Housepets: La ballata dei nuovi giorni

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valerio
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Housepets: La ballata dei nuovi giorni

Post by valerio »

OK, here we go! this brief post to introduce a simple concept.
I like writing fanfics, though all of them so far are Marvel-related (oh, the originality!).
I tried with Housepets!, once, on this very same forum... But it came out BAAAAAD. WAY far from the comic's spirit.
Of course, a fanfic does not canonically apply to the very original work -that would be copying ideas, IMHO, and we don't want to copy down the excellent work of Rick-Sama.
I took some time, waited to see where the strip was going, hoping to get it better.
But I was obsessed by another fan-work.
Star-Crossed.
To put it simply, I HAD to develope that idea, one way or the other. I never stopped thinking about it. The perfect P+G romance!
Then other priorities occurred. The fanfic project was not exactly abandoned, but smothered to a nagging voice, while I would distractedly work on some original characters of mine for it.
Then, I happened onto THIS
https://www.housepetscomic.com/forums/d ... php?id=948
Just a translation of a very-well rendered work?
Not until I was informed what that image was related to
And I discovered what Two-Twig added with his not-less beautiful 'Symphony In Periwinkle'
And this lead me to open the gates.
The voice was a thunder! The stage was already set!
I HAD to write down this fanfic!
And in fact, here it goes. First chapter of a long prelude to what's to come.
I am sorry, but for now it is in Italian, as I have not the time to properly write it down in English. If I'll have the time (which is scarce, what with the other projects and all), I'll try a decent translation. For now, since they say that going with a translabot from my language will generate...interesting results, enjoyment should follow all the same.
Please be patient. I am only victim of my own enthusiasm!

EDIT: And A BIG THANK YOU to Zander for allowing me to use his 'Before the Comic' storyline as database for the events here depicted! :D :D
Last edited by valerio on Sun Jun 20, 2010 12:56 pm, edited 7 times in total.
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valerio
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni

Post by valerio »

HOUSEPETS
La Ballata dei Nuovi Giorni
Di Valerio


1.
Casa Sandwich, Babylon Gardens. Ore 06:35

“GRAAAAAAPE!!”
Non poteva essere vero, pensò la gatta, sdraiata nel suo lettino, ancora sospesa a metà fra i dolci effluvi del sonno e la fin troppo chiassosa realtà. Doveva essere un incubo. Persino lui a quell’ora dormiva come un macigno –no, come l’intera scogliera di Dover!
“GRAAAAAAPE!!”
Non era un incubo. La felina creatura dalla pelliccia color lavanda si rigirò in un ultimo, disperato tentativo di ignorare il lungo latrato del suo convivente. Affondò la faccia nel cuscino. Forse, trattenendo il fiato, avrebbe simulato un passabile coma… No, lui avrebbe subito cercato di rianimarla col bocca a bocca.
Non che le sarebbe dispiaciuto, a dire il vero, e su quel pensiero si sentì un piacevole, familiare rossore risalirle le guance. Ma il fiato di quel bietolone era spaventoso, di primo mattino. Memo: regalargli una confezione di Fisherman al suo prossimo compleanno.
“Grape!” questa volta, finalmente, il cane sembrò realizzare di avere un po’ esagerato. Era questi un giovane esemplare dal pelo delicatamente bronzeo, le orecchie ricurve di un marrone più scuro come la coda arruffata. Il ventre e la gola erano di una sfumatura più chiara, e i suoi occhi erano di un pallido azzurro che a Grape immancabilmente ricordavano due frammenti di cielo.
Le c’era voluto un pezzo, per ammettere che Peanut Butter Sandwich era un bel cane. Era una peste, iperattivo, giocoso, spontaneo al limite dell’autolesionismo… Ma erano anche le qualità che in primo luogo l’avevano spinta ad innamorarsi di lui. Non era stato un processo veloce, anzi! Considerando che, per contro, lui si era preso una cotta fulminante nel momento in cui aveva scoperto che la sua cara convivente Grape Jelly era una femmina (ma come si fa a non notare una cosa del genere, quando siamo sempre nudi?!?), lei era stata decisamente guardinga con i suoi stessi sentimenti. E con un senso di colpa ricorrente, si ritrovava a pensare a quanto questo avesse fatto soffrire Peanut.
Ma le cose erano complicate, sì. (Cane + Gatto) + amore = bomba H sociale!
Ma a Peanut non importava, e curiosamente era questo che faceva felice Grape. A suo modo, con quel suo atteggiamento spensierato, con la sua dedizione, e quella sua inestinguibile gioia di vivere, Peanut era capace di dissolvere come un caldo sole l’inverno delle paure di Grape.
Peccato che questa loro relazione clandestina – nella misura in cui il 98.96% degli animali di Babylon Gardens non ne sapeva una cicca – avesse anche dato a Peanut Butter un certo margine extra di confidenza, se mai ce ne fosse stato bisogno, che ora come ora si stava per rivelare causa di imminente ricovero per gravi lesioni.
Grape sospirò nel cuscino, quasi ricavandone una pernacchia. “Ti amo tanto anch’io, Peanut.” Perché, perché non poteva aspettare almeno un’altra ora per le coccole del mattino? Tanto, Papà e Mamma sapevano tutto! Almeno in casa, erano al sicuro. Il vero rischio era che uno dei due cercasse di fotografarli nella loro intimità. Già una volta Grape si era sentita morire, quando aveva scoperto all’ultimo momento che i due umani erano lì sulla soglia a cercare di essere discreti, mentre sui loro volti era stampato un sorriso complice. Lei non aveva fatto avvicinare Peanut per una settimana, dopo. Solo porte chiuse, categorico come l’evitare di stringersi le mani in pubblico o di fare quello che fanno le…altre coppie.
*sigh* Peanut era incapace di frenare la sua gioia, appunto. Fingere davanti a tutti di essere ‘solo amico’ di Grape era una tortura, soprattutto considerando che non passavano il tempo chiusi in casa. Grape, più la nottambula dei due, aveva provato ad organizzare degli appuntamenti notturni, ma Peanut, poverino, si era addormentato appena si sedevano a terra, e una volta aveva rischiato un bel raffreddore.
Le era stato non poco difficile accettare che, quando lui aveva voglia di fare coccole, aveva il diritto di svegliarla dal pisolino… Grape Jelly Sandwich, piccola bugiarda maliziosa! OK, non così difficile: ad un certo punto, le bastava sbadigliare, stiracchiarsi e lui era pronto a fare da cuscino a costo di spaccarsi la schiena. Ed era bello, addormentarsi contro di lui, sentire il rassicurante battito del suo cuore, crogiolarsi al suo calore…
“No! Cioè, sì, ti amo anch’io! Però c’è una cosa che devi vedere, vieni! Alzatialzatialzati!”
Grape sollevò la testa dal cuscino. Ora che era completamente sveglia, notò che i suoi occhi erano due piattini per l’eccitazione, le orecchie dritte per quanto potessero esserle, le punte eternamente piegate in avanti. Scodinzolava così forte che c’era il rischio che decollasse, come quel cane del cartone animato, Muttley. E si mordeva il labbro inferiore per trattenere il fiume di parole che minacciava di esplodere da un momento all’altro. Sì, voleva decisamente descriverle tutto nei minimi dettagli. Forse era meglio che si alzasse.
“Arrivo, arrivo, bietolone, dammi un attimo…” Grape si diede una stiracchiata da manuale, partendo dalla punta delle dita, estroflettendo degli artigli invidiabili per un gatto, inarcandosi tutta, il corpo come un’onda violetta dal ventre chiaro, fino a che la stiracchiata non ebbe raggiunto la lunga e folta coda. Grape condì il tutto con uno sbadiglio da tigre.
Ebbe due effetti desiderati: riportarla al mondo meglio di un caffè, e mettere a tacere Peanut.
Il povero cane adesso sembrava una statua di sale. Le pupille erano ridotte a due puntine di spillo. La coda era eretta come un bastone. La sua bocca era contorta in una curiosa espressione. “Buh…” fece Peanut.
Grape gli diede un bacio sulla guancia. “Allora, questa cosa che ci tenevi tanto a farmi vedere?”
“GAH! Sì, quella! Coraggio, che Mamma e Papà ci aspettano. Mi hanno detto loro di svegliarti, sai?”
Ora sì che la cosa si faceva intrigante. La domenica mattina era, per i genitori dei due animali, giorno sacro per definizione, e non nel senso religioso, ma per l’ineguagliabile possibilità di far tardi a letto. Per questo, persino Peanut era eccezionalmente cauto, a muoversi per casa, a quell’ora. A differenza di oggi. Grape avrebbe dovuto immaginarlo.

Earl e Jane Sandwich. Meccanico e infermiera. Marito e moglie. Genitori orgogliosi. E già vestiti. “Buongiorno, Grape,” disse Earl.
“Di nuovo buongiorno, Peanut,” disse Jane, intenta a preparare il caffè. “Colazione?”
Di solito, per Peanut era già pronta la ciotola con i croccantini. A Grape, la scatoletta veniva rigorosamente aperta sul momento. Stavolta, invece, due panini erano stati predisposti al tavolino dei due animali, insieme ad una tazza di latte. Prosciutto e formaggio per Peanut, tonno e uovo per Grape. “Non credo che avreste voluto perdere tempo, stamattina,” disse Jane, servendo il caffè al marito. La cucina si stava riempiendo dell’odore di uova fritte e bacon.
Jane si chinò ad accarezzare la testa di Peanut. “Andate avanti voi, d’accordo?”
Peanut annuì freneticamente. Prese il panino e ne fece scempio in due morsi, neanche fosse stato lui quello con un passato da randagio ossessionato dallo spettro della fame. Poi Peanut bevve il latte in un sorso, e deglutì rumorosamente. “Andiamo, ora?” fece a Grape, che ancora doveva terminare il primo boccone. “Qual è l’emergenza, papà?” fece la gatta, prendendo un altro morso. “Dovevamo andare da Zio Reuben e nessuno me lo ha detto?” cercò di sembrare casuale nel pronunciare quelle parole, ma se le avessero risposto di sì sarebbe schizzata via dalla pelliccia per essere la prima a entrare in macchina. Non a caso, era stato durante quei memorabili giorni alla fattoria del fratello di Papà, che finalmente lei e Peanut... Nonarrossirenonarrossirenonarrossire! [Eventi avvenuti nell’epico racconto Star-Crossed, di Sinder!]
E non aiutava che Peanut, invece, scodinzolava di nuovo freneticamente, minacciando un bel rosso mattone sul viso.
Earl la salvò in corner. “Sono arrivati i nuovi vicini.”
Grape finì il suo panino e bevve il suo latte. “Tutto qui? Voglio dire, a parte andare ad abitare nella vecchia casa dei fantasmi, cosa c’è di così importante da svegliarsi a quest’ora?” E sbadigliò di nuovo. Per giunta, con tutti i lavori di ristrutturazione che stavano facendo, più che andare ad abitarci, sembrava che l’avessero ricostruita!
“Vai e lo vedrai,” rispose Earl, mettendo mano al giornale. “Vi raggiungiamo fra mezz’ora.”
“Dac!” Peanut prese Grape per il braccio e la trascinò via. “Coraggio, Jellybelly!”
I coniugi Sandwich ridacchiarono discretamente.
Peanut!” ma cosa le era venuto in mente, quando quella mattina d’inverno gli aveva praticamente permesso di affibbiarle un vezzeggiativo!?
Lo aveva guardato in quei suoi begli occhi blu supplicanti, ecco cosa era successo. C’erano solo due persone al mondo che potessero aprirle il cuore a quel modo, e in un certo senso era un peccato non poterle corteggiare entrambe, ma solo Peanut sapeva come farla felice. Un nomignolo non era questa gran tragedia, fin quando non lo ripeteva in pubblico. “E lasciami il braccio, so ancora camminare, sai?”
“Scusa.” Il cane la lasciò andare, ed uscirono di casa quasi al trotto.

La ‘casa dei fantasmi’.
Stava in fondo al viale dove si trovava la casa dei Sandwich. Un tempo, quando ancora molti degli animali che oggi abitavano Babylon Gardens dovevano nascere, quando il vecchio Milton – il fondatore di quell’area aperta gli animali – era ancora vivo, in quella casa era successo qualcosa. Ci abitava una certa famiglia Whiteman, con i loro animali.
Poi era successo qualcosa. Qualcosa di cui gli umani non parlavano. L’unico a sapere tutto di quel mistero era il vecchio Milton, che oggi spingeva le margherite nel vicino cimitero. E gli eccentrici sei furetti, i suoi...singolari eredi universali, o non sembravano saperne niente a loro volta o non se ne curavano –opzione mooolto più credibile, conoscendoli.
Fatto sta che Casa Whiteman era il tipico luogo in cui passare la notte a raccontarsi storie dell’orrore, fra odore di muffa e pavimento scricchiolante. Non c’era cucciolo che, uscendo di lì, non si sentisse dei ‘grandi’. Era stato un giorno triste, quando la proprietà era stata rilevata. Era stato un giorno ancora più triste quando gli operai si erano messi al lavoro. Forse gli umani potevano, più o meno, sopportare il fracasso frenetico dei lavori, ma le sensibili orecchie degli animali, soprattutto i gatti, ne risentivano eccome!
Almeno, tanta frenesia era risultata in una durata più breve dei lavori. E Grape, ora che il silenzio era tornato a Babylon Gardens, vide, o meglio, realizzò per la prima volta, come era stata trasformata l’ex Casa Whiteman, liberata da tutti i paranchi ed i teloni. “Wow.”
Era di gran lunga la più ampia proprietà del vicinato: una villa divisa in un grande corpo centrale di due piani, affiancato da due ampie ali con vetrate panoramiche. Il tetto era sormontato da una cupola nera che contrastava con il bianco avorio del legno del resto dell’edificio.
Il giardino presentava un prato inglese semplicemente perfetto. Il cancelletto di ferro battuto dava su un vialetto di ghiaia circondato da folti roseti dai fiori gialli come l’oro. La cassetta postale mostrava su ogni lato un cane ed un gatto stilizzati, neri, che fronteggiandosi reggevano un cartello che diceva solo ‘Foster’.
E un uomo, in piedi su una scala, stava finendo di apporre sull’arcata del cancelletto un grande festone bianco su cui era scritto ‘Party di Incontro – Tutti gli animali (e padroni) benvenuti – Dalle 9 a Mezzanotte’
“E’ forte, vero?” fece Peanut.
Sentendoli parlare, l’uomo, che indossava una camicia a quadretti con le maniche arrotolate, e black jeans e stivali marroni, si voltò e mostrò a Peanut e Grape un sorriso smagliante e caldo. “Ehilà, guarda guarda chi si vede!” Scese rapidamente la scala e si avvicinò ai due animali. Subito tese loro la mano. “Voi dovete essere i piccoli Sandwich, giusto? I vostri genitori mi hanno parlato proprio bene, di voi.”
Peanut prese la mano e se la strinsero. Grape lo imitò subito dopo. Quell’umano le ricordava qualcuno...
“Sono Martin Foster,” continuò l’uomo.
“Piacere, signor—“ fece Peanut, solo per essere prontamente da un altro di quei sorrisi così contagiosi.
“Chiamami Martin.”
Ecco perché a Grape sembrava così familiare. Peanut era un fan della serie Scrubs, e anche a lei non dispiaceva. In un episodio c’era questo paziente che riusciva ad interrompere anche il personaggio del medico burbero con quello stesso, identico sorriso e quella semplice frase pronunciata come se fosse stato il tuo più vecchio amico d’infanzia: ‘Chiamami Joe’.
Questo Martin Foster avrebbe potuto essere suo fratello. “Sentite,” fece lui, accarezzando la testa a entrambi. “Ora ho davvero molto da fare, e i vostri genitori saranno qui a breve per aiutarmi. Se vi va di darci una mano...”
“Sicuro!!” scattò Peanut, sempre pronto ad aiutare chi glielo chiedeva. Se c’era qualcuno che, crescendo, sarebbe diventato come Fido, Grape avrebbe avuto pochi dubbi su chi scommettere...
“Perché no?” aggiunse la gatta.
Martin si fregò le mani. “Splendido! Ho un totale di roba in cucina che aspetta di essere portata ai tavoli fuori. Non vi preoccupate, per i lavori pesanti ci pensano i miei terremoti. Invece gli altri vi affiancheranno, che facciamo tutti prima.” Voltò la testa verso il giardino e, messa una mano a coppa intorno alla bocca, chiamò, “Ragazzi! Pausa! Venite a salutare i vicini! E voi su, coraggio, entrate.” L’uomo li guidò lungo il vialetto. La ghiaia era fine, scricchiolava piacevolmente sotto le zampe dei due animali. Se davvero erano benvenuti tutti quelli del vicinato, il vialetto, pensò lei divertita, avrebbe avuto bisogno di una seria risistemata. Le rose emanavano un profumo delizioso, sarebbe stato un peccato se anche quelle fossero state rovinate*Uhff!*
“Peanut, macché—“ si lamentò lei, dopo avere colliso con la schiena del cane che si era fermato di colpo. E perché il sole era di colpo scomparso... “Oh.”
Grape ebbe una visione del suo primo incontro con un gatto – no, un gattone – amico di Max, un tale Ivan. [Symphony in Periwinkle, no. 4] Era rimasta a dir poco terrorizzata dall’improvvisa apparizione di quel mostro felino che, per quanto simpatico, i gatti sembrava mangiarseli lui, per colazione.
“Siete grossi,” disse Peanut, ammirato.
’Grossi’ era un eufemismo. Questi due cani erano due accidenti di montagne. Innanzitutto, erano alti. Arrivavano al petto del loro padrone. Rex, il cane fino a quel momento classificato come il ‘gigante’ del vicinato, quelli se lo potevano sbocconcellare per snack. Due gemelli maschi, identici fino all’ultimo pelo della pelliccia neroinchiostro, con una sfumatura rossa sul torace e sulla gola, ma mista al nero, come se una soffusa luce sanguigna stesse brillando nell’oscurità del loro petto. La loro razza era indefinibile, come se un artista particolarmente vezzoso avesse voluto armonizzare il corpo di un doberman con la robustezza e il muso di un lupo, e aggiungendo il manto di un nero alsaziano. I loro occhi erano, in netto contrasto con quelle minacciose figure, due pozze nocciola piene di allegria, e le loro espressioni riflettevano tale stato. Infatti, chinandosi in avanti e tendendo delle zampone come badili, dissero all’unisono. “Molto piacere!”
“Peanut Butter, Grape Jelly,” disse Martin, posando una mano su entrambi i colossi, questi sono Antares ed Aldebaran.”
Udendo i loro nomi, Peanut, impegnato a farsi divorare le mani da quelle strette, concentrò immediatamente la sua attenzione sui loro collari. “Oh!” Il suo sguardo tornò ad illuminarsi alla vista dei pendenti. Toccò la medaglietta a forma di stella rossa di Antares. “Supergigante rossa della costellazione dello Scorpione!” disse con entusiasmo, e toccando poi la stella arancione di Aldebaran. “Gigante arancione della costellazione del Toro!”
“Bene, bene, bene,” dissero sempre in totale stereofonia i due gemelli, scambiandosi uno sguardo ammirato. La loro voce era sonora, potente come c’era da aspettarsi, ma con una qualità tenorile molto musicale. “Abbiamo un cucciolo istruito, qui,” disse Antares. “Ci piacciono i cuccioli istruiti, vero fratello?” disse Aldebaran.
“Mi piacciono tanto, le stelle,” disse Peanut. Grape sperò che non iniziasse a fare la sua tirata di come avrebbe voluto fare l’astronomo, stavano già facendo perdere abbastanza tempo a questa gente...
Un altro lampo di memoria. Le stelle, sì. Luminose, nel cielo sopra la fattoria di Zio Reuben, splendenti e bellissime testimoni del loro primo bacio, e di quelli che erano seguiti, delle loro prime promesse di innamorati... E poi, Peanut che con dedizione le spiegava tutte le costellazioni indicandole una ad una...
La gatta deragliò dal viale dei ricordi, quando la voce di Martin disse, “E voi due, che state lì a fare i timidi? Coraggio, che non vi mangiano mica.”
Grape sperò che non fossero altri due mostri come questi. Già era sicura che non avrebbe più dormito tranquilla, sapendo che Peanut si sarebbe messo a giocare con loro...
Due figure avanzarono da dietro i cani gemelli. Quando a Grape quasi cadde la mascella, stavolta non era decisamente per timore.
Non era da lei fare la svenevole, cioè, se avesse incontrato l’attore che interpretava Petir nel film delle Pridelands, era sicura che avrebbe avuto bisogno di un polmone artificiale per stare in piedi, e una delle tigri allo zoo valeva ben una visita di tanto in tanto...
Questo animale domestico non era una tigre o un leone, ma doveva essere il principe di tutti i gatti! Il suo mantello era medio, bianco –di un bianco semplicemente perfetto, ultraterreno, come se la luce del Sole fosse stata usata per dipingerlo. Non aveva un corpo robusto, ma ogni suo movimento parlava di forza ed eleganza. Le sue orecchie erano due triangoli perfetti, ampie ma non troppo. I baffi delle linee perfettamente parallele. E i suoi occhi erano di un giallo che solo una stella poteva possedere.
Grape pensò vagamente che se avesse conosciuto questo spirito incarnato prima—
*Hrumph* “Grape?” fece Peanut, dopo essersi schiarito la gola. Lei tornò con i piedi per terra. E vide che accanto al gatto c’era un cane, una femmina, per la precisione. Un pastore tedesco che, come il gatto, era bianca come la neve più pura. I suoi occhi erano di un blu come la più rara tormalina. L’altra nota di colore che mostrava, la sola, era un perfetto diamante nero sulla fronte.
“Questi,” continuò Martin, indicando prima la femmina poi il gatto, “sono Mizar e Alcor.”
“Stelle binarie!” esclamò Peanut. “Costellazione dell’Orsa Maggiore!” E a riprova, i pendenti dei collari neri erano a forma delle suddette, bianche stelle.
“Piacere,” disse Mizar, tendendo la mano. Grape la strinse. Almeno, questa ragazza non sembrava svampita come Sasha...o peggio, come Daisy. Sperava anche che non fosse...strana, come Tarot.
“Piacere mio,” disse Grape, per poi rivolgersi ad Alcor. “Molto lieta.”
Martin disse, “Ragazzi, fate fare loro una breve visita e portateli in cucina per farvi aiutare con le provviste, Ok?”
“No prob,” rispose Alcor.
“E voi due,” continuò l’uomo, spingendo i cani-montagna per le spalle, “Hop hop, che abbiamo tanto da fare.”
“Awww, papà!” protestarono quelli in coro. Era difficile solo immaginarli così remissivi. Ci sarebbe voluto un trattore solo per spostarli, se lo avessero voluto. Poi Aldebaran voltò la testa all’indietro. “Alcor, fagli vedere il sito!”
“E chiedigli un autografo!” aggiunse Antares. “Mi raccomando!”
La coppia albina accompagnò Peanut e Grape in casa. “Mi sa che sarà un giro breve. Coraggio, meglio accontentarli quei due bietoloni, o me la fanno pagare fino alla prossima generazione.”
“Alcor...” lo ammonì Mizar.
“Lo sai come sono, no? Quando ci si mettono, sono rinoceronti alla carica.”
La femmina sospirò, rassegnata.

