della loro nuova condizione fisica, mentre la calda lingua della madre li stimolava e li puliva a fondo, mentre i loro stomaci venivano riempiti del latte di lei.
Mizar ripensò ai cuccioli del branco di randagi di cui aveva fatto parte. Sembrava così tanto tempo fa… Ma davvero c’era stato un periodo, nella sua vita, in cui aveva sofferto la fame e la sete, in cui le pareti di una gabbia sembravano essere diventate la sua ultima casa, mentre aspettava solo di morire, rifiutata da coloro che venivano a visitarla in quell’orrendo rifugio solo perché era una femmina?
Eppure, proprio in quell’ora più buia erano giunte le luci che l’avrebbero guidata a questo momento. Il suo amato Alcor, che ora faceva le fusa ai cuccioli, e il loro Papà, Martin, che aveva permesso l’esistenza di questa nuova famiglia, l’uomo che aveva avuto il diritto a dare ai cuccioli quei nomi che Mizar sussurrò come un’invocazione ad ogni spirito benigno che potesse ascoltarla…
“Benvenuti al mondo, Naos Foster,” e baciò il dorso del maschietto, per poi fare lo stesso con la femmina, “e Rigel Foster.”

Antares e Aldebaran fecero del loro meglio per stritolare il loro Papà. “Siamo zii!! Siamo zii! EEEEEEE!!” E tempestarono di baci i due lati del volto umano, leccando via le lacrime di gioia che scorrevano libere.
“Che razza di nomi sono?” chiese Reuben Sandwich. Sua moglie gli diede un ceffone di ammonimento dietro al collo. “Ow!”
“Supergiganti blu rispettivamente della costellazione della Poppa e di Orione,” rispose Martin, senza smettere di fissare la sua Mizar con un sorriso immenso. L’uomo si chinò ad abbracciare Ralph. “Grazie, grazie davvero!”
Il pastore tedesco restituì la stretta con tutta la forza che aveva. “Grazie a te, Zio Martin! Non credo di essermi mai sentito così orgoglioso in vita mia. E sono anche dei nomi bellissimi.”
“Heh,” disse Budweiser, dando una pacca alla schiena del cane poliziotto. “Credo proprio che Bosco abbia già due futuri rivali nella sua carriera di poliziotto.”
Anche Kevin diede un potente abbraccio a Ralph, causandogli un gridolino di dolore. “Sono belli come il sole, i migliori piccoli Ralph che abbia mai visto!”
“Comunque,” disse il sergente canino. “Loro sono figli di Alcor e Mizar, cerchiamo di ricordarcelo, ragazzi. Al massimo, sarò il loro sergente istruttore, quando verrà il momento.”
“Taci,” disse Martin, scandalizzato. “I miei nipotini vivranno una vita lunga e pacifica, e si sposeranno con dei bravi felini. Niente polizia, per loro. Senza offesa.”
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Raise your hats and your Glasses too
We will dance the whole Night through
We're going back to a Time we knew
Under a violet Moon


La folla rispose con un lungo brindisi in onore delle tre nuove vite. I primi gruppi di ballerini cominciarono a muoversi nel mare di pellicce. Selene si unì Fiddler e Keys nella canzone, donandole una qualità quasi soprannaturale.

Cheers to the Knights and Days of old
the beggars and the thieves
living in an enchanted wood
Under a violet Moon

Close your eyes and lose yourself
In a medieval mood
taste the treasures and sing the tunes
Under a violet Moon

This my delight on a shiny night
the seasons of a year
to keep the lanterns burning bright
Under a violet Moon


E senza dubbio, anche se ancora il sole splendeva alto nel gelido cielo invernale, quella festa prometteva di andare avanti molto a lungo…
Una festa che aveva anche due ospiti molto particolari, per quanto nessun occhio mortale potesse vederli.