L’interno di villa Foster era non meno splendido dell’esterno. Sobrio, i mobili giusti in una sinfonia di legno caldo in stile antico contro la fine ardesia che correva in pannelli lungo i muri. Lampadari e portalampade alle pareti erano di nero ferro battuto. Tutto odorava di nuovo, e l’aria era fresca. Le finestre proiettavano sciabole di luce.
Alcor e Mizar guidarono i loro ospiti verso l’ala destra della villa. “Lì ci sono le camere dei due terremoti. Le nostre invece sono sull’ala opposta, se dopo vorrete vederle. C’è una terza ala, la sala ricreazioni, e dà sul retro. Quella è forte. Papà ci tiene di tutto, videogiochi, DVD, giochi da tavolo, giochi di carte... In realtà, la roba la tiene in un locale ricavato da una parte della cantina, la stanza serve per utilizzarlo.” Alcor mostrò un sorriso pieno di denti splendenti come il suo pelo. “Saremo felici di avervi numerosi, qualche pomeriggio.”
Grape pensò che si sarebbe sciolta. Peanut disse, “Sono sicuro che Joey e i suoi amici faranno i salti mortali per venire qui. Adorano un sacco D&D, ce lo avete?”
“Ogni singola edizione ed espansione. Papà è maniacale, in questo, quello che gli piace lo compra senza scartarne nulla. Eccoci arrivati.”
La stanza dei due gemelli spiccava per due cose: era ordinata, ed era piena di libri. La vetrata panoramica illuminava ampie file di romanzi, saggi, fumetti, e un’ampia scrivania con su due grandi laptop. Un grosso letto di ferro battuto ed uno spesso materasso, disposto accanto alla finestra, completava l’arredamento.
“Però,” fece Grape, scorrendo la libreria. Vide un sacco di roba che Max avrebbe letto, inclusa, guarda guarda, la serie completa di Pridelands... Lei sospirò. Max, sciocco, sciocco gattaccio, l’unico che fosse riuscito ad avvicinarsi tanto così a lei... solo per sprecare le proprie occasioni. E se da una parte lei era stata sollevata di non dovere cercare scuse elaborate per chiudere il loro affaire, era sempre dispiaciuta di averlo per prima cosa illuso verso una relazione.
E solo perché era stata troppo orgogliosa persino con se stessa per ammettere quello che già sapeva, che era Peanut che amava...
“GRAAAAAPE!” e quasi ebbe un infarto. Ma quel cane era una specie di telepate, per riuscire a farla deragliare con simile puntualità da quei pensieri? Doveva fargli proprio un discorsetto, pensò, mentre si avvicinava alla scrivania sulla quale Peanut era chino come se avesse voluto entrare nello schermo del laptop. “Allora, cosa c’è di così importante, stavolta?” E lo vide.
Se Grape aveva un certo timore ad esprimere pubblicamente i suoi sentimenti più intimi, Peanut viveva uno strano paradosso: gli piaceva disegnare un suo fumetto, Le Avventure di Spot (Supercane), ma era timorosissimo dell’altrui giudizio sul suo lavoro artistico. Non era infrequente che ogni tanto facesse per ripensare sulla sua carriera artistica, preda di quel timore totalmente fuori posto, considerando che, se lei non lo avesse tenuto al guinzaglio, lui sarebbe salito sul tetto di casa ed avrebbe declamato al mondo intero il suo amore per lei e al diavolo le reazioni degli altri animali.
Grape era miracolosamente riuscita a convincere Peanut a pubblicare online, con l’aiuto di papà, su un sito di quelli gratuiti, la cronologia delle sue strisce, per la sola lettura. Niente casella di posta per i giudizi o roba simile.
Che qualcuno ci avesse fatto su un blog era una sorpresa. Right on the Spot! Un blog di Antares ed Aldebaran per il più grande eroe canino di Peanut Butter Sandwich! C’era di tutto, un meticoloso archivio cronologico, sezione commenti... E uno spazio di fan-art.
Se Babbo Natale fosse venuto a fare personalmente visita a Peanut portandogli tutti i suoi giocattoli preferiti nel suo sacco, non avrebbe potuto fare più felice quel cucciolone. “Hai visto, hai visto? C’è anche uno spazio sul come funziona l’Orfanite! Io ci ho provato a spiegarla, ma non avevo mai il tempo perché intanto pensavo ad un altro fumetto e avevo voglia di metterlo giù, e*hrmpff!*” terminò, quando una zampa viola gli si chiuse sul muso.
“Credo di avere capito, scioccolone,” disse Grape, rivolgendosi poi ai due albini. “Quei due bestioni sono pieni di sorprese, devo dire. Quei libri di Pridelands, sono loro o glieli avete prestati?”
“Sono loro,” rispose Mizar. “Noi abbiamo le nostre copie. Papà si è assicurato che non dovessimo rivaleggiare, per la nostra roba. E ora su, abbiamo ancora da fare e mancano neanche due ore alla festa.”
Peanut accettò di malavoglia di allontanarsi dal computer. Ventiquattr’ore, e avrebbe aperto un account Facebook, garantito! Poi, la sua attenzione tornò a concentrarsi sull’interno di Villa Foster. “Papà deve averne tanti, di soldi.”
“Ha vinto una lotteria,” rispose Alcor. “Da studentello squattrinato a futuro gestore del rifugio.”
“Chiedo scusa..?” fece Grape.
“Non lo sapevi?” Mizar sembrava sinceramente sorpresa. “Con l’aiuto dei furetti Milton, ha rilevato la gestione del rifugio e lo ha privatizzato. Comincia a lavorarci già da domani.”
“Ci ha fatto vedere una parte dei suoi progetti,” aggiunse Alcor. “Vuole apportare grandi cambiamenti, tutti in meglio. Con un po’ di fortuna, già entro un mese il lager dove siamo stati diventerà solo un brutto ricordo.”
“Siete stati lì?” chiese Grape, sentendosi irrigidire istintivamente. I ricordi che affiorarono alla sua mente erano ancora immagini stampate nel fuoco del dolore e dell’amarezza. L’abbandono, il lungo vagabondaggio senza altro scopo che la pura sopravvivenza, quella terribile fame, e—
“Grape..?” la voce preoccupata di Peanut e le sue mani sulle sue spalle furono un’interruzione questa volta più che benvenuta –anzi, Grape si sarebbe gettata direttamente a farsi abbracciare, ma di nuovo quell’insistente, odiosa vocina che le diceva di non fare brutte figure, la trattenne. La gatta lasciò andare il fiato trattenuto per quasi un minuto in una lenta esalazione. “Sto bene, Peanut, sto...bene. Scusatemi.”
Erano entrati in cucina senza che neanche lei se ne accorgesse. Mizar iniziò a disporre una serie di snack su un vassoio metallico. “Sappiamo cosa provi, non devi scusarti. Se non fosse stato per Alcor, credo che...” toccò alla femmina di rabbrividire. “Papà ha giurato che farà il possibile per fare la sua parte perché simili cose non si ripetano. Ci dà tutto quello che vogliamo non per viziarci, ma perché non vuole che ci manchi qualcosa. Ci chiede solo di riflettere su quello che desideriamo, sono gli sprechi una delle cose che detesta.”
“Non immaginavo che quei due botoli apprezzassero tanto i libri. Non mi sembrano i tipi che vanno oltre i fumetti, senza offesa Peanut.”
Alcor ridacchiò. “Ce ne hanno date, di sorprese. E anche se per me rimarranno a vita due bietoloni, sono più protettivi di un intero branco di lupi. Credimi, dolcezza, pagheresti un bel biglietto per vederli arrabbiati...da molti chilometri di distanza.”
“Non devi convincermi.”
I quattro animali restarono in silenzio per un po’, mentre riempivano vassoio su vassoio. Grape ricordava quando era stata al Yarn Ball di due anni fa. I gatti del vicinato si erano dati da fare per radunare quanto più cibo possibile per un evento che durava tutta la notte fra balli, canti e divertimento. Niente di quella roba si poteva lontanamente paragonare alla qualità ed abbondanza del cibo in questa cucina grande come una di quelle d’albergo. “E’ tutto per gli animali?”
Anche per loro,” rispose Mizar. “A parte i cioccolatini ed altri cibi che vanno bene solo per umani, l’idea di Papà è che tutti gustino lo stesso tipo di pietanza. Lui odia davvero le differenze imposte dai canoni sociali.”
Mi ricorda qualcuno, pensò Grape, lanciando un’occhiata a Peanut, intento ad accompagnare Alcor nella preparazione di una piramide di tartine.
“Siete finiti insieme, al rifugio?” chiese improvvisamente Peanut. Naturalmente, aveva cercato di metterla giù casualmente, ma la sua curiosità era come un neon lampeggiante nei suoi occhi.
“Peanut!” scattò Grape.
“Non ti preoccupare,” disse Alcor. Lui, invece, non sembrava angosciato da quei ricordi. Ottimo attore, immaginò Grape. Certe esperienze...
“Per prima cosa, non eravamo insieme, prima di finire in quel posto. E poi, è stato quasi come finire in un albergo, in un certo senso.”
“Sulla strada, ci siamo nati e cresciuti,” intervenne Mizar. Avendo finito col suo vassoio, lo prese e si diresse verso l’uscita. “Siete pronti, voi?”
Peanut e Alcor presero entrambi un’estremità del loro vassoio. Grape prese il suo. Mentre si dirigevano verso il giardino, il pastore tedesco continuò a parlare. “Non abbiamo mai saputo cosa fosse, una ‘famiglia’ di casa. I nostri genitori, quelli biologici, vissero giusto il tempo di svezzarci. Dopo...dovemmo fare tutto da soli.”
Grape, quando ancora si chiamava Principessa Pervinca, aveva speso, cosa? Un paio di settimane, forse tre, in quell’incubo a occhi aperti.
Che qualcuno potesse viverlo per una vita intera... Ma come facevano quei due a non avere un diavolo per capello al solo ricordo..?
Forse – no, forse un bel niente! – interpretando il suo sguardo, Alcor disse, “Papà è...speciale. Ci ha messo un’eternità e tutta la pazienza che un umano possa avere, per tirarmi fuori dal guscio e convincermi a vivere con lui. Certe volte...” sospirò. “Ma credo che, quando avrà un minuto libero, sarà felice lui di spiegarti tutto, credimi.”
Arrivati in giardino, posizionarono i vassoi sui tavoli come indicato da Martin. Intanto, i coniugi Sandwich erano giunti sul posto, e stavano parlando di fronte ad un set da barbecue fantascientifico.
---
Da ragazzo, Earl Sandwich aveva conosciuto un solo modello di barbecue, il “George’s Kettle”. Come con l’auto di famiglia su cui si era lungamente impratichito anche solo per passare il tempo, in mancanza dei giocattoli e passatempi più sofisticati dei suoi vicini coetanei, Earl aveva imparato bene a padroneggiare quel modello che, a dire il vero, vinceva agevolmente la sfida del tempo. E se anche il signor Sandwich non era amante dei fronzoli tecnologici, be’, su certe cose poteva chiudere un occhio.
Come sul mostro di Martin. ‘Barbecue’ era decisamente riduttivo, lì c’era di tutto! Due televisori al plasma, tre frigoriferi, dispenser per la birra, spazio per carbonella e legna, due bombole di gas, e almeno sei set diversi di cottura, dalla carbonella all’irradiatore...
Earl era commosso. “VulcanMaster-2000. Certe volte avrei voluto vendere un rene, per averne uno.”
“Fico, eh?” Martin diede una pacca alla sua creatura. “Dovrebbe bastare, per oggi, ma avrò bisogno di qualche mano ad aiutarmi. Ci saranno dei gran viaggi da fare, con un quintale della migliore carne del Texas che aspetta solo di essere passata su questo bambino! Penso di avere coperto più o meno tutti i tipi essenziali di salse, quindi...”
“Sono sicuro che Bill e i lupi saranno i primi ad offrirsi volontari,” annuì Earl.
Martin sollevò un sopracciglio. “I lupi..?”
Earl non staccava gli occhi di dosso da quella meraviglia della tecnologia culinaria. “I lupi che lavorano come guardie del corpo dei furetti Milton. Sono delle brave creature, e credo proprio che li scambieranno per dei cagnolini, con i tuoi bestioni in giro. Bill, sai, il poliziotto che ti ha fatto l’ispezione...” Martin lo ricordava fin troppo bene. Un brav’uomo, l’Agente Bill, preciso e meticoloso, ed anche lui molto affezionato al suo cane, Fox, del quale aveva mostrato una foto ad ispezione terminata. “...Be’, lui pensa che nessuno come loro sappia fare una buona bistecca molto al sangue.”
Martin annuì. “Li considero reclutati, allora.”
“Una curiosità,” disse Jane. “Da dove saltano fuori, Antares e Aldebaran? Insomma, non ho mai visto una cosa del genere.”
“Ah, sono una razza nuova, il Hirs’kyy̆ korol’. Il ‘Re della Montagna’, in ucraino. Non è stata ancora riconosciuta qui negli USA, e non vi dico che inferno burocratico è stato, procurarmi tutti i visti, ma ne è valsa la pena. Fin da quando vidi una foto di una loro cucciolata, in rete, me ne innamorai all’istante. Vogliono usarli soprattutto per soccorso ed operazioni militari. Alcuni allevamenti,” e qui l’espressione di Martin si adombrò per un istante, “selezionano solo i tratti più aggressivi. Antares e Aldebaran avrebbero dovuto essere stati...scartati.” E dal modo in cui pronunciò quella parola, si capiva cosa intendesse. Earl simpatizzò con lui, era una barbarie inaccettabile che nel 21° secolo ancora si pensasse alla vita di un animale come di un oggetto disponibile. “Me li hanno ceduti sottocosto, ma avrei pagato qualunque prezzo.” Poi tornò ad illuminarsi in quell’espressione contagiosa. “E il modo in cui sono venuto in contatto con loro, che mi ha spinto a considerare come gestire il rifugio. Vedrete, sarà il mio capolavoro.”
“Come ha fatto, invece, con Alcor e Mizar?” chiese Jane.
“Oh, quella sì che è stata un’avventura!” rise Martin.
---
“Io ero nella mia gabbia già da un mese, quando portarono dentro Alcor. A qualche inserviente spiritoso venne l’idea che due animali bianchi si sarebbero fatti più compagnia.
“La prima settimana lui si rifiutò di intavolare qualunque conversazione, e devo ammettere che con le sue risposte alle mie domande ho imparato più profanità di quante una signora, persino di strada, dovrebbe conoscerne.”
Erano rientrati in cucina, per riempire altri vassoi. Alcor disse, “Ero…diverso. Avevo la strada nel sangue, non conoscevo altro mondo, e trovarmi in quella cella era una tortura. Cercavo la lite con gli umani solo per essere sbattuto fuori di lì, in un modo o nell’altro. E se significava finire…nella…” il gatto si muoveva con gesti meccanici, lo sguardo assente, ma era visibilmente teso. Avrebbe potuto pugnalarti con gli artigli, se solo gli avessi sfiorato la coda. Peanut, bontà sua, lo capì ed evitò anche solo di aprire bocca.
Poi, Alcor sembrò ritrovare il controllo. “Non furono le parole di Mizar, ad aprire una breccia: furono i suoi uggiolii. Vedete, passavo il più delle notti sveglio, a guardare il cielo. La notte, quasi tutti gli animali si calmavano, per quanto possibile, e io avevo qualche ora per essere davvero solo con i miei pensieri.
“Non avevo fatto caso ai versi che Mizar emetteva nel sonno, fino a quel momento. Ma quella notte in particolare, me ne accorsi. Lei aveva sempre fatto il possibile per tenermi su di morale, per farmi compagnia in quella bolgia dove ognuno era solo col suo dolore, ed io mi ero comportato come una carogna solo perché era un cane.
“La notte, lei era sola con i suoi incubi, la sentivo agitarsi e uggiolare, e improvvisamente pensai che lei non aveva nessuno a tirarla su. Così, chiamai il suo nome, e lei si svegliò di colpo.”
“Parlammo tutta la notte,” continuò Mizar, tagliando un grosso panettone salato. “Al mattino, ci sentivamo la gola roca e ci vollero quasi due ciotole d’acqua per placare la sete. Ma ci sentivamo molto meglio. Soprattutto, avevamo legato.” Rivolse uno sguardo amorevole al gatto. Uno sguardo inequivocabile sia per Grape che per Peanut.
Alcor diede voce ai loro pensieri. “E’ così che ci innamorammo. Ad un certo punto, tutte quelle stupidaggini sulla differenza di specie non ebbero più importanza. Il nostro tormento erano diventate le pareti che ci impedivano anche solo di vederci. Avrei scavato una via fino a lei fino a spezzarmi gli artigli, se necessario, ma se lo avessi fatto, temevo che mi avrebbero portato via, e quel pensiero era improvvisamente peggiore della morte stessa. Così, imparai a fare il bravo con gli umani.”
“Era così angosciato, ogni volta che sembrava che un umano veniva a visitarmi per una possibile adozione. Credo che trattenesse il fiato per tutto il tempo delle visite. E ogni volta che tornavo in gabbia, perché le femmine sono meno ricercate dei maschi, lui era così sollevato.”
Alcor arrossì per la prima volta in quella giornata, mentre apriva una nuova confezione di tartine. “La mia ossessione era la sua felicità. Non importava cosa potesse succedermi, ma volevo che stesse bene. Ma allo stesso tempo, ogni volta che immaginavo una vita senza di lei, mi sentivo come se una mano crudele mi togliesse un pezzo d’anima, riportandomi al ferale selvaggio che ero stato.
“Quando Martin arrivò, seppi dal suo sguardo che voleva adottarmi. Quella sua espressione benevola mi parve la cosa più odiosa che potessi immaginare, significava che rischiavo di essere separato da lei. Sfoderai con quell’umano tutta la mia cattiveria, ma lui persistette. Non si arrese neppure quando…” Alcor interruppe il suo lavoro per fissarsi una zampa, flettendo gli artigli. Sospirò.
Fu Mizar a riprendere per lui. “Fui io, a convincerlo a smetterla. Anche io soffrivo immensamente all’idea di perderlo, ma se avesse avuto una vita migliore, la mia non aveva importanza. Così, quando Martin...Papà, tornò per l’ultima volta, Alcor accettò. Poverino, fino a quel momento, non aveva mai tirato fuori una voce così mesta.” Gli occhi le si fecero lucidi. “E nonostante tutto, fu così sciocco da correre un ultimo rischio.”
“Gli chiesi che sarei venuto a vivere con lui…se avesse preso anche lei. E Papà, con quell’espressione come se gli avessi chiesto com’era la giornata in una bella giornata d’estate, disse ‘Ma certo! Qualunque cosa, se ti fa felice!’”
Peanut aveva gli occhi lucidi e un’espressione sognante come una ragazzina al suo primo film romantico. “Awww!”
Grape era perplessa. “Quindi, non avete alcun problema a mostrare la vostra, ah…”
“Si chiama ‘re-la-zio-ne’,” la rimproverò gentilmente Mizar, per poi darle un colpetto sul naso col dito. “Come la tua con Peanut.”
Grape desiderò molto essere altrove.
Alcor terminò con il suo vassoio. “Ragazzi, non so voi, ma per quanto ci riguarda, la vita ci ha servito un mazzo di carte bello truccato. Abbiamo pagato il nostro debito alla strada, e abbiamo scoperto una cosa meravigliosa nell’ultimo posto dove ci saremmo aspettati di trovarla. Ci siamo fatti una promessa, che non è solo quella di amarci, ma di stare insieme, sempre, di non essere separati da niente e da nessuno, costi quel che costi.” Alcor rivolse a Mizar uno sguardo profondo. Il suo tono era serio come non mai. “Possono deriderci, possono tirarci addosso le pietre, possono escluderci dai loro circoli… Ma una cosa non otterranno mai, da noi: non chiederemo scusa per quello che proviamo. Semmai, devono essere coloro che ci sbeffeggiano a chiedere scusa, per essere delle anime così tristi da soggiogarsi alle ‘convenzioni sociali’.”
Peanut guardava Alcor come se fosse stato Spot. Il cucciolone aveva appena trovato il suo eroe. Poi ritrovò la sua compostezza…o, meglio, prese a fare quel gesto di picchiettarsi gli artigli degli indici mentre abbassava testa e orecchie. “E come lo avete capito?” Poverino, aveva comunque una paura matta di avere esagerato. In questo, almeno cercava di rispettare il volere di Grape.
“Appena abbiamo menzionato la nostra storia, vi siete lanciati uno sguardo…” disse Mizar. E a Grape, “Sì, anche tu. Sai come si dice, no? Ce ne vuole uno per riconoscerne un altro.”
“Be’,” fece Grape, prendendo un vassoio colmo, “Felice per voi piccioncini, ma scoprirete che qui non si va molto avanti giocando a fare i fuori casta. Non lo sapete ancora, ma il Club del Buon Cane, che è di fatto il riferimento di tutti i cani del vicinato, che gestisce ogni evento riguardante gli onorevoli sacchi di pulci…”
“Grape!” uggiolò Peanut.
“…è guidato da questo cane pazzo di nome Bino che si crede Der Fuehrer, e che per qualche ragione nota solo agli déi canini è un leader a cui danno retta. Se solo ci fosse non dico un outing, ma un pettegolezzo su me e Peanut, dovremo passare il resto dei nostri giorni a guardarci le spalle dalla cricca di Bino, e non oso nemmeno immaginare cosa faranno gli altri gatti. E per quanto io adori rompere le scatole ai cani di tanto in tanto, temo, no, anzi, sono sicura che le loro ritorsioni verso Peanut sarebbero tali da farmi pentire solo di avere pensato di innamorarmi di lui!” Si era fermata prima di arrivare in giardino. Non si voltò per non fare cadere il vassoio, ma la familiare ira che permeava la sua voce quando era così sotto stress diceva abbastanza. Grape tirò un profondo respiro. Non davanti a Papà e Mamma! “E non voglio che corra dei rischi, non per me. Lui…è speciale, per me, questo lo capisci? Impazzirei, se gli succedesse qualcosa, e allora sì che le cose andrebbero a rotoli, per cui, coppia di stelline, lasciate me e Peanut fuori dalla vostra sfida alle convenzioni sociali. Chiaro?”
Da quel momento, non fu aggiunta parola fino a che non ebbero finito.
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Two_Twig
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni

Post by Two_Twig »

Jellybelly

No seriously this is an awesome story. I love the plot and all the new characters you've introduced; and the similar conflicts Mizar and Alcor share with P+G has my interest piqued to a ridiculous high. Needless to say, I cannot wait to see what happens next :0

P.S. I'm trying to imagine Bino as Der Fuehrer and the idea has me in a tremendous slew of giggles.
Hold still ~I'M PAINTING THE WORLD
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SIP. When is the next update coming? When you least expect it
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valerio
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni

Post by valerio »

Be patient, o inspiring muse. For I am in a creative spree and will have part 2 ready (hopefully) by tomorrow...
Oh, and thank you for the appreciation :mrgreen:
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Dr. Prower
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni

Post by Dr. Prower »

And I need to translate all this...where can I do that?
I ship Grape&Peanut and support King&Bailey
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IceKitsune
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni

Post by IceKitsune »

Man I really want to read this story I'll have to go though it later (because right now I'm not in the mood to Copy and Paste everything into a translator.) I wish I knew Italian.
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Teh Brawler
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni

Post by Teh Brawler »

Dr. Prower wrote:And I need to translate all this...where can I do that?
That's why I'm glad I have Google Chrome. It'll do that for you. :D
DOH HO HO WELL THEN
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Zander
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni

Post by Zander »

Teh Brawler wrote:
Dr. Prower wrote:And I need to translate all this...where can I do that?
That's why I'm glad I have Google Chrome. It'll do that for you. :D
yay! high five for chrome buddies!