La zampa aquilina si tese verso quella rettiliana dalle scaglie smeraldine.
“Può concedermi questo ballo?” chiese Pete alla sua controparte, il grande Spirito Dragone. “Oggi è un giorno di letizia e di tregua, il minimo che puoi fare, mia cara, è assecondare questo vecchio giocatore.”
La femmina sorrise, e cominciò a volteggiare intorno al grifone, disegnando interi universi con le proprie acrobazie. “Dimmi una cosa, Pete.”
“Ti ascolto.” Poi, il grifone spalancò le ali, disponendosi in una posizione rampante stupefacente ed aggraziata. Schizzò verso il cielo come una cometa, seguito dalla serpentina creatura, avvitandosi l’uno all’altra, fissandosi severamente negli occhi.
“Dimmi una cosa,” ripeté il Dragone. “Avevi violato le regole e sbirciato nel futuro anche quando ti mettesti in contatto con Grape, per farne il tuo avatar?”
*Tsk* “Mia cara, ho applicato per quella brava gatta il mio giudizio così come feci per Joel. E i fatti mi hanno dato ragione. La tua interferenza mi è costata un prezioso elemento, e credimi, non è una cosa che perdono tanto facilmente. Al prossimo round, il Grande Kitsune saprà decidere a chi dare il legittimo vantaggio…” Poi la creatura sorrise, ed accarezzò con un artiglio la gola del Dragone. “Ma ora basta parlare di lavoro, e divertiamoci. Per essere degli esseri inferiori, sanno festeggiare bene, non trovi, amica mia?”

E quando le due magiche creature ripresero la loro danza, nel cielo si accesero come dei fuochi artificiali. Pensando che facessero parte dell’organizzazione, tutti gli animali sollevarono gli occhi al cielo, senza pensare che quei fuochi non erano preceduti dai familiari sibili o scoppiettii…

Raise your hats and your Glasses too
We will dance the whole Night through
We're going back to a Time we knew
Under a violet Moon

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Era per questo che valeva la pena vivere.
Era per questo momento che ogni sacrificio, ogni gioia e ogni sofferenza assumevano un valore.
Il valore di cinque nuove vite.
Grape Jelly Sandwich si sentiva allo stesso tempo esausta e carica di energie. Non era stato privo di dolore, ma era davvero andato tutto bene come i medici…come Sasha le aveva detto. Aveva solo dovuto seguire la voce del proprio corpo, ignorare qualunque altra presenza che non fosse quella di ogni nuova vita che lottava per uscire, per respirare l’aria per la prima volta, miagolare con una vocina davvero forte per quei minuscoli polmoni affinché la loro mamma li saziasse.
Grape non si sentiva più sgraziata, stanca, imbarazzata… Era fiera. Cinque gattini lottavano al suo ventre per avere la poppata migliore, e lei…stava vivendo un momento unico che avrebbe portato nel suo cuore per sempre.
Peanut, per conto suo, non si era mai sentito così…calmo. Per la prima volta nella sua giovane vita, quell’incredibile diluvio di emozioni era incanalato in una sola direzione, in un solo scopo.
Peanut Butter era chino sulla sua gatta che stava facendo delle fusa forti come non mai, e come Bino con Sasha, le stava leccando il collo e la schiena –gesti istintivi, puro desiderio di protezione. Oggi, Peanut non aveva paura. Ci sarebbe stato tempo per tornare alle piccole angosce di tutti i giorni, soprattutto ora che aveva queste cinque vite di cui avere cura, ma oggi, il suo solo scopo, il fine che avrebbe delimitato la sua esistenza, era il benessere dei suoi cari, fare in modo che quel momento di unione fra lui e Grape e la nuova generazione durasse il più a lungo possibile, contro ogni possibile male…
Lo sguardo del cane andò verso la sua Mamma.

La povera Jane aveva davvero un aspetto terribile, si sentiva morire. Non poteva immaginare che una cosa bella come questa potesse causare un simile dolore.
E la sua bambina ne aveva appena sfornati cinque, eppure, “Guardala,” disse Jane, piangendo per la gioia piuttosto che per il dolore delle contrazioni. “Dio, Earl…” disse al marito, che le stringeva una mano, mentre con l’altra le accarezzava i capelli. “Siamo nonni. Per davvero. Riesci a immaginare quei cinque fagottini di pelo a correre per casa, fare la lotta e giocare con nostro figlio?”
Earl usò la mano libera per tergersi gli occhi. “L’ho immaginato per così tanto tempo, cara. Ho pregato ogni santo giorno che questo sogno diventasse realtà.” Martin aveva promesso loro il più lungo permesso di maternità e paternità possibile, per permettere alla nuova famiglia di creare e saldare quei legami che li avrebbero guidati insieme nel corso degli anni a venire…
“Appena potrò, almeno due li voglio coccolare fino a quando non gli cade il pelo,” disse Jane. “Devo solo decidermi quali.” Con la mano, fece un altro saluto a Grape, poi tornò a stritolare quella del marito. “Se Billy The Kid non si decide, Earl, ti autorizzo a prendere un piede di porco e tirarlo fuori a forza.”

Grape rispose al cenno della Mamma, poi si rivolse a Peanut e a Padre Ghetti. “È il momento.”
Il prete annuì, e appoggiò un pollice al bordo dell’acquasantiera che reggeva nell’altra mano.
Peanut diede un bacio sulla fronte del gattino rosso, il primogenito. “Benvenuto al mondo, Raspberry Sandwich.”
Padre Ghetti inumidì appena il pollice e lo sfregò sul pelo profumato del micio, che si agitò, standosene comunque bene attaccato alla sua fonte di cibo.
Grape si inumidì con la lingua una mano, ed accarezzò il suo secondogenito sulla testa. Come Sasha aveva predetto, il micino era del colore di Peanut, inclusa una tinta più scura delle minuscole orecchie ancora piatte sul cranio; un piccolo miracolo concesso al suo amato cane, alla loro unione destinata ad essere più forte che mai! “Benvenuto al mondo, Dayshaun Sandwich,” disse la gatta, e Padre Ghetti ripeté il battesimo, mormorando la formula di rito in latino. Dayshaun si staccò dalla mamma per miagolare indignato –sì, sembrava proprio che in qualche modo avesse preso qualcosa da Peanut, oltre che il colore…
Poi Grape rivolse uno sguardo al Dottor Stanwick. L’uomo annuì e si avvicinò all’altoparlante collegato alla saletta. Appoggiò il dito al pulsante, lanciando un’occhiata ammonitrice molto severa ai presenti. Al primo applauso o urlo, tutti fuori!
E in più, quello non era il momento degli altri, era il momento di Maxwell. E che diamine, se lo era ben guadagnato!
Stanwick attivò l’interfono. Max si leccò un dito, come a volerlo passare lui stesso sulla fronte del terzogenito. Papà sarà sempre con voi, piccoli… “Benvenuta al mondo, Illaya Tea Sandwich,” mormorò verso la micina bianca con una macchia viola sull’occhietto sinistro e le orecchie tinte dello stesso colore, così come la punta della coda.
Gli sarebbe piaciuto dare il nome a Raspberry, quel bricconcello assomigliava davvero al suo nonno biologico…

Earl e Jane videro Padre Ghetti dare il battesimo anche alla terzogenita, poi Grape e Peanut guardarono nella loro direzione.
Toccò a Jane, dal separé in cui era stata costretta, dire, “Benvenuta al mondo, piccola Louise Sandwich.”
Earl avrebbe davvero voluto godersi più a lungo quel solenne momento, ma dal pallore di sua moglie, e dal modo in cui gli stava schiacciando la mano, era ormai chiaro che l’ultimo ospite speciale di quella giornata era pronto al suo ingresso trionfale.
“Benvenuta al mondo, allora, anche a te, Nutella Sandwich,” disse Earl alla gattina nera.
Poi Jane Sandwich si mise a urlare.