I'm just going to wait till its translated. I want to bask in its original glory. not some horrible translated version from Google :P
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Don't judge each day by the harvest you reap but by the seeds that you plant.
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni

Post by Teh Brawler »

Zander wrote:
Teh Brawler wrote:
Dr. Prower wrote:And I need to translate all this...where can I do that?
That's why I'm glad I have Google Chrome. It'll do that for you. :D
yay! high five for chrome buddies!

I'm just going to wait till its translated. I want to bask in its original glory. not some horrible translated version from Google :P
That's why I haven't finished it yet. Google's no good at translating. :P
DOH HO HO WELL THEN
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The Game
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni

Post by The Game »

Teh Brawler wrote: That's why I haven't finished it yet. Google's no good at translating. :P
amen to that
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IceKitsune
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni

Post by IceKitsune »

Ok I finally read it and even though the translation from google wasn't that great I really liked it, this was a great start and I can't wait for the next part to be put up. I also agree with Two Twig imaging Bino as Der Fuehrer is hilarious.
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valerio
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni

Post by valerio »

HOUSEPETS
La Ballata dei nuovi giorni
di Valerio

2.
Villa Foster, Babylon Gardens, Domenica, ore 07:40

“Non si stancano?” chiese Earl, mentre preparava le varie sezioni del barbecue, aiutato da una radiocronaca trasmessa attraverso la radio inserita nel ponderoso sistema da cucina.
Antares e Aldebaran continuavano a trasportare sacchi di carbonella, spostare mobili, il tutto chiacchierando come se avessero avuto un’inesauribile riserva polmonare. Earl aveva un’istintiva ripulsa al pensiero di un animale che faticava, a meno che non fosse strettamente necessario. Per lui, il concetto di ‘membri della famiglia’ si applicava con la massima dignità possibile, ed era felice di vedere che Martin non era da meno. O forse no..?
“A dire il vero,” disse Martin, “è il loro sostitutivo della palestra mattutina. Per una volta, fanno qualcosa di diverso dal solito tran-tran.”
“Palestra..?” fece Earl Sandwich, sollevando un sopracciglio.
“Yup. Con tutto il rispetto, capo, loro non si tengono mica così in forma solo con qualche passeggiatina. Tutte le mattine, due ore di sessione che spaccherebbero la schiena ad un marine. E rimane loro abbastanza energia per tutto il resto che fa un cane normale per divertirsi. Non dimenticarlo, sono cani militari questi.”
“Vero,” si ricordò Earl. Poi sorrise. “Sono subito andati d’accordo con Peanut e Grape.”
Martin Foster ridacchiò. “Sono le macchine della verità ambulanti. Se pensano che qualcuno sia una brava persona, umano o no, posso fidarmi ciecamente del loro giudizio.” Di nuovo, il suo volto, si rabbuiò per un attimo. In quei momenti, era come se un’altra persona prendesse il suo posto… “Earl, riguardo Grape…”
“Sì?”
Martin sembrò pensarci su, poi tornò ad essere il suo solito sé stesso gioviale. “Ahh, solo un’impressione. Scusa, ma con tutte le cose che ho per la testa, le memorie cominciano ad accavallarsi. Di questo passo, fra un anno sarò pronto per essere ricoverato dove lavora tua moglie. A proposito della quale…” attivò il microfono bluetooth che portava all’orecchio. “Jane, magnifica signora del focolare, a che punto siamo con le insalate?”
---
Jane stava lavorando come un chirurgo ad una serie di coppe piene di verdure, circondata da diversi attrezzi e condimenti che neppure credeva esistessero. Le patate ed altri ortaggi da cuocere si stavano scaldando in un enorme forno a microonde. In un paio di pentole bolliva il riso. “A meraviglia, grazie per avere comprato quelle pretagliate, almeno devo solo aprire e mescolare.”
Per quanto non fosse una patita della cucina, Jane doveva ammettere che si sentiva la cuoca di un albergo a cinque stelle, là dentro! Ci si poteva nutrire un reggimento. Oppure due cani giganteschi molto affamati. La sua testa vacillava all’idea della quantità di soldi che simili creature richiedessero per la sola alimentazione, e non avevano l’aria di andare avanti a croccantini. Grape, una volta, aveva parlato della sua precedente famiglia, di come le crescenti difficoltà economiche avessero portato al suo abbandono… e Dio lo sapeva a quale destino per il povero cane Lucky, con cui viveva. Hmph, bel cane ‘fortunato’!
Jane riprese a lavorare all’insalata…quando l’idea la folgorò così rapidamente che lei sobbalzò come se davvero una scossa elettrica le avesse attraversato il corpo.
Toccò a lei di attivare il microfono. “Martin?”
---
L’uomo stava lavorando su un vero e proprio palco provvisto di batteria, due chitarre, microfoni, violino, tastiera e piano –solo alcuni di essi a misura di animale. Sembravano esserci abbastanza luci da accendere un capodanno fuori stagione “Ascolto ed obbedisco, regina.”
“Ma lei è mai serio?” ridacchiò lei.
Lui verificò una seconda volta le connessioni delle apparecchiature. “Solo quando devo pagare le tasse. Allora?”
“Lei assume personale?”
“Qui alla villa? Be’, ho un servizio di pulizie, un giardiniere, e tutta una serie di prestazioni…”
“Al rifugio.”
“Prego spiegare.”
“Lei ha—“
“Mia cara, fai come Earl e dammi del tu, o comincerò a pensare di essere mio nonno.”
“Scusa. Dicevo, hai detto di avere intenzione di riscrivere la politica gestionale, giusto?”
“Esatto. E quindi sì, sostituirò una parte del personale con gente che degli animali si cura, non che li vede come un lavoro. Se posso essere onesto, mi dispiace solo di non avere un plotone di esecuzione, per quelli che sbatterò fuori.” Jane non lo vide diventare di nuovo torvo. Poi tornò il gemello buono. “Vuoi raccomandarmi qualcuno?”
“Vorrei lavorare per te.”
“Qualifiche?”
“Come Mamma di Peanut e Grape, pensi che abbia fatto un lavoro abbastanza buono?”
“Antares e Aldebaran dicono di sì. E anche Mizar e Alcor. Teoricamente, hai l’esperienza… Praticamente, ah, è un lavoro molto stressante. Anche se le condizioni saranno ben diverse da quelle che troveresti oggi, comunque si tratta di sapere confortare delle creature tristi, ostili, confuse, ferite…” Martin si morse il labbro. “Può chiedere molto a chi già ha una famiglia di cui occuparsi, quindi se ancora pensi di farti sotto, va bene, ma ti farò un contratto a termine che rinnoveremo tacitamente salvo tua diversa indicazione, che ne dici?”
“Dico che va bene.”
“Hm.” Martin trovò uno spinotto mancante per i riflettori, aha! “Lo dici così, senza neppure sapere quanto guadagnerai? Sei una donna di coraggio. Quanto prendi a Casa Kruger?”
“Si chiama Springwood Health—“
“Appunto. Allora?”
Lei glielo disse. Lui sollevò un sopracciglio. “Prenderai il doppio, più gli straordinari ed ogni possibile contributo. Cure mediche per te e i tuoi piccoli ed assicurazione incluse nel pacchetto.” Lo disse con la calma con cui avrebbe letto un nome sull’elenco telefonico.
Gli rispose il silenzio.
“Jane..?”
SSSQUEEEEE!!!!
Lui quasi ci rimase sordo. “Lo prendo come un sì?”
“Quando comincio?”
“Quando avrò risistemato l’inferno che c’è ora, diciamo un mese, quindi hai tutto il tempo per preparare le tue dimissioni da Casa Kruger.”
“Ho detto che—“
“È al numero civico 1428, vero?”
“Sì, ma—“
“Appunto. Ora, per favore, smettila di saltellare, che oggi ne avrai abbastanza per stancarti, signora Jane Sandwich. Ora scusami, ma devo parlare con tuo marito.”
Martin chiuse la comunicazione, e scese dal palco. “Earl!”
Diversi fuochi del Vulcan Master erano accesi. Volute di fumi aromatici si levavano nel cielo. Già un piccolo capannello di animali curiosi si stava radunando fuori dalla proprietà. Martin guardò l’orologio –tutto andava secondo la tabella di marcia.
“Dimmi,” fece il capocuoco, già armato di grembiule e cappello da chef. Sul grembiule, c’era scritto ‘Pet the Cook’
“Ti va di fare qualche soldo extra con l’officina?”
Earl gestiva la sua da quando era a Babylon Gardens, e i clienti non erano mancati, ma con la crisi, tutti si stavano improvvisando meccanici, e soprattutto tutti usavano l’auto sempre meno, e così anche gli interventi per danni ed usura si riducevano. “Devo pensarci su, prima di rispondere?”
“Avrò bisogno di un meccanico affidabile per il nuovo parco auto del rifugio. Dovranno essere sempre tenute a punto.”
“Quante auto?”
“Oh, una ventina, per adesso. Pick-up, berline di rappresentanza, furgoni per animali…”
Ma a quel punto, Earl era già imbambolato dalla gioia, e poco ci mancava che si ustionasse la mano su una piastra senza accorgersene.
Dio esisteva!
Martin si rivolse ad uno dei suoi animali, una femmina di pastore tedesco bianca come la neve, gli occhi blu tormalina e un diamante nero perfetto nel mezzo della fronte. “Mizar?”
Lei, che stava apparecchiando un enorme tavolo con posate di plastica, smise di canticchiare e disse, “Sì, papà?”
“Tu o Alcor avete visto i piccoli Sandwich?”
“Oh, Grape diceva che era stanca e voleva farsi un pisolino prima del party. Peanut le è corso dietro.” Stava per fare un commento su come quel poverino fosse praticamente perso per lei, ma si ricordò del capannello di animali. Una parola sbagliata, e la festa sarebbe diventata terreno per la 3° Guerra Mondiale!
---
Una condizione molto prossima ad esplodere, a casa Sandwich, appena Peanut riuscì ad entrare evitando per un soffio di essere schiacciato dalla porta che Grape aveva spinto con violenza.
“Grape! Insomma, cosa ti prende? Che ho fatto!?”
La gatta procedette a passi pesanti lungo il corridoio, per poi gettarsi sul divano, resistendo per miracolo alla tentazione di sviscerarlo a unghiate. Conta fino a dieci, Grape Jelly, conta fino a cento,a mille…
“Non sei tu!”, disse lei, alla fine, stringendo a sé un cuscino. “Smettila di pensare a te, per una volta tanto! Va bene!?”
Lui chiuse la mascella così in fretta che si udì il suono dei denti che sbattevano come un colpo di pistola. Ed eccolo lì, quello sguardo mortificato che Peanut Butter produceva quando si sentiva colpevole di qualcosa.
*sigh*, lui era una creatura così sensibile… Ma ora come ora, era lei ad avere bisogno di essere capita.
Grape si afflosciò sullo schienale, sempre stringendo il cuscino. “Peanut, come posso spiegartelo? Ogni giorno, mi basta solo vedere Joey che mi fa l’occhiolino – Joey, ti rendi conto!? – per sentirmi come se un coro di angeli ballasse sulla nostra tomba! Sabrina e Fido, be’, lo sappiamo che non direbbero nulla neppure sotto tortura, in fondo loro debbono proteggere la propria, di relazione… Ma quel topo chiacchierone di Spo, presente Spo, quella piccola dinamo che ha messo radici sulla testa d Fido, quel topolino con un megafono al posto delle corde vocali che quando si eccita è più incontrollabile di te? E per quanto riguarda Tarot, almeno lei è un cane discreto.
“Però, Peanut, io non…non ce la faccio. Siamo talmente trasparenti che due, anzi facciamo quattro, animali fino a un’ora fa perfettamente sconosciuti, ci hanno fatto i raggi X!” Le spalle le si afflosciarono.
Peanut si sedette accanto a lei, e le cinse le spalle con un braccio. Lei appoggiò la testa contro il petto di lui. Hmm, il suo cuore era così rilassante… “Vorrei non arrivare a casa con lo stomaco in subbuglio, vorrei non avere paura per te, vorrei…vorrei…” Si rannicchiò ancor più contro le braccia di Peanut. “Sono così stanca…” E, in effetti, si addormentò quasi subito.
Peanut sapeva di soffrire di un grave difetto, in situazioni come queste.
Non la capiva.
Lui non era stato abbandonato, la sua vita era stata bella fin dal primo giorno, Papà e Mamma non lo avevano mai deluso. Grape era arrivata nella sua vita, inizialmente, come il nuovo gatto di casa. Gatto maschio. Un amico con cui giocare, e Peanut, che si sentiva solo, aveva personalmente chiesto a Papà e Mamma di adottare quel povero micio color lavanda tutto rannicchiato in una gabbia, che piangeva e tremava. Allora, il gattaccio gli aveva rivolto un tale sguardo..! Ma Peanut sapeva, in qualche modo vedeva la dolcezza nel cuore del futuro fratellino. Aveva visto tanti poveri animali, al rifugio, ma solo quel gatto viola lo aveva folgorato.
Le prime due settimane erano state un conflitto continuo, con Grape. Lui era nervosissimo, e sembrava avere una predilezione a reagire con la massima forza ad ogni disturbo, Poi, finalmente, si era deciso a riconoscere Peanut come amico. E avevano inaugurato la loro grande amicizia con una sessione di ‘giocare a far finta’ con i cappelli disegnati sui sacchetti di carta.
Ricordi preziosi. Peanut sentiva il cuore scaldarsi di gioia e anche, sì, un po’ di imbarazzo, per non avere capito se non per bocca di Grape, che 'lui' era una femmina, e solo per quel gran casino per via del suo disegno di una coda di gatto su un corpo di cane.
La scintilla era scoccata allora. Una valanga irrefrenabile, che subito si era riflessa nei suoi fumetti, con la creazione del personaggio di Stripe (che nonostante le apparenze, NON è una gatta!). Un crescendo che però Peanut riusciva a tenere sotto controllo. Dormiva insieme a lei davanti alla TV, giocavano, facevano tutto tranne dirsi quelle due parole fatali. Spesso, lui passava le ore del pomeriggio a vegliare sul suo pisolino da una sedia o dal divano, desiderando tanto di accarezzarla…
Ok, una volta aveva miserabilmente ceduto con la scusa dell’’Ode a un Pisolino’. Era stato il gesto più folle ed intimo che mai avesse osato, fare pernacchie contro la pancia di Grape che per giunta stava dormendo. Ne era uscito senza svariati ciuffi di pelo, ma oh se ne era valsa la pena!
Poi, era arrivata la vacanza da Zio Reuben. Il punto di svolta. L’attrazione che Peanut provava per i gatti era schizzata fuori controllo quando aveva incontrato le alquanto disinibite micie del fienile, che praticamente, per quanto scherzosamente, avevano tentato di sedurlo. Lui era andato nel pallone, ma quando si era ripreso, aveva capito che desiderava Grape Jelly. Non era più l’infatuazione dei primi giorni, era cotto, arrostito e servito. Se non avesse fatto qualcosa prima di tornare a casa, se ne sarebbe pentito per sempre.
Inizialmente, sembrava tuttavia che Grape fosse intenzionata a frequentare quel gattaccio di Max. E Peanut si era sentito crollare il mondo addosso. Aveva esitato, aveva aspettato senza dire niente, e lei gli stava sfuggendo!
Quella stessa notte, era andato sul tetto del fienile dove dovevano dormire, per scrutare il cielo luminoso e per… Dimenticare lei? Farsi una ragione che era finita ancora prima di cominciare? Stare lontano da quel branco di feline provocatrici?
Non lo sapeva. Se avesse incontrato Alcor, il gatto del signor ‘Chiamami Martin’ Foster, allora, avrebbe avuto una spiegazione a quel suo terribile dolore, avrebbe capito che soffriva perché sapeva che senza di lei non poteva stare, che per quanto fosse giusto che Grape fosse felice, era altrettanto doloroso il non poterla avere con sé, vicina in casa e lontana come su un altro mondo.
Poi, era successo qualcosa. Allora non lo sapeva, Grape glielo avrebbe spiegato dopo, ma era stato grazie alle intriganti gatte di Zio Reuben che lei si era spinta verso di lui, arrivando a quella terribile discussione che li avrebbe portati al primo bacio, al primo giuramento…
E a tutti i problemi che sarebbero seguiti. Ogni volta che le cose sembravano aggiustarsi, anche dopo quella dolorosamente lunga farsa dei ‘falsi-appuntamenti-per-coprire-la-verità’, in un modo o nell’altro la paura di Grape riaffiorava. Se Peanut era un tipo timoroso, sotto certi aspetti, ansioso, Grape, che dei due doveva essere la più forte, la più tosta, si stava scoprendo incapace di gestire quella cosa.
Stava soffrendo, e lui non capiva perché! Papà e mamma erano contenti, gli amici che lo sapevano tenevano ben stretto il segreto, perché lei doveva pensare che il mondo era contro di loro? Se anche gli animali del vicinato lo avessero saputo, perché avrebbero dovuto far loro del male? Mizar e Alcor erano pronti a combatterlo, il mondo… Certo, loro avevano quei due supercani a guardar loro le spalle..! Bari!
Peanut accarezzò delicatamente il volto della gatta. Lei fece delle fusa, e si rannicchiò ulteriormente contro di lui. Il cane sorrise ad un pensiero improvviso, lei che veniva a disturbarlo urlando il suo nome per la più insignificante delle ragioni…
Non doveva andare avanti così, non era giusto. Di questo passo, entro poco tempo lei sarebbe andata fuori di testa del tutto, avrebbero dovuto separarsi, questa volta per sempre, anche solo per permetterle di rifarsi una vita più ‘normale’…
Peanut scosse furiosamente la testa, cercando di non agitare il corpo. MAI!
La loro vita ‘normale’ doveva essere insieme! Se cedevano alla paura una volta per tutte, rinnegavano sé stessi, come se Alcor avesse rinnegato il suo amore per Mizar! Come se Fido contemplasse di lasciare Sabrina per la sua carriera!
Mai.
Peanut abbassò la testa per annusare quella di Grape. La gatta odorava sempre di buono, era un balsamo per il suo sensibile naso… Eppure, c’era stata una volta, in cui era una misera randagia senza casa, abbandonata da coloro di cui più si fidava. Doveva odorare di sporcizia, fango e tristezza, e temeva di tornare a quei giorni, di perdere tutto…
Una visione assurda riempì i pensieri di Peanut: i gatti che la attaccavano, i cani che ora si coalizzavano con ferocia contro di lei, Papà e Mamma che non ne potevano più delle sue lagne per poi lasciarla su una strada…
Peanut deglutì. Stringeva gli occhi talmente forte da sentirli pulsare dolorosamente. I denti digrignavano come se avesse avuto di fronte un nemico mostruoso.
Ed era così. Sentiva la paura di Grape come propria. La sentiva, e reprimerla era uno sforzo agghiacciante.
E lei doveva viverlo ogni giorno. Contando sul suo cane, sul suo amico e confidente, sul suo compagno, per perdere un po’ di quella paura.
Ma lui la lasciava sempre sola. Nella sua oasi di gioia, lui non arrivava a farla sentire davvero protetta. Era sempre lei, Grape Jelly, a dovere vegliare su Peanut Butter e sulla loro relazione.
E non ce la faceva più.
Peanut Butter capì. “Grape…” la leccò dietro un orecchio, come le piaceva, fino a stimolarle un altro giro di fusa ed un sorriso.
Finalmente, per la prima volta, lui capì.
E sapeva cosa fare.
Si trattava solo di riuscire a farlo funzionare, il piano che stava elaborando.
---
A guardarla, la si sarebbe detta una normale volpina di Pomerania dalla pelliccia dorata, con un folto collare di pelo che le ricadeva in un ampio ciuffo sul petto e una coda cespugliosa e soffice.
Solo che nessuna volpina di Pomerania conosciuta mostrava una luce spettrale nei suoi occhi, una luce che riempiva le orbite facendole brillare come fari smeraldini senza pupille.
“Ha funzionato,” disse la femmina conosciuta come Tarot. “Gli spiriti sono soddisfatti.” Detto ciò, le luci verdi si spensero, lasciando il posto a due occhi di un delicato color paglierino.
Gli spiriti potevano essere soddisfatti, ma la gatta nera seduta accanto a Tarot lo era di meno. Sabrina aveva fin troppi pensieri, da quanto Peanut le aveva detto che sia lui che Grape sapevano tutto della sua relazione con Fido, e anche da un bel po’!
All’inizio, era effettivamente andata nel panico –una sensazione sgradevole per lei che aveva imparato a dominare le proprie emozioni. Tranne l’amore, Sabrina… pensò con una nota di divertimento amaro. La grande forza che poteva creare miracoli era anche la sua più grande debolezza, come anziana dell’Ordine e maestra di Tarot nell’uso delle arti mistiche.
Tuttavia, Peanut aveva mantenuto il segreto. Era stato di parola, neanche una sillaba alle orecchie sbagliate. Doveva essere lui l’anello debole della catena, e stava rivelando una lealtà insospettata. La lealtà era forza… Laddove, l’amarezza di Grape per la propria clandestinità poteva spingerla a dire qualcosa di troppo, prima o poi.
Possibile che gli spiriti lo sapessero? Se ne stavano lì, a contemplare il dramma, in attesa che Tarot li invocasse per quel piccolo aiuto, per quella piccola spinta nelle porte della memoria di Peanut Butter Sandwich..?
“Non ho toccato le sue memorie,” disse Tarot, interrompendo quei pensieri. Le due femmine condividevano un costante legame telepatico. A volte, quel legame era ridotto alla sola empatia a distanza, altre appena uno scrutare discreto nei pensieri, come si sfoglia rapidamente un giornale alla ricerca di una notizia capace di catturare l’attenzione, altre la piena condivisione. Adesso era il secondo caso. “Sarebbe stato sbagliato, un’interferenza diretta con i suoi processi di pensiero. Una…violazione che neppure le circostanze avrebbero giustificato.”
Sabrina si concesse un sorriso. La sua voce era una nota delicata, piacevole da udire, carica di antica saggezza. “Finalmente ti sento parlare come dovresti, amica mia. Allora, cosa hai fatto pur di obbedire loro senza venire meno ai tuoi principi? E ai tuoi sentimenti?”
Tarot annuì. Anche se di fatto non aveva più una relazione con Peanut, gli si era affezionata. Era entrata nella sua vita perché la decisione di Grape di iniziare i ‘falsi appuntamenti’ con Max stava creando un pericoloso spartiacque fra il destino suo e quello di Peanut. Avvertirla direttamente non era servito, Grape non era abbastanza aperta –non era ancora abbastanza aperta di mente e spirito – da credere nel soprannaturale. La sua impotenza di fronte ai traumi della sua vita l’avevano spinta ad una visione pragmatica ed altrettanto dura del mondo. Il controllo materiale era la fonte del successo, a costo di usare la violenza.
Peanut era la sua controparte naturale, la capacità di abbandonarsi alle correnti del capriccio, e saperne cogliere l’onda più favorevole a suo beneficio e di coloro che lo circondavano.
Peanut aveva giocato un ruolo importante nell’aiutare i lupi dei Milton ad integrarsi nella società di Babylon Gardens..
Aveva dato a Joey, da questi ricambiato, un ragione per credere ulteriormente in sé stesso.
Altre piccole cose, piccoli effetti che presi singolarmente apparivano insignificanti, ma che col tempo avevano costruito nuove catene sociali…
E Grape…
Tarot era gelosa di Grape? Certo che no. Tarot doveva fare in modo che quei due animali restassero uniti indissolubilmente, ma aveva già osato troppo la prima volta, lanciando un importante avvertimento. Ed aveva fallito, l’entità antica di nome ‘Pete’ era libero, e la sinistra profezia ancora marciava verso il suo lugubre compimento.
Per come le cose si erano messe, dipendeva non dall’interferire con le memorie di Peanut Butter. “Ho temporaneamente ‘spento’ la sua felicitià,” disse Tarot, con calma, a Sabrina.
Sabrina sollevò un sopracciglio, incuriosita.
“Peanut doveva essere libero di raggiungere da solo la conclusione dei suoi pensieri. Sapeva già cosa doveva fare, e come, per salvare Grape Jelly ed il loro rapporto. Ma era il fuoco dei suoi sentimenti ad accecarlo, così, solo per un momento, ho soffocato quel fuoco, senza spegnerlo. E Peanut ha capito dove stava sbagliando.
“Lui…ha una grande sensibilità. Sa fare propria la pena degli altri, e di solito riesce a gestirla con la sua innata felicità, ma con Grape era semplicemente troppo, aveva bisogno di questo aiuto.”
“Un gioco pericoloso,” disse Sabrina. Ogni tentativo di discutere fino in fondo con Tarot si era sempre rivelato inutile. Quella cagnolina era come la proverbiale acqua cheta: non c’era ponte che non potesse erodere, per questo la gatta l’aveva scelta come allieva. Solo che a volte era così insopportabile…
“È stato solo triste,” sospirò Tarot, alzandosi in piedi. Ora di farsi un bel tè di radici… “È stato come dare un calcio al suo cuore innocente, scuoterlo con un tale shock da lasciare passare la voce della ragione. Lui ha trattenuto la voce, ma il suo spirito ha pianto così forte per la sua amata, che credo mi ci vorrà un po’ per recuperare.
“Anche per questo non voglio impegni, Sabrina: non riuscirei a gestire un simile carico emotivo, non con questo fardello che già mi porto, per quanto di mia volontà. Peanut è un buon…amico, e voglio che resti così.”
In effetti, rifletté Sabrina, Tarot poteva essere giovane, relativamente inesperta… Ma non era una sprovveduta. E la gatta stessa non aveva un gran bel pulpito da cui fare la predica. Certe volte, si era scoperta a maledire in cuor suo la decisione di rimanere con l’Ordine, quando ormai il suo cuore era solo per Fido. “Tarot?”
“Hmm?” venne dalla cucina. Un tintinnio annunciò la posa del bollitore sul fornello.
“Cosa ti dicono, gli spiriti?”
“Ancora niente. Hanno solo molti ordini, ma rimangono evasivi.”
Sabrina sospirò. Gli spiriti: certe volete, volevi tanto fare a meno di loro, ma erano loro a non fare mai a meno di te. Compito di quelli come lei e Tarot era di mantenere un equilibrio fra i due piani, prevenire indebite interferenze.
Ma a volte capitavano rare figure che per questi eterei abitanti dell’oltremondo erano come magneti naturali. Intorno a loro, gli spiriti accumulavano un vasto potere; nel bene e nel male, queste figure viventi diventavano marionette quando allo stesso tempo avevano il potenziale di separare le correnti del fato stesso.
Peanut e Grape erano quelle rare figure. Gli spiriti avevano posato il loro sguardo su di loro, dapprima con discrezione, ma ora con sempre più insistenza. Una volta, avevano spinto Tarot verso una mossa fino a quel momento impensabile: fare attivamente in modo che Peanut rischiasse la vita per incontrare una Grape molto depressa, perché il loro amore tornasse a sbocciare caldo nel gelo invernale [Symphony in Periwinkle, no.5]. La volpina aveva sempre dismesso quella follia con una scrollata di spalle –in fondo, aveva accettato perché lei stessa voleva aiutare il cane e la gatta. Ma comprendeva le dimensioni di quell’evento? Poteva sembrare un paragone improprio, ma era come se gli umani avessero usato il loro sole artificiale per abbattere un castello di sabbia…
E adesso c’era quella nuova variante: Villa Foster. L’umano Martin era entrato in un territorio carico di energie negative, lo aveva riplasmato, e a…certi spiriti, questo non era piaciuto. Loro sapevano essere molto territoriali..
Sabrina si stava massaggiando le tempie con una mano, quando Tarot entrò con un vassoio d’argento, due tazze fumanti, e il porta zollette. Tarot si sedette al tavolino d’ebano, su cui era intagliata una tavola oujia. Prese due zollette dal contenitore, le mise in una tazza, rimescolò e la porse a Sabrina, che accettò volentieri –peccato, invece, che Peanut fosse ancora restio a bere quella bevanda tonificante.
Mentre Tarot si preparava a bere il suo tè così com’era, Sabrina le scoccò un’occhiatina maliziosa. “Ah, non sei una così brava ragazza, allora.” Normalmente, Tarot era bene attenta a non mettere niente che fossero le mani ed un indicatore, su quella tavola divinatoria. Coloro che, umani e non, giocavano con simili strumenti comprati in un negozio esoterico di poco conto, erano fortunati a non essere mai stati davvero in contatto con l’oltremondo. Tarot non aveva mai dimenticato la sua prima volta, era stato un rito di passaggio come niente altro. La cucciola innocente aveva lasciato allora il posto alla creatura ‘strana’ che tutti conoscevano oggi.
Ripensandoci, Tarot era…soddisfatta che così fosse stato quando la sua mente era ancora fresca, un campo di grano su cui disegnare complesse teorie di cerchi. Il mondo degli spiriti non era 'buono' o 'cattivo', era...complesso. E ogni nuovo venuto era salutato dalle entità come un compagno di gioco. Stava ai corretti insegnamenti, ad una severa disciplina, imparare a distinguere i punti di luce dalle zone d'ombra, la strada dal precipizio. Non avrebbe potuto sostenere quel primo contatto, se fosse stata più grande, se avesse saputo cosa avrebbe perso. Sabrina, sospirò a sé stessa, ben sapendo che i bagliori delle sue emozioni comunque raggiungevano la coscienza della sua maestra ed amica più cara. Perché vuoi riportarmi in un mondo che non mi appartiene più?
---
Peanut pose Grape nel suo lettino, facendo attenzione a che la sua testa posasse bene contro il cuscino. Lei si arrotolò tutta, e sprofondò in un sonno ancor più profondo –che tuttavia non ingannasse, il suo orologio interno l’avrebbe svegliata in tempo per la festa. Almeno, sarebbe stata un po’ meglio, certe volte un buon pisolino le toglieva lo stress quasi bene quanto sapeva fare lui.
Peanut si sentì arrossire. Si chinò e le diede un ultimo bacio sulla guancia. “Ti amo, gattina,” sussurrò. “Torno subito.”

Uscito di casa, Peanut chiuse piano la porta. Poi, fatti pochi passi lungo il vialetto, ritornò ad essere la familiare dinamo canina e schizzò come un fulmine verso Villa Foster. Ti prego fai che sia in tempo ti prego fai che sia in tempo non ti chiedo molto grande Babbo Natale—“Huff!” se il karma valeva ancora qualcosa, questa volta fu Peanut a scontrarsi con qualcuno, per poi rotolare a terra insieme a detto qualcuno.
Si accorse a malapena di diversi cani e gatti che stavano ridacchiando in modo sfottorio. Si accorse invece di chi stava parlando da sotto di lui, con la voce di uno che stesse per tirare gli ultimi.
“Peanut...è molto imbarazzante...e non respiro...” rantolò...Joey!
Il fratello minore di Fido e Bino, la ‘risulta’ della cucciolata, pelo nocciola e un bel cerchio intorno all’occhio sinistro.
Lo strambo del vicinato, che tutti lasciavano – relativamente – in pace solo perché era fratello di Fido. Quello che aveva una relazione con una topolina di nome Squeak, che gli era valsa l’etichetta permanente di ‘fuori dal mondo’.
Ultimamente, divenuto grande amico e confidente di Peanut, da quando questi gli aveva confessato della sua relazione con Grape [Symphony in Periwinkle no.1]. All’inizio, Peanut era terrorizzato all’idea che Joey – Joey! – potesse deriderlo, ma il più giovane cane si era dimostrato non solo molto comprensivo, ma addirittura aveva fatto capire che lo aveva già intuito da tempo, dimostrandosi così un attento osservatore di quello che succedeva intorno a lui, a dispetto della sua reputazione di svampito extra.
Di più, Joey si era dimostrato, nel suo curioso modo, saggio. Peanut, allora, stava attraversando un periodo molto difficile nel suo rapporto con la sua gatta, e aveva disperatamente bisogno di conforto. Sì, doveva molto a Joey.
Arrossendo, balbettò delle scuse al povero cane, e si alzò, per poi aiutarlo a mettersi in piedi. “Tutto a posto?”
“Immagino di sì.” Joey si spazzolò sommariamente. Peanut provò un lieve senso di colpa nel sentirsi oggetto delle occhiate divertite che gli rivolgevano. Non era un mistero che lui e Joey avevano stretto amicizia, e da solo questo era valso al cane Sandwich non poco scherno dal Club del Buon Cane –cioè, da ¾ dei cani di Babylon Gardens.
Per Joey, d’altro canto, quelle risatine potevano venire da un altro pianeta per quel che lo riguardava. Peanut invidiava la sua naturalezza... “Allora, come mai andavi così di fretta? Manca ancora un po’ all’inizio della festa.”
Peanut si ricordò cosa doveva fare! Afferrò Joey e lo tirò con sé come un bambolotto. “Seguimi!!” ed entrò a tutta birra nel vialetto di ingresso di Villa Foster.

I preparativi stavano procedendo alacremente. Erano ormai numerosi, i vicini umani che stavano facendo la loro parte. Earl Sandwich continuava a lavorare al barbecue insieme all’Agente Bill (e i suoi immancabili occhiali da sole), e ai tre lupi Milton –Miles, sua moglie Lucrezia, e il fratello di lui Daryl. Tutti e tre portavano un bel grembiulone verde con su scritto, per Miles, ‘Stalk the Cook’, ‘Kiss the Cook’ per Lucrezia e ‘Cook the Cook’ per Daryl.
Tutti e tre i lupi salutarono Peanut quando questi passò davanti a loro come se avesse i diavoli dell’inferno alle calcagna, con il povero Joey che quasi non toccava terra e sembrava molto perplesso. “CiaoMilesLucretiaDarylavetevistoilsignorMartingrazie?” chiese Peanut al volo, e tre forchette d’acciaio puntarono all’unisono verso il palco.
Peanut si fermò davanti al palco. Ansimava a mitraglia. “Signor Martin?” riuscì a dire, piegato in due, le mani appoggiate alle cosce.
“Presente,” fece l’anfitrione, scendendo al volo dal palco. “Oplà! Come sei trafelato, hai così tanta fame, piccolo Sandwich? E chi è questo birbante?” Diede una carezza a Joey.
“Joey, Martin, Martin, Joey.” Peanut riuscì a riprendere fiato. Qualcuno sul palco stava provando una chitarra elettrica, ma da quell’angolo non lo poteva vedere... Concentrazione, Peanut Butter, concentrazione! Si picchiettò con le nocche sulla tempia, e disse all’uomo. “Ho bisogno di un favore enorme. La preeeeego!” sottolineò con le mani ben serrate in preghiera e una vocina supplice.
Martin si sedette sull’erba. “Wow, devi mica farmi queste scene, giovanotto. Sei un cane, mica un agente dell’IRS. Allora, di che favore si tratta?”
Peanut si guardò rapidamente intorno, poi di nuovo il palco, e quasi sussurrò, “Tenete un concerto, stasera, giusto?”
Martin annuì. “Chiuderà l’evento, per la precisione. Ci si scatena un po’ e poi tutti a nanna. Vuoi che ti faccia suonare qualcosa in particolare?”
“Be’...” Niente paura, Peanut, basta paura! E’ per Grape che lo fai! “A dire il vero, sì.” Si chinò fino a bisbigliare qualcosa direttamente nell’orecchio dell’uomo. E a giudicare da quanto ci mise, non stava solo suggerendo il titolo di una canzone.
Quando ebbe finito, Martin fece finta di pensarci su, la mano a strofinare il mento ben rasato, ma gli occhi accesi di una luce maliziosa che parlava da sola. “Hmm, si può fare. E’ una bella scelta, la tua, e putacaso ho proprio l’accompagnamento che mi serve.” Guardò in direzione dei lupi. Poi, diede una pacca sulla schiena di Peanut e gli grattò fra le spalle. “Nessun problema. Ci sarà qualche pezzo, prima, per scaldare l’atmosfera, e per fare sfogare un po’ tutti; a quel punto, partirà il tuo con un attacco lungo e darti il tempo di fare la tua parte. Però,” e qui gli mostrò un indice ammonitore, rivolgendogli uno sguardo serio, “dipenderà da te, chiaro? Credimi, capisco bene che si tratti di un momento molto importante, ma proprio per questo—“ lo interruppe un assenso dal cane.
“Lo so, sig...Martin. E la ringrazio. Può solo assicurarsi che..?”
Martin gli strizzò l’occhio, ridandogli la pacca. “Ci penseranno i ragazzi. Dac?”
---
“Ok, è ufficiale, tu sei fuori di testa,” fece Joey, quando si ritrovarono dentro casa, al riparo da orecchie ed occhi indiscreti. “Più di me. Ho sentito davvero quello che ho sentito, prima? E non fare quella faccia, quando sei nervoso bisbigli come un treno espresso.”
Peanut si sedette sui primi gradini delle scale che portavano di sopra. Il legno scuro era piacevolmente tiepido. Joey gli si sedette accanto, per poi posargli una mano sulla spalla. Aveva una voce ammirata, ora. “E sei anche incredibilmente coraggioso. Non posso che augurarti buona fortuna.”
Peanut gli rivolse un sorriso grato. “Se solo gli altri capissero...” sospirò.
“Lo capiranno. Non aspettarti che sia da subito, però.”
“Basterebbe che non vi fosse un linciaggio...” un nodo sgradevole aggredì le viscere di Peanut. Come era capace di prendere una decisione, era altrettanto rapido a pentirsene. Quasi fece sparire la testa fra le spalle. “Oddio, Joey, e se poi va tutto storto come Grape teme? E se*yowlp!*” quell’uggiolio lo tirò fuori quando sentì gli artigli dell’amico scavargli il collo. “Ma perché!?”
“Stavi di nuovo andando in modalità Scooby-Doo, ecco perché.” Era raro vedere Joey così severo, era come...trasfigurato. Peanut notò davvero, per la prima volta, quanto in realtà quel cucciolotto assomigliasse ai suoi fratelli. Era una memoria che non avrebbe dimenticato facilmente.
“Peanut, credo che tu sia sul punto di fare la storia di Babylon Gardens. Lo sai, ed è questo che ti terrorizza, non la prospettiva di una figuraccia. Se ti va male, non ci proverà nessun altro, per un lungo pezzo, e le maglie della rete si faranno ancora più strette.
“Però, Peanut, tu non devi pensare a questo, per quanto possibile. Tu non stai salvando il mondo, stai salvando Grape e te stesso. Concentrati su questo, e vedrai che andrà tutto bene...” Joey ridacchiò amaramente. “Almeno, non devi preoccuparti che la tua ragazza te la mangino.”
Alla menzione di Squeak, Peanut ricordò una cosa. Per la precisione, quando Joey gli aveva detto del perché la topolina si fosse innamorata di lui. Squeak non voleva più frequentare…ragazzi della sua taglia, indipendentemente dalla specie, non dopo che il suo beau era stato divorato che stavano sotto il vischio… Perciò, era un controsenso che lei si sentisse al sicuro con un cane, che, per giovane che fosse, avrebbe potuto stritolarla per disattenzione in molti e dolorosi modi.
Ora Peanut capiva cosa potesse trovare Squeak in lui. “Sai, Joey?”
“Hmm?”
“Sei una persona meravigliosa.” Così dicendo, Peanut lo abbracciò forte, gli occhi lucidi. “Rimani sempre un individuo paurosamente disturbato, ma sei una persona meravigliosa. Sono fiero di esserti amico!”
*Kaff!*”Grazie, immagino. Solo, ti prego, abbi pietà dei miei polmoni. Risparmia queste effusioni per Grape,” aggiunse, quando Peanut lo ebbe lasciato andare. Poi si alzò in piedi e gli fece cenno di incoraggiamento col pollice. “Dacci dentro, campione! Tifiamo in tanti, per voi!” E uscì di corsa.
Peanut si chiese distrattamente chi fossero questi ‘tanti’ che lo strano cane aveva menzionato… Poi fece spallucce: adesso importava solo la festa...
Accidenti! Si era dimenticato di dirgli della riserva di anime di Martin. Obbe’, tanto lo avrebbe scoperto presto...
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni

Post by IceKitsune »

Yay! I think I'm going to Mark Out (Much like I did when 'Just Friends' came out) like no tomorrow when the party comes and Peanut does what he's going to do. (My god if fan fiction does this to me imagine when/if something like this happens in the comic I think I'll die of a heart-attack) This is assuming every thing goes alright of course.
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni

Post by valerio »