“Forse non è stata una buona idea, una saletta condivisa con una persona,” disse Martin. In effetti, a ben pensarci, salvo che in film e telefilm, non aveva mai sentito davvero una donna urlare durante il parto. Gli ricordava, stranamente, un banshee… “Ow!” Esclamò, quando udì un familiare dolore dietro la testa.
E Miss Sunman era lì, con la fedele bacchetta dei sui giorni di scuola, che fissava severamente il suo ex-capo. “Con tutto il rispetto, Martin, non potrei essere più d’accordo. Se lei avesse avuto un po’ di buon senso, avrebbe consultato me, prima di fare una simile sciocchezza.”
Martin si massaggiò la testa. “Miss Sunman, Evelyn, mi sono consultato con i Sandwich, mi creda. E loro hanno aderito con entusiasmo, volevano davvero essere vicini a Grape, se per caso il bambino avesse deciso di nascere proprio durante il travaglio della loro figlia…Ow!” e giù un’altra bacchettata sulla testa!
Evelyn annuì. “Lo so benissimo, Martin. E so anche che una donna incinta tende a prendere le decisioni più strampalate, e suo marito si trasforma da uomo di casa in vittima predestinata. Per queste cose, ci vuole sempre un terzo parere.”
“Se sopravvivo al ripetuto trauma cranico, lo terrò a mente. Ahio.”
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Under a violet Moon


Per quanto riguardava due certe persone, sapevano che tutto era andato bene perché finalmente un’amicizia era stata ricostruita, e due anime erano pronte a condividere questa nuova esistenza senza più dubbi, senza più rancori, senza più segreti.
Solo con un dubbio... “Come mai questa razza?” chiese Fox, stringendo a sé l’amico ritrovato per davvero. “Insomma, non è che la scelta di mancasse, giusto?”
Il piccolo Cardigan Corgi, dal manto bianco e grigio, con delle pezzature nere, scosse la testa, e agitò la coda di cui quel ramo dei welsh corgi era provvista. “Nah, tu hai bisogno del tuo adorabile sciupafemmine per attirare l’attenzione delle signorine. Se diventavo io il fusto supersmexy, tu finivi in un angolino. E poi come mi abbracciavi, dopo? Buon Natale, Fox.”
“Buon Natale…Kin-Nikolai.”
Il corgi socchiuse i suoi occhi di una sfumatura quasi violetta, come quelli di Marvin. “Hm-m, Nik andrà bene lo stesso.”
In quel momento, udirono un lugubre mugugnare collettivo dalla stanza di Terapia Intensiva dall’altro lato del corridoio.
“È un po’ che fanno così,” disse Nikolai, seccato per quell’ennesima interruzione. “Chi sono?”
Fox fece spallucce. “Oh, i tre cani della discarica. Pare che i lupi Milton li abbiano un po’ strapazzati, non so perché. I medici dicono che ci vorranno alcuni mesi prima che possano afferrare un cucchiaino…”
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La prima volta che Grape aveva visto un ‘palladiburro’, era rimasta incuriosita ed affascinata da quanto potessero essere piccoli e rumorosi e nudi. Era difficile credere che un simile affarino sarebbe diventato un umano grande e grosso come i suoi genitori…
Allora, lei aveva pensato che il piccolo umano sarebbe stato il suo compagno di giochi, qualcuno con cui spassarsela, e non la causa della sua fuga di casa, l’inizio dei suoi problemi…
Oggi, quei cattivi pensieri non avevano spazio nella sua mente o nel suo cuore. Nel momento in cui Grape vide il cucciolo umano di Mamma, come Peanut capì che gli avrebbe voluto bene, che lo avrebbe protetto come se fosse stato uno dei suoi gattini…
E quando finalmente, dopo tutti i controlli, l’infermiera porse quel fagottino urlante e affamato alla madre, Jane si rivolse a Grape. “Scegli tu il suo primo nome, tesoro.”
*!* Grape quasi ebbe un collasso. Peanut disse solo, “Wow!” E di sicuro non fu l’unico a restare di sasso.
Padre William Ghetti sfoggiò di nuovo un sorriso raggiante –questa sarebbe rimasta negli annali dell’Ordine, un umano che permetteva al suo animale di scegliere il nome, e il primo, per giunta, del proprio figlio!
Grape deglutì. “Mamma…”
Jane la guardò come se avesse voluto abbracciarla. “Amore, ne hai il diritto. Questo è il tuo fratellino, ed è solo giusto che tu sia coinvolta nella sua vita. Anche se la legge non vi considererà pari, per noi lo siete, e per questo io e Papà pensiamo che tu debba scegliere il primo nome. Coraggio, non avere paura; Peanut ha ragione, hai buon gusto.”
Nella mente di Grape, invece, balenarono nomi su nomi adatti solo ad animali, da ‘Frisky’ a ‘Zorro’! Tiger? No, quello era già preso. ‘Baron’? Troppo pretenzioso. ‘Yoghurt’? Fantascientifico…
Poi le venne in mente: ma sì, era semplicemente ovvio. A chi dedicare quel nome, se non alla persona che aveva reso possibile tutto questo? E poi, aveva anche letto di un panino che aveva quel nome: heh, ‘il panino al formaggio più costoso del mondo’, diceva l’articolo -lo ricordava bene, creato da uno chef di nome, “Martin. Il suo primo nome sarà Martin.”