Housepets
La Ballata dei nuovi giorni
di VALERIO

3.
Casa Sandwich, Babylon Gardens, Domenica ore 08:40

“Buon giorno,” disse Peanut, sfoggiando il suo miglior sorriso, orecchie bene erette, nel limite delle possibilità, e scodinzolio allegro.
Grape si stropicciò gli occhi. “Mmgrno…” bofonchiò. Invece di stiracchiarsi come al solito, la gatta viola accettò di farsi abbracciare dal cane fulvo e strofinarsi ripetutamente contro il petto e la gola. In cambio, lui le accarezzò gentilmente il fianco e dietro l’orecchio. Hmm, gli venivano così bene, quelle coccole, e pensare che aveva perso tutto questo tempo ad evitarle…
Pensieri felici, Grape Jelly!
Grape sospirò, e uscì dal lettino stiracchiandosi le braccia un ultima volta. “Siamo ancora in tempo?”
Peanut lanciò un’occhiata all’orologio a muro. “Un quarto d’ora. Potremmo ancora…” stavolta il suo sorriso si fece più malizioso, e inarcò ripetutamente le sopracciglia come Wile Coyote.
Lei lo spinse via giocosamente. “Ti conosco, furbone. Finisce che arriviamo a sera. Ti ricordi quando ci hai fatto quasi saltare il documentario sulla savana?” Da buona fan devota della serie di libri e film intitolata Pridelands, Grape non perdeva un solo programma correlato, dalle interviste, agli speciali e ai documentari. E Peanut, trascinato nel tunnel da quella volta che andarono alla libreria per la presentazione dell’ultimo capitolo della serie scritta (a proposito, fra poco sarebbe uscito il nuovo!), non era da meno, anzi era stato lui a fare un sacco di segnalazioni che altrimenti lei si sarebbe persa.
E non gli hai mai fatto leggere una delle tue fan fiction, fece la vocina cattiva. Era come una specie di malevolo piatto della bilancia –appena Grape si sentiva felice, un peso calava su quel piatto per farla star male…
Peanut la tirò per il braccio. “Coraggio, che adesso mancano dieci minuti! Voglio essere fra i primi!” E le fece la linguaccia con una smorfietta divertita. “E poi non mi sembravi tanto scontenta di fare coccole, allora.”
Grape sospirò, dandogli ragione dentro di sé. E allora perché la sola idea di sorridergli in pubblico ti sta mandando le viscere in gelatina puzzolente, tesoro?
L’espressione di lei cadde come un foglio di carta da parati strappato via con forza. Scosse la testa. Ma che aveva, oggi? Va bene che era ben cauta sulle effusioni pubbliche, ma da un po’ era come se la sua paranoia avesse ingranato la quinta. Ciononostante, tuttavia, si era guastata abbastanza la mattinata
Si unì al cane nell’andare verso la porta. Era con Peanut, e lui la faceva felice. Andavano ad una festa dove c’era tutta Babylon Gardens, e le star sarebbero state gli animali di ‘Chiamami Martin’ Foster, e ci sarebbe stato il miglior cibo gratis che una gatta ex randagia potesse avere! Quindi, silenzio, cattiva coscienza del piffero!
Peanut aprì la porta…e il suo sorriso ebbe come un vacillamento. “Max..?”
Un flashback attraversò contemporaneamente le menti di Peanut Butter e Grape Jelly: il ricordo di una notte di pioggia, una notte che, contro ogni aspettativa, aveva preso una piega inaspettata quando Max era apparso alla porta di casa Sandwich, tutto mesto, chiedendo di passare la notte da loro perché Papà lo aveva chiuso fuori. Una notte terminata con l’idea di Grape di dedicarsi a quei finti appuntamenti per nascondere la loro relazione…
Ma era solo un brutto ricordo. Non era una notte di pioggia, e Max, un bel gatto nero dal ventre sfumato di grigio fumo, e gli occhi due intense acquemarine, sorrideva come il gatto del Cheshire, il suo ‘marchio di fabbrica’. E portava al collare il colletto delle grandi occasioni. “Credevo sarebbe stato ingiusto concedermi un vantaggio, data l’occasione.”
“Ciao Max,” fece semplicemente Grape, dandogli poi un bacio sulla guancia. Gli accordi, dopo la loro ultima ‘chiacchierata’, erano chiari: buoni amici, sì, ma la mercanzia non si toccava.
Villa Foster era a due passi, letteralmente, proprio al termine di Overview Grove. Animali e umani facevano già una fitta folla, e parlare era una mezza impresa.
“Non sei un po’ troppo in tiro, oggi?” Chiese Grape al suo ex corteggiatore.
Lui si aggiustò il collare. “A parte il fatto che Mamma mi avrebbe fatto pentire di non averlo messo, vuoi mettere? Così il mio fascinometro sale alle stelle, e ora che sono libero dovrò distribuire i numeri per conoscere le spasimanti aspiranti!”
Grape ridacchiò. Max sbuffò. “Se vuoi continuare a tritarmi il cuore, femmina, allora…”
Grape si mise una mano davanti alla bocca, gesticolando con l’altra. “Oh, non è quello, credimi. È che… Non hai ancora visto gli animali Foster?”
Max inarcò un sopracciglio. “No. Con tutti i preparativi in corso, sarebbe stato più facile intrufolarsi alla battaglia di palle di neve segreta del Club Del Buon Cane.”
Peanut ricordava bene quell’evento –una pura, quasi primitiva manifestazione di gioia canina su un campo fittamente innevato, col solo scopo di abbandonarsi alla mera fisicità del gioco, con un numero impressionante di partecipanti in una cacofonia di latrati, uggiolii, ululati ed ogni altro repertorio del catalogo vocale e gestuale canino. Non sorprendeva che un simile evento mal si coniugasse con quello, a confronto molto più rilassato, dello ‘Yarn Ball’ organizzato dai gatti nel cortile del locale Pizza Palace. I cani di B.G. usavano la lotta sulla neve per sfogare le tensioni accumulate prima, durante e dopo le festività. I gatti ne sarebbero usciti male, per quanto non per cattiveria, ma perché nessuno sano di mente si sarebbe messo nel mezzo di una slavina!
Peanut, a dire il vero, non aveva partecipato all’evento di quell’anno. Le circostanze lo avevano prima spinto a confessare i suoi sentimenti per Grape anche a Sabrina – oltre a farle sapere che lui e Grape sapevano di lei e Fido – poi, be’, lo avevano letteralmente spinto fra le braccia di una Grape molto depressa proprio per un litigio con Max. Trovarsi finalmente insieme, da soli, nel silenzio di un mattino invernale, aveva permesso loro di riprendere a parlare del loro rapporto, dei loro sentimenti, di ristabilire e rinsaldare il legame che si era indebolito così tanto nei mesi precedenti…
“Allora preparati ad una sorpresa, bello,” fece la gatta. “E non ti preoccupare, sarete in parecchi a preoccuparvi.”
“Li hai…” Max spostò lo sguardo anche su Peanut. “Li avete incontrati? Per primi? E come sono?” Se un gatto avesse potuto scodinzolare per la curiosità…
“Oh, le parole non bastano,” fece il cane, declamando quasi a mo’ di poeta, un suo vezzo.
Purtroppo, la folla era ormai troppo fitta. Gli animali quasi si dovevano accavallare per scorgere il cancelletto che delimitava l’ingresso al vialetto verso Villa Foster. Poi il cancelletto si aprì, e—
Plop!
Ploploploploploploploploploploploploplop!

Max si guardò intorno, decisamente stupefatto. L’intera popolazione femminile di Babylon Gardens era crollata a terra come un sol animale, i musi contorti in un rictus di pura beatitudine.
“Buongiorno a tutti, signori,” disse Martin Foster fregandosi le mani. “Voi sapete chi sono, quindi non perderò tempo a presentarmi. I miei ragazzi, invece, vorrei li conosceste prima di dare il via ai festeggiamenti. Signori, vi presento Antares, Aldebaran, Mizar e Alcor. I miei adorati protetti, la mia famiglia.”
Max aveva smesso di udire le parole dell’umano ancora prima che parlasse. “Cripperi!” gracchiò, improvvisamente sentendosi come l’ultimo dei più miseri randagi – e non solo lui, a giudicare dalle espressioni degli altri maschi, che fossero cani, gatti o altro. Gli animali Foster erano semplicemente stupendi. Erano una categoria a parte, e c’era da scommettere che si sarebbero vendute moltissime Valentine in più, l’anno prossimo.
Un breve applauso salutò la presentazione del quartetto pelliccioso, poi Martin consultò l’orologio. “È ora! Benvenuti, e buon divertimento a tutti!” Schioccò le dita, e dal parco su cui la villa giaceva si levarono le note di un classico della disco degli anni ‘70

Yahoo! This is your celebration
Yahoo! This is your celebration
Celebrate good times, come on! (Let's celebrate)
Celebrate good times, come on! (Let's celebrate)…


“La band è già sul palco?” chiese uno degli ospiti, dopo avere stretto la mano al padrone di casa.
Martin scosse la testa. “Nah, la Project ReFur Band suonerà nel concerto di chiusura. Vedrete che sorpresa!” E strizzò l’occhio. “Benvenuti, buongiorno, buongiorno… Ehi, ciao piccoli Sandwich! Mi raccomando, siete tutti a casa vostra, hakuna matata e tutta quella roba lì. Salve, vicino…”
Max passò davanti ai colossali gemelli Antares e Aldebaran. Per quanto non sembrassero feroci, c’era parecchia intelligenza in quegli occhi nocciola. Max ne aveva fatta di esperienza, quando era un combattivo randagio, per riconoscere due tempeste pronte ad esplodere se solo gliene fosse stata data l’occasione. E, saggiamente, decise di limitare il suo saluto ad un sorriso amichevole tutto denti. “Ah, ciao?”
Loro risposero con due tagliole mostruose. Un grizzly avrebbe potuto caderci dentro tutto intero, e Max ebbe come una mancanza di coscienza. “Ciao a te,” dissero all’unisono, col tono di due cuccioloni.
“Non ti preoccupare,” disse invece il gatto bianco, tendendo la mano mentre Mizar salutava la familiare labrador nera, per la quale bastava l’universale saluto, “Ciao, sono Daisy!” seguito da quel sorriso smagliante. “Non mordono…di solito, e oggi hanno da mangiare più che a sufficienza.”
Max annuì debolmente. Si stava accorgendo di avere sottovalutato anche questo damerino. Poteva sembrare essere uscito da un libro di illustrazioni, ma aveva una presa salda, e il suo corpo era fatto di muscoli ben più tonici di quelli che ci si sarebbe aspettati da un micio vissuto in casa. E se non aveva cicatrici visibili sul corpo, i suoi occhi erano quelli di un combattente. Se avesse conosciuto Grape prima, l’avrebbe conquistata in men che non si dica… “Ah, molto piacere, Alcor. Max. Ci vediamo dopo?”
“Sicuro!” Poi Alcor si dedicò a salutare un enorme gattone che assomigliava più ad un ocelotto pieno di steroidi: Ivan. Invece di ricambiare la stretta del padrone di casa, Ivan lo sollevò da terra in un abbraccio da orso. “Ivan è molto lieto di conoscerti, palladineve!”
Sia Grape che Max si sentirono rinfrancati dal vedere il solitamente composto ‘palla di neve’ emettere uno squittio disarticolato, mentre dalla sua faccia sembrava proprio che avrebbe avuto bisogno di un buon massaggio, dopo…

“Bel posticino,” fece Max, lasciando il vialetto per entrare nel parco vero e proprio. Nella sua mente, stava già vedendo quel posto come la sede del prossimo Yarn Ball. Era semplicemente…perfetto, quasi non ci si credeva che quel prato inglese che sembrava dipinto un tempo era una giungla di erbacce incolte, cresciuta intorno ad un rudere grigio e smorto in cui ci si andava solo per raccontarsi storie dell’orrore, la ‘Casa dei Fantasmi’.
“Goditi la vista, allora,” disse una voce dietro al terzetto. Una voce sgradevolmente familiare. “Perché qui il Club del Buon Cane ci terrà i suoi raduni regolarmente. Vietato ai gatti.”
“Ciao anche a te, Bino,” disse Max andando incontro al gruppetto composto dal fratello minore di Fido, il cane parte husky Fox, dal pelo grigio e bianco, e il grosso bulldog Rex.
Max si guardò intorno, perplesso. “Hmm, curioso, visto che non c’è un cartello che dice ‘vietato ai gatti’, qui.”
“Fai pure lo spiritoso, sacco di pulci, ma il signor Foster—“
“Chiamalo Martin,” lo canzonò Grape.
“—ci ha promesso l’uso della sua proprietà per i raduni settimanali. Ogni domenica, barbecue incluso.” Bino incrociò le braccia al petto, tutto pomposo. “Se mi va, terrò una votazione per lasciarvi gli avanzi, quindi non approfittare della mia generosità.”
“Hai dimenticato di dirgli che ti aveva chiesto di cercarlo per parlare del suo ballo annuale,” intervenne Mizar in quel momento. Fox e Rex la guardarono con due grandi cuori al posto degli occhi e le lingue lunghe fino a terra. La candida femmina di pastore tedesco si avvicinò a Bino e gli solleticò il dorso del muso con un artiglio. “*Tee-hee* sei proprio un birichino, Binuccio.”
“Guhbuh,” rantolò il poveretto con gli occhi a spillo. Peanut lo sapeva benissimo, a suo modo, cosa stava passando.
Max, invece, si illuminò tutto. “Vuol dire che..?” quasi non osava sperarci. La ragione per cui il ballo annuale si teneva in quel cortile – e, credeteci, il cemento e l’asfalto, d’inverno, sono quasi peggio del ghiaccio – era che in nessun altro posto in Babylon Gardens c’era lo spazio libero per ospitare anche solo i gatti locali. Sebbene gli altri animali fossero i benvenuti, tecnicamente parlando, se anche i cani avessero partecipato il cortile sarebbe esploso.
Il parco, invece, era perfetto! C’era lo spazio per tutti, oltre alla concreta possibilità di non doverli racimolare qua e là, degli snack passabili…
Infatti, Mizar annuì, rivolgendogli un bel sorriso e una scodinzolata. “Se ti affretti, lo trovi al buffet principale. Ti sta aspettando per discutere dei dettagli. E non ti preoccupare di interromperlo: lui agli animali dà sempre la priorità.”
Max schizzò via così in fretta che di lui rimase solo l’ombra sul prato.
Bino sbuffò. “Non potevi aspettare che me lo rosolassi un pochino? Certe volte, quel suo sorrisino sornione mi fa venire una voglia di prendere una gomma e cancellarglielo a dovere.”
Mizar lo fissò con aria incuriosita. “Vivi con lui, è tuo amico. Perché fai così per un ballo annuale?”
In risposta, Bino la fulminò con quei suoi occhi verdi che certe volte stavano meglio su un cobra feroce e non su un cane. “Perché non ti fai gli affari tuoi!?” sbottò, e si allontanò, seguito al volo da Rex e Fox. “Scusalo,” fece sottovoce, al volo, l’husky, passandole davanti.
Mizar fece spallucce e si rivolse a Grape. “Der Fuehrer, eh?” fece, riferendosi a come Grape lo aveva descritto la prima volta che lo aveva menzionato. “Capisco. Obbe’, divertitevi, invece di starvene qui tutti soli. Su, andiamo!” prese i suoi vicini per le braccia e li tirò con sé. Grape fu grata, infinitamente grata, che quella femmina non avesse fatto menzione di lei e Peanut neanche per scherzo. Quindi, di questi quattro matti puoi fidarti, Grape!

Ritrovarono Max che stava parlando con Martin, il quale poco sembrava curarsi delle persone con cui a sua volta stava parlando un attimo prima.
Arrivarono appena in tempo per vederlo stringere la mano all’uomo. Le vibrisse gli tremavano tutte per l’eccitazione e la coda era un metronomo. Facile immaginare come fosse andata a finire. Infatti, un attimo dopo, Max corse ad abbracciare Grape, sollevandola da terra. “Ha detto di ! Tutta la notte, tutta la musica che vogliamo, tutto il cibo che vogliamo! E fuochi artificiali come se piovesse! Sarà un ballo indimenticabile! Amo quell’umano!” E così dicendo, improvvisò con lei dei passi di danza.
Grape fu felice di vedere che Peanut stava sfoggiando un compiaciuto quanto sincero sorriso. A Max, quando questi la posò a terra, disse, “Sono proprio felice per te, Maxie. Per tutti voi… Anche se credo che non ci sarà erba gatta, vero?”
Lui sospirò. “Dal modo in cui l’ha messa, se avessi insistito finivamo a ballare dietro alla discarica.” Fece spallucce. “Obbe’, sopravvivremo a questa perdita. Magari Fester un po’ meno.” Fester era il…fornitore dell’erba proibita. Fornitore e monopolista. Faceva grandi affari ad ogni Yarn Ball, ma questa volta rimaneva a stecchetto..!
L’ultima volta che Grape aveva fumato quella roba, era stato proprio allo Yarn Ball dove aveva imparato a conoscere Max. Una sola sigaretta, ed era andata su di giri come una Ferrari, e c’erano voluti gli effluvi dell’erba a spingerla a confessarsi con Peanut sui suoi sentimenti per lui… Non fosse stato che quando era stata finalmente pronta al grande discorso, Morfeo l’aveva presa a sé. E sarebbero passati mesi prima di ritrovare quel coraggio, e grazie al cielo a mente non onnubilata da quella robaccia!

Martin tornò a rivolgersi ai suoi ospiti senza pelliccia. “Dove eravamo? Ah, sì, il rifugio. Innanzitutto, il nome.” Tracciò un immaginario arco con il braccio. “The Lucky Charm Garden. Un po’ pacchiano, magari, ma voglio che renda l’idea: niente più nomi squallidi come ‘casa rifugio’ o qualunque cosa correlata ad un canile. Vedrete, non la riconoscerete nemmeno*” Si interruppe rapidamente al suono purtroppo inconfondibile di una zuffa canina! Martin imprecò e corse verso la fonte di quel baccano. Proprio quello che ci voleva, neanche un’ora e già qualcuno moriva dalla voglia di perdere del pelo! E con tutti gli animali presenti, il rischio che la zuffa si estendesse era alto! E se fosse successo, quello sarebbe stato l’ultimo party collettivo per un bel pezzo a venire…
Martin tirò un sospiro di sollievo, dentro di sé, alla vista di Aldebaran ed Antares che trattenevano ognuno un cane inferocito. Riconobbe Bino, e l’altro, un pitbull arancione con gli occhi da invasato, era quel… Ah, sì, Tiger.
“Lasciami andare, botolo fuori misura!” stava latrando Tiger, il pelo dritto, le zanne snudate in un ringhio assassino. Persino gli artigli sembravano volersi estroflettere come quelli di un gatto. “Quando avrò finito con lui—“
“Finito!? Hah!” Bino sembrava spassarsela un mondo. Infatti, Aldebaran avrebbe più che altro dovuto tappargli la bocca. “Non sai nemmeno iniziare una cosa! Se una zuffa ti pestasse la coda, passeresti il tempo ad imprecare e basta, figlio di gatto!”
Era stato come accendere un candelotto a miccia corta. Il pitbull stava addirittura riuscendo a fare faticare Antares! Se Tiger avesse potuto strapparsi le braccia per azzannare Bino, lo avrebbe fatto. Bino lo capì, e perse un po’ della sua baldanza; stavolta aveva proprio esagerato..
“Basta così,” intervenne Martin, mettendosi in mezzo ai due contendenti, e poi accosciandosi.. “Basta. Così.” Stese le mani, afferrò un orecchio ad ogni cane…e vi diede un pizzico tremendo, proprio dove faceva più male! Gli altri animali sussultarono nell’udire il guaito di dolore dei due cani. Soffrirono, ma si placarono. Per ora. Impegnati a lanciarsi occhiatacce mentre si massaggiavano le parti offese, Tiger e Bino ascoltarono Martin Foster dire, con un tono ed un’espressione quasi furenti, qualcosa che non avevano immaginato fino a quel momento che lui potesse mostrare, “Questo è il mio territorio. Mie le regole, mie le responsabilità, ragazzi. Ora, Tiger, tu vieni in casa con me, dove mi darai la tua versione dei fatti. Bino verrà subito dopo e mi darà la sua. Chiaro?”
“Signor Foster—“ tentò Jerry Arbelt, il padrone di Tiger.
Senza alzarsi da terra, Martin sollevò di scatto una mano per segnalargli di tacere. “Ho detto, mie le regole. Nessuno allontanerà nessun animale da qui se non lo dico io. Non ho messo su questa festa per trasformarla in una gara a buttafuori. Concetto chiaro?” poi si alzò in piedi. Adesso tutti tacevano, affascinati da quel cambio di umore.
Earl Sandwich, uno di quei testimoni, da una parte era soddisfatto di sapere che quel giovanotto nutrisse qualche altra emozione oltre alla sua devozione incondizionata per gli animali, dall’altra la velocità con cui questo nuovo aspetto si era manifestato, era, be’…allarmante.
“Jerry,” stava dicendo Martin, per poi rivolgersi ad un uomo con un pizzetto e la barba non proprio rasatissima, “Jake. Un’altra cosa: qualunque cosa succeda, uscissi di casa anche con una dozzina di punti al braccio, nessuna punizione per questi due cani. Chiaro? Neanche un buffetto. Consideratelo un favore personale.”
I padroni di Bino e Tiger si scambiarono un’occhiata perplessa, e non solo loro. I loro pensieri erano per un attimo andati alla possibile causa per danni che, al posto di Martin, chiunque altro avrebbe intentato volentieri. Questo tizio faceva così perché di soldi ne aveva, o perché era una specie di masochista?
“Se va bene a te, capo,” fece Jerry.
Martin annuì. “Mi va bene. Tiger, cortesemente, vuoi seguirmi in casa?”

Un po’ alla volta, i partecipanti tornarono ai loro affari, alle chiacchiere, ai balli… Insomma, alla festa. Ogni tanto qualcuno lanciava un’occhiata preoccupata a Villa Foster…
“Oh, come la vedo male,” disse un nervoso gatto arancione, con una medaglietta blu al collare che mostrava una grossa ‘M’ stilizzata. Sembrava rassegnato all’idea che Tiger potesse passarle brutte. “Ma perché continua a raccogliere queste provocazioni?”
Max sventolò un biglietto da cinque dollari davanti al volto del suo amico. “Scommettiamo che ne esce bene, invece?”
Il gatto Marvin, convivente di Tiger, sollevò un sopracciglio. “Se per ‘bene’ intendi che non potrà più mettere piede da queste parti, ci sto.”
“No, intendo bene che andrà alla grande, per quel botolo.” Max aggiunse altri due biglietti.
“Non ti facevo tipo da credere nei miracoli,” disse Marvin, aggiungendo i soldi della sua paghetta. “Per quanto, spero che tu abbia ragione.” Ed era sincero. Tiger veniva preso regolarmente per i fondelli a causa del suo nome da felino, ed avere Marvin quale suo migliore, se non unico, amico, non aiutava le cose in un vicinato dove i cani se la tiravano davvero molto con questa storia della specie. Tiger era diventato ultraparanoico ed estremamente aggressivo, e dargli del ‘figlio di gatto’ era come puntarsi una pistola addosso. Se non ci fossero stati quei colossi, sarebbe scorso il sangue, oggi…
Max rivolse uno sguardo a Grape. "Io nei miracoli ci spero sempre," chiosò, facendo l'occhiolino alla gatta color lavanda.
Come potrei sopravvivere ad una presa in giro dietro l’altra, e non per un nome strambo, ma solo perché sono innamorata di un cane? Grape sospirò.

“Per favore, siediti.”
Dopo anni, letteralmente, di soprusi psicologici da parte degli altri animali, e delle conseguenti punizioni inflitte da Jerry per le sue reazioni a quei soprusi, Tiger aveva imparato a mettere e tenere su una maschera da duro. Se agli altri, Marvin escluso, non importava di farlo felice, lui non si sarebbe sprecato a fare felici gli altri con quegli stupidi sorrisi da cucciolo compiacente.
E allora, perché si sentiva tanto mortificato, nel prendere posto sulla poltrona in quel salotto? Tiger si guardò intorno. C’erano altre tre poltrone, e tutte e cinque erano disposte in cerchio. Un grande orologio a pendolo, sempre in legno scuro, ticchettava piacevolmente. C’era un camino in mattoni, una grande libreria in radica, un tavolino in vetro su cui erano posati un romanzo con segnalibro di Stephen King e una specie di telecomando vicino al libro. Solo che non sembravano esserci apparecchi che richiedessero un telecomando, là dentro…
“Filodiffusione,” disse Martin, facendolo sussultare. L’uomo aveva preso un grosso volume dallo scaffale in alto della libreria. “Questa è la nostra sala lettura, e non esiste di doverla contaminare con qualunque altro media che non sia un buon canale di musica classica, mentre in sala ricreazione ci si può dedicare a qualunque esperimento musicale.”
Tiger tese l’orecchio. L’isolamento degli ambienti, là dentro, era davvero buono; doveva sforzarsi per percepire il volume alto sulla televisione che da detta sala trasmetteva… Mazinger Z? Qualunque cosa fosse, era pronunciata in un linguaggio assurdo, ed era comunque quasi sovrastata dai latrati eccitati quanto inconfondibili di Joey ed i suoi quattro strani amici. Quindi doveva essere animazione giapponese, quelli andavano così tanto in brodo di giuggiole solo per quella roba.
Martin si sedette sulla poltrona di fronte a Tiger. “A quei ragazzi ho promesso un paio di riunioni alla settimana, martedì e giovedì., mentre il mercoledì sera va a Ryan – il Papà di Fido, sai – e la sua banda di D&D. Spero di coinvolgerli in qualche sessione di Magic un giorno o l’altro—“
“Cosa doveva dirmi?” lo interruppe Tiger, che intanto aveva avuto il tempo di rimpolpare la sua baldanza.
Martin gli mostrò quel sorriso, e Tiger arrossì leggermente, vergognandosi di essere stato rude. “Non sono io a doverti dire qualcosa.” Diede una pacca allo spesso volume in pelle nera con bordi e fregi d’oro. “Sono un convinto sostenitore delle nuove tecnologie, e penso che internet sia una gran cosa. Ma quando si tratta di dire le cose come stanno, niente ha la dignità, la solennità e la serietà di una blasonata enciclopedia!” Rifece quel gesto. La luce dalla finestra illuminava il volume.
Tiger sbuffò. “Ho già cercato in internet tutto quello che c’è da sapere sulla tigre. È solo uno stupido gatto…solo un po’ più grosso. E non mi piace chiamarmi come un gatto, e Papà non lo capisce, e tutti quegli stupidi cani si aspettano che io mi metta ad acchiappare gomitoli, e…” Non ci credeva, stava cedendo. Si sentiva quelle stupide lacrime che versava fin da cucciolo, quando non capiva perché il suo nome fosse così buffo e tutti lo trattavano da strambo…
Il suono di un tessuto che si lacerava riportò la sua attenzione a dove si trovava…e vide di avere stretto talmente i braccioli da squarciarne la copertura. Se non avesse tenuto saldamente il controllo, se la sarebbe fatta addosso per la paura. Ora sì che era nei guai…
Martin lo prese delicatamente per le spalle. “Tiger? Ehi, ragazzo, guardami. Tiger.” La sua voce era calma, quasi ipnotica. Si trovava con il volto ad un centimetro dal muso canino, e si puntava gli occhi come faceva John Travolta in quel film… “Tutto bene, okey-dokey? Va tutto bene. Non ti succederà niente. Su, fai un bel respiro e…cooosì, bravo. Meglio?”
Effettivamente, Tiger si sentiva meglio. Un po’. Aveva le orecchie appiattite al cranio e non osava incrociare lo sguardo di Martin. “Mi scusi per la poltrona, non…”
“Lo so che non volevi, e so anche che danni come questo li ho messi in conto nel momento in cui ho comprato e arredato questo posto. Secondo te, non spenderò ben altre cifre dopo questa festa? O non hai notato che in questa casa non ci sono vasi?” In effetti, ora che lo faceva notare… “Mizar e Alcor sembrano tanto dei bravi figlioli, ma quando iniziano la loro lotta… Be’, decollano. Credo che in quella condizione passino più tempo saltellando e rimbalzando come quelle palline magiche di gomma che fermi a terra. E gli altri due, be’, ho paura che un giorno o l’altro le onde sismiche che producono faranno cadere i vasi dai tavoli dei vicini.” Ridacchiò, e Tiger con lui. Da quanto tempo un umano non lo faceva sentire proprio bene?
“Ricorda, qui puoi venire quando vuoi se qualcosa ti cruccia. Ho una palestra, così potrai sfogarti un po’ in modo costruttivo, e mettere su un fisico più idoneo ad una creatura con un nome tosto come il tuo.”
A Tiger non piaceva, tra le tante altre cose, che gli si ricordasse della pancetta che stava inevitabilmente mettendo su. Non potendo pestare qualcuno, a meno di non volere passare un altro mese chiuso nella rimessa, finiva con lo sfogare la frustrazione sul cibo. Pizza e biscotti erano diventati parte preponderante della sua dieta, ormai, e per quante paseggiate facesse, le calorie stavano accumulando vittorie su vittorie. Papà lo aveva messo a dieta, ma non sembrava servire, e i croccantini dietetici facevano schifo… “Hai una palestra?”
Martin annuì. “Aldebaran e Antares si tengono in forma principalmente con quella. Mi piace fare qualche sessione con loro, quando posso, ma devo ancora sopravvivere ai loro ritmi. Sono sicuro che saranno felicissimi di farti entrare nel giro. Anzi, con un po’ di fortuna tutti e tre potreste mettere su il vostro fitness club, super esclusivo e alla faccia di quei mollaccioni invidiosi!”
Ecco un’idea che a Tiger non dispiaceva affatto. Doveva vedere quel posto, però prima decise di ridare voce all’inquilino cattivo della sua coscienza. “Ah… Lei…tu,” fece rapidamente al dito sollevato in scherzosa ammonizione. “Hai detto che ho un nome tosto?”
Martin tornò a sedersi. Si rimise il volume dell’enciclopedia in grembo, e vi diede un’altra pacca. “Ora tocca a te alzarti, e scoprire perché l’ho detto. Credimi, bello, non dovrai mai più vergognarti del tuo nome.”

Un piccolo capannello di animali stava attendendo all’ingresso. Ridde di ipotesi fioccavano di bocca in bocca, insieme a battute poco carine nei confronti di Tiger, e a humour nero relativamente all’umano che stava cercando di consolarlo. Il poverino!, qualcuno diceva, appena arrivato e già candidato all’ospedale… O magari a perdere in un giorno tutte le provviste di un anno…
Marvin li avrebbe voluti tutti prendere a calci per farli tacere. Per una volta tanto, anche Zachary, il coniglio grigio che viveva insieme a lui e Tiger, si sentiva solidale con quel cane che, a sua volta, gli dava non poco tormento nove volte su dieci a causa delle proprie ricorrenti paranoie di perdere quegli ultimi favori di cui godeva nei confronti del ‘nuovo venuto’…
La porta in mogano si aprì. Tutti tacquero, in un piccolo mare di espressioni stupefatte e occhi a spillo.
Tiger emerse dal porticato.
Tiger…sorrideva. Non un sorriso feroce, minaccioso, o insomma condito da una qualsivoglia ostilità. No, Tiger era felice. Un sorrisone di ritrovata confidenza che gli stirava le labbra. Il suo passo rifletteva la sua rinnovata condizione interiore. Passò davanti agli animali come Cesare in parata davanti alle popolazioni sconfitte, il petto tutto all’infuori.
Era qualcosa di così nuovo che pure Bino, che aveva ragione di temere una sanguinaria ritorsione per le parole di prima, lo seguì avvicinarglisi senza fuggire. Poi, Tiger lo prese per le spalle, facendolo sobbalzare, le orecchie dritte… e gli piantò un bacio sulla guancia!
“Sono Tiger,” disse senza lasciarlo, fissandolo dritto negli occhi. “Sono Tiger. Sono il terrore della giungla, il re delle Panzerdivisionen, l’eroe di Mompracem. E tu…sei un botolino con un nome buffo.” Concluse dandogli un buffetto sulla guancia appena baciata, e lo lasciò andare. “Sono Tiger, sono il più tosto, e amo quell’umano,” disse un’ultima volta, dirigendosi verso un gruppo di femmine che solo in quel momento sembravano essersi accorte della sua esistenza.
Marvin pagò a Max trenta dollari, e ce ne mise altri trenta. Addio sudati guadagni, ma cavolo se ne valeva la pena! “Dimmi che non ti eri concordato con il signor Martin.”
Le cose erano andate persino oltre le più rosee previsioni. Lo stesso Max intascò i soldi senza neanche goderseli come faceva di solito. “Cavolo. Quel tizio è fantastico. Chissà se adotta ancora?”

Fra gli spettatori di quell’assurda metamorfosi, c’era anche Fido, che si dovette ripetutamente strofinare occhi e orecchie. Poi guardò Martin come se venisse da un altro pianeta. “Signore, lei…lei è…”
“Chiamami Martin.”
“Hn-nn. Cosa gli ha fatto?” Non si sarebbe rimasto sorpreso se gli avesse detto che c’entrava qualche farmaco molto forte.
Martin fece spallucce. “I miracoli di una corretta informazione, ragazzo mio. Tiger non aveva bisogno di una paternale, o di un biscottino, ma di sapere cosa implica il suo nome al di là dell’etimologia.”
“Ha qualcosa di altrettanto forte, sui topi?” fece una vocina così minuscola che era sembrata un gioco ventriloquistico di Fido.
“Hai detto qualcosa, ragazzo?” chiese infatti l’uomo.
Fido sospirò e si indicò il ciuffo di pelliccia sulla testa. Dal ciuffo, emerse una minuscola figura grigia non più alta di 8 centimetri. “Martin,” disse Fido, “questo è Spo.”
Spo tese una zampina verso l’umano. “Onorato.”
“Ah, immagino di esserlo anch’io.” Martin tese il mignolo. “Nome grazioso, il tuo.”
“Grazie, capo! Mio fratello minore si chiama Spp. Mamma spera di battezzarne almeno uno ESPN.”
Martin sbuffò una risata attraverso il naso. A Fido, disse, “È forte il tuo amichetto. Hai già mangiato qualcosa, Spo?”
In risposta, un brontolio fuori misura venne dal pancino del topolino.
“Mi sono portato dei cereali, per lui,” disse Fido, “Ma non sembra avere appetito.”
“E ti credo!” Sbottò Spo. Con le braccine cercò di abbracciare tutti i tavoli su cui umani e animali a turni sciamavano come locuste educate. “Ma lo vedi? Come se Dracula dovesse scegliere la mummia avendo la donna cannone già fra le braccia! Non c’è nessuno che abbia un po’ di pietà per l’unico topo di questa ‘festa’??”
“Spo,” disse Fido, pazientemente, “lo sai che per quanto questo sia un posto aperto agli animali, i topi, be’… non sono ben visti, ai buffet.”
“Pessimo pregiudizio,” disse Martin, “ma a tutto c’è un rimedio. Venite dentro, su. Op op!” E spinse Fido con il suo ‘carico’ verso l’ingresso.

Giunti in cucina, dove diverse persone ed animali rinnovavano le disponibilità delle varie insalate e condimenti, e bevande e quant’altro stesse sparendo nel maelstrom di fauci all’esterno, Martin salutò rapidamente un po’ tutti, poi si avvicinò ad una specie di credenza per bambole incassata all’estremità di quella normale. La piccola credenza era di legno laccato di nero. “Quando l’ho fatta aggiungere, pensavo che ci sarebbero stati altri proprietari di topi da queste parti. In Giappone, col poco spazio che c’è, vanno per la maggiore fra gli studenti. A New York, va di moda avere persino dei ratti, nell’alta società.” Usò un paio di pinzette appese alla credenzina per estrarre una minuscola ciotola già provvista di cucchiaino. Poi, con lo stesso sistema prese una minuscola bustina con delle scritte che solo una lente di ingrandimento avrebbe potuto decifrare. “Ah, questa fa al caso nostro…cioè tuo, Spo.” Usò la pinzetta per aprire la bustina e versarne il contenuto nella ciotola. Poi andò al lavello, e usò una goccia d’acqua per inumidire la polvere e rimestò rapidamente il contenuto col cucchiaio da bambole. Finalmente, servì il preparato a Spo. “Ecco. Non è un tramezzino, ma chi me l’ha venduto mi ha stragiurato che i topi impazziscono per questo. Se non ti piace, ti prometto che ti faccio fare un tuffo in un vassoio intero di cibo, che ne dici?”
“Hm, perché no?” Spo prese la ciotolina. Se però all’inizio era tentato di gabbare questo tipo, trovarsi la stoviglia fra le mani gli scaldò il cuore come raramente gli era capitato.
Non aveva mai avuto una minuscola ciotola tutta per sé. Sì, era stupido, era solo un oggetto dove si riponeva del cibo, ma era la sua prima ciotolina…
Il topo si schiarì la gola prima che finisse col cedere del tutto ai sentimentalismi. Però, quella specie di pappa non odorava mica male… Mandò giù rapidamente un cucchiaio…e le sue papille gustative andarono in sovraccarico! “Omioddiomiodddiomiamamabellaebuona!! È sublime!” Finì quanto rimaneva in tre cucchiaiate ben generose, poi porse la ciotola vuota.
“Spo…” lo ammonì Fido.
“Tranquillo, ragazzo,” fece Martin, ripetendo l’operazione. “Che razza di festa è se uno non può godersela? Dacci dentro, ho provviste a sufficienza per il tuo grande appetito.”
“Signor Martin..?” fece una voce, timidamente, dall’ingresso.
L’uomo si voltò. “Ah, Zach, giusto?” non c’erano neppure molti conigli, a Babylon. E quei pochi si tenevano in disparte persino l’uno dall’altro.
Zachary annuì. “Posso, ah, parlarle un secondo?”
“Sicuro! Fido, hai visto come si fa, preparane tu al tuo amichetto fino a quando te ne chiede. Scusami.” E andò verso il coniglio.
Guardandolo allontanarsi, Spo se ne uscì in un sospiro felice, gli occhi trasognati. “Amo quell’umano.”
“Fa questo effetto, si direbbe.”
“Hmm, ti sento perplesso. Il re dei cani poliziotto di B.G. ha fiutato qualcosa di losco?” Improvvisamente, l’adrenalina stava cominciando a circolare forte nelle vene del topolino. Era quello il momento più pericoloso, quando la sua bocca rischiava di andarsene a ramengo, ad un volume che non sembrava materialmente possibile per quei piccoli polmoni.
E c’erano troppe orecchie indiscrete, in cucina, anche se per ora nessuno sembrava essersi accorto di quello sproloquio. Fido agitò leggermente la testa per disarcionare Spo contro un orecchio, per metterlo a tacere, ed uscì. “Ehi, voglio un’altra porzione di quella pappa degli déi! Dove stiamo andando? Ho capito, caccia al cattivo? Hai già le giacchette pronte nell’anello, eh? Kevin muore dalla voglia di placcare qualcuno, oggi…”
Normalmente, Spo non era oggetto di chissà che attenzioni, quindi Fido proseguì lungo i corridoi a passo svelto ma senza correre perché non fosse lui ad attirare l’attenzione. E a chi glielo avesse chiesto, avrebbe detto la verità: che stava andando in bagno.