Nella saletta, l’uomo quasi svenne fra le braccia dei suoi cani. “Grape…”
“Non conosco altro modo di dirti grazie, Zio Martin,” disse lei, attraverso l’interfono. “Quel giorno, quando ero una randagia affamata, mi salvasti la vita, e se sono qui, ora, lo debbo a te. È giusto che questo bambino si chiami come te. Sono sicura che sarà il degno erede del tuo rifugio, un giorno.”

Earl annuì. “Sapevamo che avresti scelto bene, piccola mia. Siamo fieri di te. E vedrai che il piccolo Martin Gordon Sandwich sarà il migliore fratellino del mondo per te e Peanut. Padre..?” disse al prete.
Padre Ghetti appoggiò per l’ultima volta il pollice nell’acquasantiera e lo passò sul capo del bambino. “Per il potere conferitomi dalla Santa Chiesa, dall’Ordine di Sant’Antonio Abate, in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, io ti do il benvenuto al mondo, Martin Gordon Sandwich. Possa la tua vita essere lunga e felice, circondato dall’affetto dei tuoi simili e di tutte queste creature che a te daranno il loro incondizionato amore. Amen.”

Raise your hats and your Glasses too
We will dance the whole Night through
We're going back to a Time we knew
Under a violet/Under a violet/under a violet MOON!


AND GOD REST YE MERRY GENTLEMEN!!


Episodio 20
FIN
Stagione II
FIN
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Blue Braixen
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Re: HOUSEPETS! LA SERIE-S.II EP.20 - LA FINE E IL NUOVO INIZ

Post by Blue Braixen »

Oh Lord, wall of text. I'll read it tomorrow, when I'm not so tired.
I can't wait to read what happens!
Edit: I'm still reading it... -_-'
Edit 2: I finished the first part. I love the part where Bino gets whacked by a piece of plaster from the ceiling. That was hilarious, and I absolutely love the barn replica that Peanut created. And who I didn't expect to see the barn cats again, I don't know why.
Awesome job!
Edit 3: Thanks so much for the cameo! So... Raspberry, Dayshaun, Illaya Tea, Louise, Nutella, and Martin Gordon Sandwich... Interesting! What a wonderful conclusion to Season 2! :mrgreen: :mrgreen: :mrgreen: :mrgreen:
Last edited by Blue Braixen on Mon Nov 01, 2010 1:56 pm, edited 4 times in total.
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Re: HOUSEPETS! LA SERIE-S.II EP.20 - LA FINE E IL NUOVO INIZ

Post by IceKitsune »

Same here Housedog. I will have to start on this tomorrow Val its just so much text. Though I did kind of expect this was going to be this big anyway. I can't wait Valerio. :mrgreen:

Edit: First post down I'm gonna give my thoughts on that (as much as I can anyway) so I don't forget:

Ok the part with Peanut and Grape giving the presents to each other was just so very sweet I D'awwww'd the whole time. I don't know what in the world the junk yard dogs where thinking trying something when everyone was there but that was stupid. (the didn't think it through did they?)

Squeaks line to Joey about how she felt like she was becoming a doughnut was hilarious I laughed for like two minutes about that one. Also Bino getting hit in the head by the falling ceiling was funny too. :lol: Ivans part at the beginning was a good mixture of sad and nice I liked it.

And I'm real glad the bombers all got caughtthat was a great part as well. I can't wait to read the second post Val but I need a bit of a break.

Edit 2: Ok finished it took less time then I thought here are my thoughts on the second part:

Everyone going into labor at the same time I saw that coming. I like the use of The Spookmaster was nice I wonder who he is and who was he talking to? (I still say the Spookmaster is most likely Pete if its anyone we know but that's for the main comic and not important right now.) I can't wait to see how that all turns out.

The birth of the kids was so sweet all over I really loved it. :D The naming part was cute and very nicely done. I loved the fact thatGrape got to name her brother and naming him Martin was great on her part (also saw that coming when they said she could name the baby). And Joel being a different kind of Corgi was not that suprising but its good to see him back as a dog.

The whole thing was just awesome to read Valerio I thank you for writing this series It is just over all awesome. I can't wait for Season 3 and the special episode. :mrgreen: Keep up the great work Valerio. I'll continue reading and being a fan as always. :mrgreen:
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Re: HOUSEPETS! LA SERIE-S.II EP.20 - LA FINE E IL NUOVO INIZ

Post by valerio »

Hehe, so I guess it was worth the wait as why she never let Peanut read her work? ;)
Well, as for the JY dogs, I guess they go by the saying 'practice makes perfect' :mrgreen:
Ivan's going to be very happy with little brother Nikolai. I don't know if Nikolai is going to be happy about that ;)
OK, since you'll have to wait until no before than season V to learn something about 'Spookmaster', I'll just spoil that Pete it is NOT
Hehe, as for the naming, the scenes' strong point were their sweetness in fact. ;) And with Grape getting to name her baby brother, now her old ghosts are back to sleep for good.
And yes, I was really undecided about Joel's choice, but let's face it:Imagining a corgi in Rick's style is simply unavoidable, at this point. I chose this breed cause they got a tail.
And I thank you all folks for your precious support, and again the biggest thank yous go to Sinder and Two-Twig who started it all...
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Re: HOUSEPETS! LA SERIE-S.II EP.20 - LA FINE E IL NUOVO INIZ

Post by lightwolf21 »

Aahhhhh! :o This is going to take forever to read... -_-;
I did read up to the cameo... yay :mrgreen: I'll edit comment as I read it...
EDIT: I'm up to the part where the 'dads' are putting money up for who's litter will be most beautiful... It's good to see humanity rubbing off on pets in the best ways possible. -_-;
Gak! >_<
Sorry. I finished yesterday afternoon, but didn't update comments. Suffice to say, there wasn't...much to say...it was epic as always. And now, I have loads more characters I have to remember the names of. XD
Last edited by lightwolf21 on Tue Nov 02, 2010 10:37 am, edited 1 time in total.
Heh. Look at that... I started an actual Housepets! fan-fic.
https://www.housepetscomic.com/forums/v ... 70#p131370
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Re: HOUSEPETS! LA SERIE-S.II EP.20 - LA FINE E IL NUOVO INIZ

Post by Andrea »

An epic ending require an epic response, in italian :mrgreen: :

Che dire?Veramente un episodio bellissimo, degno finale di questa storia.l'ho dovuto leggere tutto d'un fiato. :mrgreen:

Non mi aspettavo proprio che il regalo misterioso fosse il plastico di quella volta alla fattoria (non è che Peanut ultimamente ha visto Porta a Porta?Image)

Addirittura 3 dei miei nomi hai scelto?Uè, non pensavo che andassero così bene ^^(non ti nuclearizzo solo per questo >_>)

Comunque, lo ridico, bellissimo!