Appena fu entrato, il più rinomato segugio di Babylon Gardens si assicurò, chinandosi ed annusando a fondo, che nella ritirata non ci fosse altra anima viva. Poi si diresse verso l’angolo più lontano dalla porta, e si appoggiò alla parete. Prese Spo dalla testa e, tenendolo appoggiato sul palmo, disse, “Non so cosa sia, esattamente. E non è il classico dubbio da ‘tutto è troppo perfetto per essere vero’. Quel Martin è davvero una persona dedicata, e lo sa il cielo che ne avremmo bisogno di più persone come lui, al mondo… Ma…” Fido si morse il labbro. Certe volte, le parole erano così difficili da trovare…
“Sta compensando,” disse un meditabondo Spo, all’improvviso. Quella era la parola giusta.
“Puoi ripetere?” fece Fido.
Il cane vide il topo tutto concentrato, lui che di solito, quando aveva un’illuminazione partiva in quarta per esporla con l’entusiasmo di Picchiarello. Quella doveva essere la giornata degli inediti… “Sai, tutte quelle volte che parlo a vanvera nel momento sbagliato e ti faccio arrabbiare tanto? Che poi faccio il bravo per tutto il giorno dopo perché hai tanti altri pensieri per la testa? Ecco, quel tizio mi ricorda me quando faccio così: solo che lui fa le buone azioni. Si sta dannando non per fare riuscire la festa in sé, ma perché sta chiedendo perdono per qualcosa. Tu che dici?”
Fido era allibito…e un po’ imbarazzato nello scoprire che quella creaturina era capace di tanta attenzione. Si fece un appunto mentale di tenerlo buono per gli interrogatori… “Dico, be’, che hai ragione.” Se era proprio così, quell’umano non aveva uno scheletro nell’armadio, ma un intero mammut nella rimessa.
Ma era così giovane! Aveva 35 anni, stando al database municipale. Cosa poteva avere già fatto di così terribile da dovere scaricare la colpa con un simile dispendio di mezzi? Fido faticava a pensarlo, e provare ad immaginarlo gli trasmise un brivido lungo la schiena. C’erano bambini molto cattivi, in fondo…
---
“Ehilà, Bino!”
La voce allegra di Mizar ebbe finalmente l’effetto di scuotere il Presidente del Club del Buon Cane dalla trance in cui era piombato. Di tutte le novità che potevano cortocircuitarlo, quel giorno già ricco di sorprese, vedere Tiger rinato a nuova confidenza lo aveva, come dire…annichilito.
Annichilito, e spaventato. Le sfuriate di Tiger erano solitamente innocue, molto chiassose…uno spasso. Quel pitbull nevrotico era il bersaglio preferito, quando si aveva voglia di farsi quattro facili risate e un po’ di adrenalina. E se le cose minacciavano di mettersi male, Marvin era quello che frenava Tiger. Marvin. Un gatto. E giù altre risate.
E ora, questo! Poche dolci parole da quell’umano impiccione, e Tiger si era permesso di dare a Bino del ‘botolino con un nome buffo’.
Tiger!
Sasha aveva provato ad adoperarsi per placare la sacra ira di Bino, ma lui non le aveva neanche badato. Non aveva tempo per le smancerie, era ad una vendetta che doveva pensare, per la miseria! O magari sfogarsi a spese di quel tontolone di Peanut, sì, quel…gattaro! Lui e Grape potevano anche stare facendo finta di giocare ai fidanzatini con Tarot e Max, ma Bino l’aveva visto, una volta, quello stupido cane, che pensando di starsene solo, giocava a ‘mi ama non mi ama’ con una margherita, per poi sospirare il nome di Grape come solo un innamorato può fare.
Bino aveva fatto i miracoli per non vomitare, promettendosi però di aspettare l’occasione giusta per ridicolizzarlo davanti a tutti…
“Ehi, Bino?” Di nuovo la voce di Mizar.
Di nuovo, Bino fu scosso da quei pensieri monomaniacali. “Ciao, Miz. Scusami…pensavo.”
La femmina bianca di pastore tedesco gli si avvicinò. “Questo l’ho visto. Borbottavi insistentemente qualcosa su Peanut, a un certo punto.”
Bino si sentì arrossire. “Hm, niente di importante.” Inutile cercare di coinvolgere questi forestieri, per ora. Comunque, lei era proprio una gran bella signorina! Faceva sembrare brutta anche Sasha, e i maschi canini del vicinato erano concordi nelle loro valutazioni. Naturalmente, solo Peanut sembrava immune al fascino di Mizar..!
Mizar si mise dietro di lui, e iniziò a massaggiargli le spalle, con movimenti delicati che lo mandarono in visibilio. “Io penso di sì, invece. Ne vuoi parlare?”
“Hmmrr, non è niente, Peanut è solo uno sciocco amante dei gatti. È una cosa del Club. La sistemerò.”
“Io dico che la sistemeremo noi,” disse una voce maschile. Minacciosa.
Bino spalancò gli occhi che aveva chiuso nell’estasi di quel massaggio. E si trovò a fissare Antares e Aldebaran. I GROSSI cani di Mr. ‘Chiamami Martin’ Foster.
A parlare, tuttavia, era stato il quarto membro della famiglia animale del padrone di casa: Alcor, il gatto, bianco come Mizar, e i cui occhi d’oro fissavano Bino con un odio intenso. “Tu non sistemerai nulla, Bino, né ora né mai. Tu lascerai in pace Peanut e Grape. Sono stato abbastanza chiaro?”
Bino non ci si raccapezzava. Provò a muoversi in direzione di quell’insolente felino, ma si scoprì prigioniero della morsa di ferro di Mizar! Per essere una femmina, era forte come Rex!
Alcor disse, “Giusto per tua informazione, io e Mizar facciamo coppia come la fanno Peanut e Grape. Quando offendi loro, offendi noi. Quando pensi di renderla difficile a loro, ci sentiamo coinvolti. Anche perché sono nostri ottimi amici.” Si avvicinò a Bino, che stava per dire qualcosa, e gli posò un artiglio ben teso sul naso. La sua voce era un sussurro cantilenante. “Ssshh, Binuccio. Questo non è un dibattito, questo non è un talk show, tu devi solo ascoltare, e capire se ci tieni alla pelle. Io e Mizar siamo stati randagi tutta la vita, siamo sopravvissuti a cose che farebbero paura a un lupo. Tu e la tua ghenga addomesticata ci fate paura quanto un mucchio di peluche.
“Te lo ripeto, mettete un dito su Peanut e Grape, e noi faremo lo stesso con te, e Papà ha abbastanza soldi per comprarsi tutti gli avvocati che vuole e fare finire te al rifugio. E quello è un gran brutto postaccio, credimi… Ma se anche questi argomenti non ti bastassero… Ragazzi?” aggiunse, senza voltarsi.
Antares allungò una mano verso un ramo spesso e nodoso di una delle querce. Bino vide i muscoli del cane flettersi, e la lingua sporgersi un po’, poi quella mano spezzò il ramo alla base! Il suono echeggiò come uno sparo!
“Quello era il tuo collo,” disse Antares, indicando con un dito la base tranciata. Reggeva il ramo come fosse stato un giocattolo, ma doveva pesare un accidente!
Poi Antares porse il ramo al gemello. Aldebaran disse, “Questa è la tua testa.” Il resto fu velocissimo, un movimento di quelle fauci mostruose le cui zanne sembravano di lampeggiare di luce propria. Bino non credeva che una bocca canina potesse spalancarsi a quel modo!
Poi le zanne si chiusero su quel ramo. E lo tranciarono in una specie di esplosione di schegge e polpa lignea!
Aldebaran masticò per un paio di secondi, poi sputò le schegge addosso a Bino.
“Spero che ci siamo spiegati,” disse Alcor. Diede un buffetto sulla guancia di Bino. Sorrideva mostrando tutti i denti, e anche gli altri facevano lo stesso. “Passa parola.”
Mizar lo lasciò andare, e Bino cadde in ginocchio. Guardò il quartetto andarsene in silenzio.
Ora doveva solo decidere se qualunque piano avesse in mente per Peanut e Grape valesse la propria vita…
---
“Io non so come, ah, chiederglielo,” fece Zach. Il poveretto non era spaventato, bensì imbarazzato come non mai, le orecchie così abbassate all’indietro che avrebbe potuto usarle per grattarsi i talloni. “Vede, è una storia lunga, ma per qualche ragione un branco di animali selvatici della vicina foresta pensa che io sia una specie di araldo di una non meglio precisata età dell’oro per tutti gli animali. E, be’…” Parlando, Zach aveva condotto l’uomo intorno all’edificio, e da lì nell’area più lontana del giardino.
Martin, a dire il vero, non stava capendo niente di quello che il nervoso coniglio stava dicendo. Ma se ne fece una prima idea, alla vista del branco di creature che se ne stavano disciplinatamente davanti alla recinzione di rete.
Alla vista di Zach, esplosero in un unico coro, “Salute al Mastro di Via!!
Martin era allibito, Zach si coprì gli occhi con la mano. “Non lo sopporto.”
Martin studiò quella variopinta folla: due procioni con i figli in spalla, due cervi, uccellini, una lince… “Ti dispiace ripetermi quella storia?” fece a Zach, senza togliere gli occhi di dosso da quel capannello. E se mai aveva visto espressioni adoranti…
Un’idea folgorò l’uomo. No, aspetta, meglio ancora!”
“Uh?”
Martin si chinò fino a potere sussurrare fittamente nell’orecchio di Zach. Il coniglio, dapprima perplesso, spalancò gli occhi. Poi rivolse uno sguardo supplice all’umano. “Ma così non mi aiuti! Penseranno ancor di più che sono il loro gran capo o che!”
Martin fece spallucce. “Io dico che invece sarebbe il caso di approfittare di questa tua fetta di potere. Se ti danno così retta, tornerà di comune beneficio per tutti. Immagino che vengano a farti visita a casa come lo fanno adesso, vero?”
Mestamente, Zach annuì. Papà era pronto a chiamare il controllo animali per sbarazzarsi di quelle ‘visite’ che immancabilmente rovinavano il giardino di casa. Senza contare che i procioni si erano fatti ancora più arditi, e gli umani ne erano molto seccati… E lui se ne sentiva responsabile, ma per quanto provasse a convincerli, quei fanatici non lo mollavano proprio! “Martin, sei sicuro che almeno metterà un po’ a posto le cose?”
L’uomo gli appoggiò le mani sulle spalle. “Scopriamolo subito. Forza, capo.”
Zach si portò davanti alla folla adorante, e si schiarì la gola. Tutti quegli occhi addosso puntati su di lui lo mettevano talmente a disagio… “Ascoltate, miei…amici.”
Ascoltiamo, Mastro di Via!
Zach indicò Martin, che se ne stava a qualche passo dietro di lui. “Questo umano, ah, è un mio buon amico, e vuole condividere i suoi averi con i bisognosi. Mi ha detto di avere a disposizione cibo e medicinali per aiutare le creature della foresta a superare l’inverno nei momenti più duri. Quando avrete bisogno di mangiare e nulla troverete nella neve, l’umano Martin Foster vi farà avere da mangiare. Non dovrete più rovistare nella spazzatura, altrui, anche perché la sua spazzatura sarà generosa almeno una volta alla settimana. E quella di stasera sazierà generosamente tutti voi, se avrete pazienza! Quindi, cortesemente, se potete ritornare dopo mezzanotte, troverete cibo in abbondanza!” Non aveva mai provato a tenere un discorso con toni da profeta, e si sentiva ridicolo come un—
La folla lo guardava con rinnovato rispetto. Se non fossero stati così innaturalmente disciplinati, garantito che si sarebbero messi a saltellare come quegli animali disneyani in ‘Fantasia’, con tanto di tutù.
Il Mastro di Via è nobile e generosi sono i suoi discepoli! Salutiamo e ringraziamo il Mastro di Via!” e detto ciò, gli animali della foresta si allontanarono.
Zach ebbe un’inquietante visione di quegli stessi animali pronti a calpestarlo fino a farne una svizzera. “Tu giuri che ci saranno tutti quegli avanzi che ho appena promesso, vero? Dicono che Cuba è bella, di questa stagione.”
Martin gli diede una carezza fra le orecchie. “Tu dammi una mano a sistemarla nei sacchi, okay?”
Zach sospirò. “Ma non ti sembra un tantino folle quello che è appena successo?”
Martin lo guardò. Anche per Zach era la prima volta, di vederlo improvvisamente così buio. Il coniglio deglutì, pensando che Tiger, arrabbiato, appariva meno minaccioso… “Ci sono cose peggiori, Zachary.” E poi tornò il sole. “Coraggio! Devo andare in cucina ad istruire gli altri sulla spazzatura. Ti faccio vedere la dispensa, che c’è da prendere i sacchi e riempirli, op op!”
Ma appena ebbero svoltato l’angolo, *THOOMP!* una specie di missile terra-terra centrò in pieno Martin, trascinandolo con sé per alcuni metri lungo il prato, scavando un solco nell’erba, e facendo di nuovo precipitare la festa in un silenzio agghiacciato.
“Sto bene!” Sollevò una mano l’uomo, la voce attutita dal grosso doberman sdraiato contro di lui. “Devo solo recuperare le funzioni motorie degli arti inferiori, ma sto bene e l’orologio funziona! Non c’è niente da vedere!”
KEVIN!” urlò Fido, che si era precipitato immediatamente fuori dalla villa. Definirlo ‘indignato’ sarebbe stato un eufemismo. Fido considerava la sua devozione agli umani parte integrante della sua natura, e come figura di riferimento per i cani-poliziotto di Babylon Gardens, si sentiva responsabile per il loro comportamento come un buon capobranco.
Kevin era un buon cane, senza il minimo dubbio. Ma aveva questa pulsione incontenibile a placcare la gente, cani o umani che fossero, sia che fosse per salutarli, che per fermarli in un inseguimento.
Ignaro di Fido, cosa rarissima per lui, il doberman stava gattoni su Martin, ansando felice come un cucciolone da mezza tonnellata. “AldebaraneAntaresmihannodettochegiocatesempreaplaccarvi!!!”
“Non solo è vero,” rispose l’umano. La sua voce era un crescendo di emozione, nella migliore imitazione di Jim Carrey nello sketch dell''Attacco dell'Artiglio'. “Ma forse non ti hanno anche detto che alla fine vinco sempre io, perché…sono il re del solletico!” e così dicendo, le sue dita passarono al setaccio il corpo del cane nei punti più sensibili, scatenandogli una serie di risate e contorsioni. In breve, si formò l’ennesimo capannello di spettatori per godersi la visione. Anche il padrone di Kevin aveva deciso di lasciare fare…

In un angolo discreto, da dietro un albero di mele, due occhi torvi fissavano la scena.
“Se dovessi dire di averti già visto così cupo,” disse l’husky argenteo che rispondeva al nome di Fox, “è stato quando Bino ti fece scoppiare quella bomba di erba gatta all’ultima festa di Natale al club. Cosa c’è che non va?”
Il cane a cui Fox si stava rivolgendo era un corgi. Pelo nero focato sulla schiena, bianco su ventre e gola, e un enorme paio di orecchie marroni con l’interno bianco che ora puntavano verso Martin come bastoni da rabdomante.
E nei suoi occhi azzurri c’era una rabbia come raramente gli si era vista. Le sue mani si contraevano e si aprivano, tremanti. Non c’era dubbio che se avesse avuto quell’umano a tiro, gli avrebbe fatto qualcosa di molto, molto spiacevole…
Fox si acquattò accanto al più basso amico. King aveva avuto un passato difficile, ed un padrone carogna. Stava bene, per quanto si potesse dire da un punto di vista di nutrimento e vaccinazioni, ma aveva un perenne, disperato bisogno di affetto, e come Tiger continuava per qualche ragione a vedere gli altri animali con una profonda diffidenza. Fox poteva dire di essere davvero il suo migliore, se non l’unico vero amico che avesse. Poi c’era Sasha, ma quella era un’altra storia.
Di solito, insieme a Fox, King trovava pace e voglia di socialità. E l’husky si era fatto una missione di tenere un occhio su questa creaturina burbera. Perciò, vederlo così regredito al puro odio lo preoccupava non poco. “King..?”
Quello che King disse, in risposta, fece raggelare le vene di Fox. “Ricordi Joel?”
Quasi Fox snudò di riflesso i suoi, di denti, ma non voleva contribuire alla già improvvisa tensione che avvolgeva il corgi. Se ricordava quel…quel..?
Una volta, già una volta di troppo, Fox era stato rapito. Il PETA lo aveva rapito per fare di lui, da tranquillo e felice cane domestico, un ferale, un randagio che avrebbe dovuto lottare a sangue per un briciolo di cibo preso dai rifiuti più lerci. Come cane di un agente di polizia, Bill, Fox ne aveva sentite, di quelle storie, oltre che di viverne una. E gli era bastato, ed era un ricordo che non voleva rivivere.
Poi c’era stato il secondo rapimento, l’anno scorso. Joel, e un ciccione di cui non ricordava il nome, lo avevano preso al parco pubblico, per sottoporlo a quella stessa tortura che solo i decerebrati maniaci del PETA potevano chiamare ‘liberazione’. E quando, per loro imbranataggine, si erano fatti prendere, il ciccione lo aveva quasi ucciso. Bell’’amante degli animali’, pfui!
Joel era un po’ più il ‘complice riluttante’, dei due. Al redde rationem, era stato quello disposto a non fare resistenza, ed aveva volentieri testimoniato contro la vera mente di quel ridicolo ‘piano’. Fox non credeva che fosse stato per bontà di cuore, ma almeno il suo dovere quell’umano lo aveva fatto… Prima di scappare chissà come dalla sua prigione. Fox non aveva dimenticato che gli doveva uno o due ‘favorini’ appena gli avesse messo le mani addosso. Come cane, lui non odiava la gente, ma per alcuni un’eccezione la faceva… “Sì, mi ricordo di Joel.”
King, senza smettere di guardare Martin con un odio profondo, disse solo, “È suo fratello.”
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - chap. 3 added

Post by IceKitsune »

Another great chapter. Loved the shocking ending I did not see that coming. Even though Google Translations make somethings not make much sense (Like it always screwing up the gender of everyone-I can't tell you how many times its called Grape male heck I think it called either Fido or Spo(I can't really remember)female once or twice-and a few sentences that just to me don't make any sense at all with words left untranslated and stuff) I'm really enjoying it so far. I can't wait for the next update.
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - chap. 3 added

Post by valerio »