*is now waiting for the next season*

Ok, let's see what you're going to do with Terrace High.
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Re: HOUSEPETS! LA SERIE-S.II EP.20 - LA FINE E IL NUOVO INIZ

Post by valerio »

Andrea wrote:An epic ending require an epic response, in italian :mrgreen: :

Che dire?Veramente un episodio bellissimo, degno finale di questa storia.l'ho dovuto leggere tutto d'un fiato. :mrgreen:

Non mi aspettavo proprio che il regalo misterioso fosse il plastico di quella volta alla fattoria (non è che Peanut ultimamente ha visto Porta a Porta?Image)

Addirittura 3 dei miei nomi hai scelto?Uè, non pensavo che andassero così bene ^^(non ti nuclearizzo solo per questo >_>)

Comunque, lo ridico, bellissimo!

*is now waiting for the next season*

Ok, let's see what you're going to do with Terrace High.
Nutella was simply the best name ever! HAD to use it!
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Re: HOUSEPETS! LA SERIE-S.II EP.20 - LA FINE E IL NUOVO INIZ

Post by Barkeron »

Awesome ending to the series Valerio. I liked it every much. Hmmmm, Nikolai, the name sounds good for Joel-now turned back into the corgi. From the info I gotten, he looks cute. (Someone should draw him. lol)

Ghetti father sat for the last time the thumb nell'acquasantiera and passed it on the child's head. "By the power conferred upon me by the Holy Church, the Order of Saint Anthony Abbot, in the name of the Father, Son and Holy Spirit, I give the welcome to the world, Martin Gordon Sandwich. May your life be long and happy, surrounded by the affection of your peers and all the creatures that will give you their unconditional love. Amen. "

Raise your hats and your Glasses too
We will dance the whole Night through
We're going back to a Time We Knew
Under a violet / Under a Violet / Under a Violet Moon!"



Sounds just about right for a great ending.Seriously you should turn this series into a online book or some sort, like a novel based on HP.
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Re: HOUSEPETS! LA SERIE-S.II EP.20 - LA FINE E IL NUOVO INIZ

Post by valerio »

why, thank you, barkeron :D
for now, my highest ambition is to turn this work into a webcomic...as soon as I learnt how to draw decently... :?
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Re: HOUSEPETS! LA SERIE-S.II EP.20 - LA FINE E IL NUOVO INIZ

Post by lightwolf21 »

Barkeron wrote:...(Someone should draw him. lol)
Yes...yes they should ;D
Heh. Look at that... I started an actual Housepets! fan-fic.
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Re: HOUSEPETS! LA SERIE-S.II EP.20 - LA FINE E IL NUOVO INIZ

Post by Private Elliot »

*Fangirlish sqqueeeeeee*
And Now It's time for... * drum roll please!*
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Re: HOUSEPETS! LA SERIE-S.II EP.20 - LA FINE E IL NUOVO INIZ

Post by lightwolf21 »

Private Elliot wrote:*Fangirlish sqqueeeeeee*
And Now It's time for... * drum roll please!*
What's the drum roll for...? -_-'
Heh. Look at that... I started an actual Housepets! fan-fic.
https://www.housepetscomic.com/forums/v ... 70#p131370
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Re: HOUSEPETS! LA SERIE-S.II EP.20 - LA FINE E IL NUOVO INIZ

Post by Blue Braixen »

lightwolf21 wrote:
Private Elliot wrote:*Fangirlish sqqueeeeeee*
And Now It's time for... * drum roll please!*
What's the drum roll for...? -_-'
Umm... *drumrolls*
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