HOUSEPETS
La Ballata dei nuovi giorni
di VALERIO

4.
Villa Foster, Babylon Gardens, Domenica, ore 14:00

Il pendolo nella sala lettura segnò i due colpi come il Big Ben, poi riprese a ticchettare verso l’ora successiva.
Martin Foster guardò dalla finestra, verso il giardino pieno di animali domestici e padroni intenti fra chiacchiere, giochi, zuffe e cibo. Gli riscaldava il cuore. I loro versi erano come un balsamo per il suo spirito, la loro felicità la sua. Se c’era un momento che avrebbe voluto imprimere come una fotografia nella propria memoria, pensò con gli occhi lucidi dalla commozione, era quello.
Se solo il passato non avesse quel maledetto vizio di mettersi di mezzo..!
Martin sospirò, e spostò lo sguardo verso i suoi ospiti: tre cani. Non che normalmente gli dispiacesse, anzi: aveva messo abbastanza poltrone in quella stanza proprio per condividere qualche momento di qualità letteraria insieme ai suoi cari, pellicciosi protetti.
I cani che lo fronteggiavano con aria diffidente, torva, e decisamente ostile, erano rispettivamente Fido, il ‘top dog’ dei cani poliziotto, laureato con lode all’accademia della polizia canina, poi Fox, un husky, ‘figlio’ del poliziotto di quartiere Bill, che a sua volta avrebbe spezzato una quercia in due per il suo protetto, e King. Era questi un corgi, un vero bassotto fra i suoi simili, ma dal modo in cui guardava il suo anfitrione quel piccolo…handicap rischiava di contare ben poco.
“Martin Weaver,” disse Fido, con calma. “Fratello maggiore di Joel Weaver.” Fece una pausa, come ad aspettarsi una negazione. Fido non aveva bisogno della sua giacchetta d’ordinanza blu, per sembrare la solennità in persona. Niente di strano che lo adorassero…
Martin tirò un profondo respiro, che esalò lentamente. Almeno, per come la festa progrediva, non aveva bisogno di chissà che scusa per allontanarsi per un po’. Anzi, tutti avrebbero capito se il padrone di casa si fosse voluto fare un riposino, come molti gatti al piano di sopra, nelle stanze degli ospiti.
Avrebbero capito quello che stava per dire a questi cani? Fido era guardingo, attento a non lasciare trasparire emozioni. Non era un cane abituato a dare giudizi, non senza solide prove. Fox sembrava…deluso, ma era l’odio di King che feriva maggiormente Martin. Non voleva mai dovere rivedere quello sguardo…
“Sono Martin Weaver.” Ecco, l’aveva detto. “Ho preso il cognome di nostra madre già da alcuni anni. Sono il fratello maggiore di Joel, sono un lurido ipocrita, e sono il responsabile per i prolungati abusi e per la fuga, se non la morte, della gatta Helias e dei cani Honcho e Ringo.” Un altro respiro profondo.
“I nostri genitori erano, senza troppi giri di parole, dei vermi. Lui saltava di lavoro in lavoro, più attaccato alla combriccola del bar che alla sua famiglia, e lei, quando del tempo libero riusciva a trovarlo, lo spendeva insieme alla televisione. Almeno non beveva, ma… Con quel dannato schermo il resto del mondo cessava di esistere.
“Con me e Joel, loro non erano cattivi. Hmph, per qualche ragione, quando lui tornava sbronzo, era felice, tutto promesse che le cose sarebbero andate bene, tanti abbracci… Cavolo, riusciva ad essere gentile persino con gli animali. Da ubriaco, si ricordava di comprare loro quel minimo da mangiare per non farli morire di fame, anche se i poveretti passavano le notti a rovistare fra i rifiuti in strada. Ma quando era sobrio, quando si ricordava di che razza di perdente fosse…” Martin digrignò i denti. Era anni luce lontano dall’anfitrione gioviale di quella mattina. Invece, assomigliava davvero tanto a Joel, o meglio alla sua acida maschera che purtroppo Fido aveva visto. “Io e Joel avevamo capito che era meglio stare lontani, e anche gli animali. Quando lui sbraitava i nostri nomi, sapevamo che era ora di cintura, o di scarpone a seconda di come gli girava.
“Stargli lontano era facile, e di solito aspettavamo che andasse al bar a ricaricarsi buonumore, come ci dicevamo. Ma quando non aveva neanche i soldi per pagare l’alcool, be’, a casa dovevamo tornarci. Mamma era davanti alla TV, noi davanti alla cintura.
“A diciotto anni, avevo l’età legale per andarmene, e lo feci. Il povero Joel no. Rimase lui, a difendere Helias, Honcho e Gringo, e nessuno rimase lì a difendere lui. Non chiedo neanche comprensione, per questo, avevo semplicemente ceduto al mio desiderio di una vita più normale, lontano da quell’ambiente assurdo, lontano dal dolore, lontano e basta,” ringhiò Martin. Ansimava dal naso come un toro. Fido ricordava il rancore negli occhi di Joel, quando lo arrestarono per il rapimento di Fox. Non era niente in confronto a quello che si agitava negli occhi di Martin. “Lavorai come un pazzo per integrare la borsa di studio, vivevo in alberghetti squallidi, che però costavano meno dell’affitto di un tugurio, e non avevo ne’ un telefono, ne’ internet, ne’ niente che non fosse una radiolina a transistor. Non potevo tenermi ‘fuori dal sistema’ come John Connor, ma ero determinato a fare in modo che i miei non sapessero mai più di me, e io di loro.
“Ne ero pentito? No. Ogni giorno della mia nuova vita era un giorno ben vissuto. Dormivo bene, lavoravo duro sapendo di non dovermi guardare le spalle ogni volta che rientravo. I problemi di casa erano solo un ricordo sempre più pallido.” Martin prese il telecomando della filodiffusione. Lo contemplò come fosse stato uno strano oggetto. “Un…ricordo.” Iniziò a stringerlo, dapprima piano, poi con sempre più violenza, fino a quando la dura plastica non si spaccò nella mano con un suono secco, rovesciando le viscere di circuiti e tracce di sangue di Martin. Il suo viso era un rictus di auto disprezzo, i suoi occhi due pozze di lacrime trattenute a stento. “Ero praticamente l’uomo di casa. Ero io che avevo promesso a Joel che gli sarei stato accanto. Gli animali guardavano a noi due per trovare conforto prima ancora che cibo. Avevo una dannata, semplice responsabilità, e avevo mandato tutto a monte perché ne avevo abbastanza!” Facendo sobbalzare i cani, scagliò improvvisamente i resti del telecomando al di sopra della poltrona dove stava King, guardandoli spargersi in altri frammenti. Fortunatamente, aveva chiesto che la stanza avesse la migliore insonorizzazione. Con tutte le orecchie sensibili che ormai giravano in lungo e in largo per la casa…
Martin prese un fazzoletto di tasca e ci avvolse la mano ferita. Sembrò essere più calmo, ora. “Continuai a trascorrere la mia ‘bella’ vita, continuando a finire fuori corso, oberato dai debiti e con il vizio della lotteria. Un dollaro al mese, tanto ci spendevo su. Non aveva senso buttare gran cifre per un gioco di pura e semplice fortuna, così mi dicevo. Il giornale lo scroccavo sul lavoro, dai clienti che lo avrebbero altrimenti buttato via.
“Fu lì che lessi del secondo arresto di Joel. Della sua confessione…tutto. Il giornale era un tabloid particolarmente generoso con i particolari, e molti, devo dire, distorti ad arte per farlo sembrare un folle maniaco bramoso di unirsi al primo culto di turno.
“Io sapevo che non era così. Sapevo che non era…che non è un cattivo ragazzo, non avrebbe mai fatto del male ad un animale come io non lo avrei fatto. E io che potevo fare? Per dove mi trovavo, potevo essere sulla Luna. Non avevo alcun mezzo proprio, persino un biglietto per Babylon Gardens era un lusso, e se anche avessi chiamato il più fetido studio legale, per una ‘trivialità’ come il rapimento di animali, mi avrebbero detto di lasciare fare all’ufficio legale della contea che avrebbe assegnato un legale d’ufficio. Ovviamente non avevo un centesimo per una cauzione, niente proprietà.. Alla fine, proprio la mia brama di indipendenza a tutti costi era diventata il massimo ostacolo per aiutare mio fratello.”
Martin guardò King. Il cane sembrava…sorpreso, come se non si fosse aspettato di sentire quelle parole. King aveva detto di essere stato rapito da Joel, a suo tempo, e che così aveva imparato del fratello carogna che lo aveva abbandonato…
Martin cercò di rilassarsi nella poltrona. “Avevo ricominciato a sentire le grida di dolore dei nostri animali, nei miei incubi. Continuavo a vedere i loro sguardi accusatori, e Joel rannicchiato in un angolo. Mi chiedevano Perché?, e io non avevo risposte. Una cosa, però, la potevo fare: mi decisi a chiamare l’avvocato di Joel. Il giornale diceva che papà era morto da tempo per cirrosi epatica, mamma era stata portata via da un ictus. Potevo solo pregare che gli altri avessero trovato un rifugio sicuro.
“L’avvocato mi disse che apprezzava molto la mia chiamata, e la mia offerta di testimoniare per mio fratello, ma il patteggiamento era già in corso, e avrebbe così rischiato una pena detentiva più ridotta che con un processo…”
King, che aveva le mani strette in grembo, le serrò a pugno.
Non era vero! L’avvocato gli aveva detto che quella del patteggiamento era solo un’ipotesi su cui stava lavorando, niente di più! Martin stava di nuovo mentendo…o no?”
Martin unì le mani e si picchiettò gli indici. “…Insomma, Lesters mi disse chiaramente che la mia presenza al processo non avrebbe cambiato un bel niente, anzi, magari avrebbe peggiorato le cose. Io capii solo che aveva una gran fretta di chiudere la cosa, e non sarebbe neanche stato sorprendente: fare l’avvocato d’ufficio significa una montagna di casi da trattare come gli articoli alla cassa del supermercato.
“Poi vinsi il Powerball. Esattamente un giorno dopo quella chiamata, il mio biglietto da un dollaro si rivelò essere il fortunato vincitore.” Martin ridacchiò, un suono amaro al limite di un verso isterico. “Evviva. La prima cosa che feci fu richiamare Lesters. Al diavolo l’anonimato, al diavolo la prudenza… Qualcuno aveva deciso che Joel ed io dovessimo avere una chance…”
King ebbe un altro tuffo al cuore. ‘Joel ed io’, ha detto. ‘Joel ed io’, non ‘Io e Joel’!
“Passai la notte a chiamare Lesters, ero pronto a cantargli quei numeri dannati al telefono se necessario, ma non rispose. Per la prima volta da quando ero fuggito da casa, non dormii un solo secondo. Ero, heh, troppo contento. Già mi rivedevo insieme a lui, in un posto splendido, circondati da animali, tutti i nostri problemi ormai alle spalle… E così, quando finalmente riuscii a parlare con l’avvocato, non capii cosa mi stava dicendo. Era tutto agitato, e io continuavo a interromperlo, e gli chiedevo di parlare con mio fratello, che potevo tirarlo fuori d lì, e…” di nuovo le lacrime minacciarono di sgorgare. Di nuovo Martin le soffocò ed inspirò a fondo. “Era evaso. Proprio quella mattina, prima per l’audizione del patteggiamento, era scomparso nel nulla. Un momento prima era nella sua cella, in attesa del suo avvocato con gli abiti, e dopo *puf*.” Schioccò le dita.
Se un cane avesse potuto perdere il colorito della pelliccia, King sarebbe diventato bianco come il cane e il gatto di Martin.
Pete, lurida carogna, tu sporco sacco di…
Si può credere alle coincidenze, ma questa no! No, non quando era coinvolto un grifone dotato di poteri magici di teletrasporto, metamorfosi, alterazione della realtà e una quasi certa onniscienza.
Ora, come poteva King dire a tutti i presenti che lui era Joel? Come poteva spiegare loro che non era scomparso nel nulla, ma che quel mostro maledetto lo aveva trasformato un odioso essere umano nella massa di pelo che tutti volevano abbracciare, per poi portarlo qui a Babylon Gardens, dove aveva finito con lo stringere amicizia proprio con quel Fox che aveva tentato di rapire?!?
“King..?” fece Fox, vedendolo vacillare, ansando.
Lo sguardo del corgi era perso nel vuoto. Vedeva gli attori di quel pazzesco dramma, senza vederli davvero.
Martin non lo voleva abbandonare, alla fine. Un solo giorno, un solo miserabile giorno, e si sarebbero rivisti, e ora starebbero vivendo insieme in questa villa insieme ai suoi quattro animali. Un solo giorno… Con tutti quei soldi avrebbe potuto comprarsi una maledetta assoluzione.
E Pete era intervenuto. Sei stato un ragazzo cattivo, Joel, devi imparare una lezione vivendo come coloro che hai tormentato, Joel.
Non si era accorto di stare piangendo. Nonononono
Tutte menzogne! Pete lo aveva portato via per il gusto di allungare la sua agonia, per fargli vedere come stava bene il fratellone mentre lui marciva in questo guscio senza diritti legali!
“King..?” Fox allungò una mano verso la sua spalla. Il poveretto ora sembrava davvero sul punto di un attacco isterico come mai aveva visto.
E King voltò di scatto la testa, lo fece così rapidamente che si sentirono le vertebre del collo scricchiolare. Contemporaneamente, la mascella si spalancò in tutta la sua ampiezza. Non c’era raziocinio, in quello che stava facendo. C’era solo un odio nero e puro, una sensazione quasi liberatoria nella propria intensità. Persino Fox viveva una vita felice, aveva chi lo amava, mentre lui? La prospettiva di essere preso per pazzo, se avesse detto la verità, sempre ammesso che Pete non gli avesse fatto qualche incantesimo per impappinargli la lingua se ci avesse provato.
Era intenzione di King mordere Fox, dargli un po’ del dolore che provava lui e al diavolo tutto il resto. Se quello era il concetto di scherzo secondo il grifone venuto da chissà dove e da chissà quando, era solo giusto che anche il povero King si facesse la sua risatina, giusto!?
“Sbagliato,” fece una voce accanto a lui.
King provò ad abbassare i denti contro la mano di Fox, solo per scoprire che un bastone di canna glielo impediva. Teoricamente, la sua mascella aveva la forza per spezzare quella roba, ma cos’altro doveva aspettarsi dal suo proprietario?
King, richiuse lentamente la bocca, dopo che il bastone l’ebbe spostata piano dal bersaglio.
La stanza era piombata in un’immobilità...be’, bastasse dire che il pendolo stesso si era fermato a metà del suo movimento. Gli altri erano tutti ridotti a statue dall’espressione incredula, comicamente fissata su King. Solo due persone potevano muoversi in quella stasi temporale. L’altra era un vecchietto alto, dai folti baffi grigi spioventi, un completo elegante (seppure datato) beige, e una bombetta ben calcata fin sugli occhi. “King, King…” lo rimproverò Pete. L’entità metamorfa usava quell’aspetto per confondersi fra gli umani di Babylon Gardens. “Tu pensi davvero delle cose cattive su di me, sono stupefatto.”
Solo un ultimo briciolo di razionalità fece sì che King non cercasse di sprecare le sue forze gettandosi contro quell’essere. “Dovrei pensarla diversamente, demone?” ringhiò. Il ‘corgi-tanto-carino’ aveva a sua volta lasciato spazio ad un assassino, per quello che valeva il suo intero portamento. Se Fox lo avesse visto così, ne sarebbe fuggito a zampe levate.
Gliene importava?
“Certo che te ne importa, giovanotto. Non hai mica fatto amicizia con lui perché ti sentivi la coscienza sporca, a differenza del tuo fratellone…”
NON LO NOMINARE NEMMENO!
“…Lo hai fatto perché lui ha voluto fare amicizia con te, facendo breccia in quei buoni sentimenti che sto cercando di fare riemergere in te. Quegli stessi buoni sentimenti che ti hanno spinto fin da Natale a mettere insieme una cuccia attrezzata di tutto punto per Sasha, così che non debba soffrire più il freddo quando il suo padrone la lasciasse di nuovo fuori. E guarda caso, una cuccia regalata proprio per San Valentino. Hmm, posso supporre che ci sia del tenero?”
La domanda giunse talmente repentina e fuori posto che King rimase lì come se fosse stato schiaffeggiato. La sua prima risposta, totalmente scollegata dai pensieri che ora turbinavano nella sua mente, fu, “Io…le voglio bene. Ma che c’entra questo!?” aggiunse, ritrovando il contollo. “Tu lurido… Ma sai già come la penso, eh? Non ti darò la soddisfazione di sentirmi sbraitare come un cucciolo isterico, carogna. E non mi importa cosa vuoi fare di me, ma non osare torcere un pelo a Martin, mi sono spiegato? O prima dovrai uccidermi, e chissà perché credo che non sia il tuo scopo con me.”
Pete scosse la testa. Si tolse la bombetta, e ora la testa era quella del grifone dalle piume blu e il becco dorato come gli occhi. *Sigh* “Non sembri molto ben disposto ad una conversazione civile, eh?”
“Che fai, prendi in giro?” King si afflosciò nella poltrona. Aveva voglia dell’osso di gomma di Fox. “Posso chiederti una cosa, prima che tu mi riporti in questa surreale prigione che è diventata la mia vita? Anzi, magari due cose.”
“Se tu pensi che crederai alle mie risposte, va bene.”
King si fregò le tempie. “Primo, perché mi hai impedito di mordere Fox?”
“Perché non avrebbe fatto bene a nessuno. La seconda domanda?”
King immaginò che non avrebbe potuto avere una risposta più ‘completa’ alla prima. E in questo, c’era da aspettarsi che Pete fosse stato sincero. “Secondo, perché coinvolgere Martin? Non ti bastava portare me, da queste parti?”
L’espressione del grifone mistico era imperscrutabile. In effetti, stava studiando molto attentamente la figura di Martin Foster/Weaver, come… Come se fosse stato un pezzo fuori posto nel suo puzzle!
“Non è stata una mia idea,” rispose Pete, la voce piatta, rimettendosi la bombetta, tornando completamente umano. “Tranquillo, non te lo tocco,” aggiunse, ma stava davvero rispondendo a King o a qualcun altro?
Una corrente invisibile sfiorò la schiena del corgi, facendolo rabbrividire fin nell’anima.
Pete tornò a rivolgersi al ‘suo’ cane. “Ti consiglio di essere molto convincente, nelle tue scuse, giovanotto.” Schioccò le dita, e scomparve.
Il tempo riprese a scorrere. Fox tirò via la mano da un morso che non sarebbe mai arrivato. Rimase invece decisamente sconcertato. Guardava King come se improvvisamente gli fosse spuntato sul petto una tessera che dicesse ‘Mi chiamo King, come posso ucciderti?’ Fido sembrava già pronto a farlo lui, un placcaggio, e Martin… Martin non sembrava capire come potesse un cane ridursi così.
Martin, che aveva sempre insegnato a Joel a coltivare l’empatia con ogni animale grande e piccolo, che non tutti erano ne’ disneyani bambolotti ne’ mostri assetati di sangue. Gli animali erano…complessi, occorreva capirli, come le persone, anche se certe persone erano fin troppo trasparenti.
Helias, il loro primo animale domestico, l’aveva portata a casa Martin una sera di pioggia davvero da cani. La povera gatta allora quasi non si reggeva in piedi ed era sorda da un orecchio. Lui passò ogni santa notte, sabato e domenica inclusi, a starle accanto. Joey era troppo piccolo per avvicinarsi, ma il suo fratellone gli sembrava il più grande degli eroi mentre faceva tutto quello che era umanamente possibile per aiutarla a riprendersi. E c’era stata grande festa, in casa, quando la femmina aveva lasciato il suo lettino da sola. Allora papà aveva un lavoro più regolare e non era ancora precipitato nell’alcolismo. Certo, non potevano permettersi un animale, e fu per questo che Martin aveva iniziato a fare lavoretti, lasciando a Joel la responsabilità di vegliare su di loro mentre lui era via in un fast-food, in un bar o chissà che altro…
Poi, col tempo, le cose erano andate a scatafascio…
Fox scosse la testa, guardandosi la mano intatta. Era assolutamente sicuro che… No, doveva esserselo immaginato, forse King voleva solo fare una delle sue scenate spaccavetri e l’aveva scambiata per l’atto di morderlo. “Ehi, King, scusami se…”
King si alzò in piedi, saltò sul bracciolo della sua poltrona, e saltò su quella di Fox. Poi abbracciò forte il suo migliore amico. “Scusami. Io…non so cosa mi sia preso, davvero,” uggiolò. Tremava.
“Ssh ssh ssh… Va tutto bene, su, su.”
Una mano umana si posò sulla testa di King.
“Mi dispiace tanto per quello che hai passato, e ne sono responsabile anch’io,” disse Martin, poi accosciandosi. Strofinò delicatamente una nocca alla base interna dell’orecchio del corgi, aiutandolo a rilassarsi. “Se c’è qualcosa che posso fare, chiedimela.”
“Una ci sarebbe.”
“Sì..?”
“Può dirmi cosa farà, se mai..dovesse rivedere Joel?”
L’uomo annuì. “Gli chiederò scusa, per prima cosa. Vorrei solo che sapesse, ovunque si trova, che non chiedo altro di potermi concedere un’altra chance, dopo il casino che ho combinato tanti anni fa. Vorrei che si costituisse per poterlo tirare immediatamente fuori con la più grossa cauzione che possa pagare, e farlo vivere qui con i ragazzi, ricominciare tutto daccapo, insieme come una volta.” Si terse le lacrime, che questa volta non fermò. “Vorrei sapere cosa ne è stato degli altri, anche per questo ho scelto di gestire questo rifugio. Non mi illudo che…ce l’abbiano fatta, ma almeno voglio scoprire se hanno avuto dei figli, cosa ne è stato di loro, insomma…” sospirò, e si rimise in piedi. “Così tanto da fare e così poco tempo.”
“Stai facendo tutto questo perché ti senti colpevole?” chiese King a bruciapelo.
King!” scattò Fox.
“Per pulirti la coscienza?” continuò il corgi, ignorandolo
Martin scosse la testa, poi fissò i cani negli occhi, e senza la minima esitazione disse, “Sono colpevole. Ed è saperlo, ricordarlo, che mi dà la forza di portare avanti questi progetti. Se volessi pulirmi la coscienza, mi basterebbe una casetta monofamiliare, un qualunque animale e il minimo sindacale in fatto di cure e cibo. Io ai miei ragazzi do il meglio perché devono averlo. E se mi succede qualcosa, saranno loro ad avere questo posto, non qualche misconosciuto ed avido lontano parente. Faccio del mio meglio con questi soldi perché ne ho la possibilità. Ho avuto dal destino una seconda chance, e costi quel che costi, la sfrutterò fino in fondo.” Adesso il suo tono era rabbioso, ma non nei confronti degli altri… Poi si calmò di colpo, lasciandosi andare contro la poltrona. “Scusatemi tanto, ragazzi, non volevo che sembrasse come se fosse una fatica o solo un dovere, per me, anzi…”
Fido andò ad abbracciarlo. Anche gli umani adoravano qualche coccola quando erano sotto stress, e Fido sapeva che quest’umano ne aveva davvero bisogno! “Lo sappiamo, Martin. Ora sei solo agitato, non ti preoccupare. Va tutto bene.”
L’uomo ricambiò la stretta, affondando le dita nel pelo quasi serico del cane, giocherellando con i ciuffi della schiena, la faccia affondata contro il collo. “Grazie, Fido. Grazie.”
“Grazie a te,” rispose il segugio, senza lasciarlo, anzi rinforzando l’abbraccio. “Stai facendo dei miracoli, per tutti noi. E sono sicuro che tuo fratello sarebbe orgoglioso di te, se lo sapesse. Sono sicuro che vi ritroverete, un giorno.”
King si unì all’abbraccio. “Ne sono sicuro anch’io… Sai, non è stato così male, per essere uno del PETA.”
Alla fine, si staccarono. Martin assaporò ancora un po’ la sensazione del calore e dell’odore lasciati dai due cani. “Posso chiedervi un favore?”
“Spara,” disse Fox, un po’ geloso di quel momento di condivisione cui aveva appena testimoniato.
“Che nessuno qui sappia niente. Per favore. Voi capite che se si sparge la voce della mia parentela con Joel prima che abbia avuto modo di aiutarlo ad uscire da queste rogne, il progetto del rifugio muore sul nascere. E non voglio che quegli animali innocenti—“
I tre cani gli posero le zampe sulle gambe. “Nessuno saprà niente,” disse Fido, con lo stesso sguardo solenne degli altri, che annuirono. “Dirò ai miei amici di tenere un orecchio dritto per ogni notizia che riguardi tuo fratello, nei limiti del possibile.”
Martin tornò a sorridere. “Grazie di nuovo.”
“Ma non hai paura che Papà scopra tutto comunque?” fece Fox. “Insomma, hai solo usato un altro cognome, ma i tuoi documenti mica sono falsi…vero?”
Martin fece spallucce. “Mi aspetto che la polizia sappia già tutto su di me, anche per questo sono entrato in grande stile e ho messo subito in chiaro le cose fin dalla prima assemblea, anzi facendomi precedere da un’intensa campagna pubblicitaria per cortesia dei piccoli Milton. Era la voce della legge che intendevo placare da fin da subito, e ci sono riuscito. Bill, per fare un esempio, quando mi ha mostrato la foto di Fox, lo ha fatto facendomi capire, pur senza essere esplicito, che sarebbero stati dolori se avessi fatto il furbo. Ma rispetta la legge, e non affiggerà manifestini dicendo che sono complice di Joel, non quando mi comporto come il suo completo opposto. Ho il beneficio del dubbio, intendo sfruttarlo bene. A partire da questa festicciola…a proposito della quale…” si diede una pacca sulle cosce e si alzò in piedi. “Ora di smetterla di fare i cospiratori, o ci mandano addosso i 600 di Balaklawa. Coraggio, op op!” Andò alla porta, e la aprì, lasciando uscire i cani per primi. Fido, anziché uscire, si diresse verso la cucina, dove aveva lasciato Spo ad ingozzarsi di quel preparato per topi che tanto gli era piaciuto. Un rutto rispettabile venne in quel momento dalla suddetta cucina.

“King!” scattò la femmina dal delicato pelo avorio, con le zampe marroni come le orecchie e il muso, e gli occhi di un bel rosa caramella, alla vista del corgi che usciva dal porticato. Sasha gli saltò addosso come un velociraptor buono, per poi serrarlo in un abbraccio da pitone. “YAY! Siete stati tanto tanto là dentro, a parlare con Martini!”
La logica di Sasha nell’affibbiare nomignoli alle persone, umane o no che fosse, continuava a sfuggire a King. Ma ‘Martini’ suonava buffo comunque, e lui ricambiò l’abbraccio della femmina svampitella. Anche se tecnicamente era la ragazza di Bino, era anche vero che tecnicamente lui la trascurava due volte su tre. Per dirne una, non le aveva fatto neppure un regalo, per San Valentino…
King ripensò alla domanda di Pete. Sì, voleva bene a Sasha, ma…in che modo? Insomma, quella cuccia gliel’aveva donata mica per caso il giorno di San Valentino.
Ma Sasha era un cane.
E lui cos’era?
“Aww, Kingy-kong si sente giù?” Sasha strofinò il tartufo rosa contro quello di lui, poi soffiò. “Via la tristezza. Meglio?”
King arrossì leggermente, ed agitò il moncherino di coda di cui la sua razza era provvisto. “Meglio.” E che diavolo, Fox era un bravo ragazzo, ma certi momenti li sapeva regalare solo Sasha. Bino era davvero un poco di buono, a non dedicarle più tempo, perso nei suoi sogni di gloria e rivalità nei confronti del fratello… “Ti stai divertendo?”
“Adesso sì. Forza, su!” senza troppo sforzo, Sasha prese King come un bambolotto e se lo mise sulle spalle, per poi mettersi a correre per il prato a tutta birra, fra l’ilarità generale. “WHEEEEE!” Il suo non era ‘flirtare’: il solo maschio per il quale Sasha faceva la svenevole era Fido, ma quello capitava praticamente con tutte le femmine del circondario! Per il resto, lei voleva solo che gli altri stessero bene intorno a lei. E chi era lui, per dirle di no? Se fosse stato lui, il suo Papà, e non quella carogna del corrente proprietario, l’avrebbe trattata come una regina.
Come Martin trattava i suoi animali.
Sì, doveva trovare un modo per aiutarlo, anche con i correnti limiti. Alla faccia di Pete o di chiunque altro si fosse messo di mezzo! Sono orgoglioso di te, fratello mio. Tanto! Perdonami, per avere pensato male di te tutto questo tempo…

Martin entrò nell’infermeria. Prima cosa, curarsi la ferita, ci mancava solo un’infezione o chissà che.
Aprì l’armadio dei farmaci. Incredibile, quanta burocrazia ci fosse solo per disporre di qualche medicinale di scorta in più! Mica si aspettavano che non tenesse neanche uno sfebbrante per gli animali? E gli sverminatori, e gli antifiammatori, e le bende, e…
Martin prese quanto serviva per curarsi. Appoggiò il tutto sul lavandino di acciaio tirato a specchio. Si tolse la benda provvisoria e la gettò nel cestino. Si sciacquò la mano, stringendo un attimo i denti al pizzicore dell’acqua corrente contro la ferita. Era un po’ più profonda di quanto avesse stimato, ma niente che i cerotti giusti non potessero tenere insieme.
Ricordarsi di tenere i ragazzi lontani dalla ferita. Lui non aveva il cuore di dire loro che la sveglia di domattina non sarebbe stata come al solito, quindi meglio proteggere la mano e basta… Sospirò, mentre passava il disinfettante. Dannazione a te, Joel, fatti vivo! Un’altra ragione per essere entrato a Babylon in pompa magna era per essere sicuro che i media in qualche modo riportassero la notizia, foss’anche solo un trafiletto su internet. Qualcosa che Joel potesse trovare, per capire che la sua fuga poteva terminare lì…
Martin appose i cerotti, e su di essi un paio di giri di robusta garza. I suoi terremoti erano irruenti, ma non stupidi: domattina non avrebbero cercato di distruggergli proprio quella mano. Quanto al resto…
Sorridendo, l’uomo ripose ovatta, cerotti, garza e disinfettante dove si trovavano. Ne aveva collezionati di lividi nelle loro sessioni di risveglio, ma sapeva anche, fin troppo bene, che razza di noia fosse vivere da soli, senza altra compagnia che un occasionale topolino interessato più alle briciole della sera prima che ad un po’ di conversazione…
Martin riaprì l’acqua e si sciacquò il viso. Rimaneva solo una questione, da risolvere.
Grape Jelly Sandwich.
Quella bella gatta lavanda poteva essere..?
Forse che sì, forse che no. Certo, sapere la verità non era questione di vita o di morte. Nel dubbio, lui aveva già fatto qualcosa per garantire un po’ di serenità extra a quella famiglia. E in questo senso, era contento che fosse stata Jane a chiedergli di lavorare per lui, offrendogli quindi il pretesto per offrire lavoro al marito.
Bastava vedere il padrone di Sasha, per esempio: un brav’uomo e tutto il resto, e poi la crisi lo aveva colpito duramente, e la birra era diventata la sua, di padrona.
Memo: proteggere Sasha. E per lei, Martin avrebbe fatto volentieri ricorso ai più fetidi trucchi legali che i soldi potessero comprare, nel caso Roger non avesse accettato prima di farsi disintossicare seriamente, e poi un lavoro vero… Stai di nuovo pensando paranoico, vecchio mio. Martin chiuse l’acqua. Prese un asciugamano e si strofinò il volto. Figurarsi se un lavoro non lo accetta- “Oh. Salve, piccola,” disse all’immagine riflessa nello specchio: una volpina di pomerania dal pelo dorato e gli occhi di un giallo intenso. Al folto collo di pelliccia mostrava un occhio di Ra dorato. La cagnolina della Sig.ra Florence. “Dimmi, Tarot, come posso aiutarti?” Si voltò.
Nella stanza non c’era nessuno.
Martin tornò a guardare nello specchio. Ed eccola lì, bella come il sole, in piedi proprio a qualche passo da lui, e quell’espressione solenne che tradiva la maturità di un’adulta nonostante la giovane età. Senza voltare la testa, Martin voltò gli occhi.
Nessuno. Neanche un’ombra, sotto la luce delle lampadine a risparmio che gettavano un’uniforme luce soffusa.
L’uomo si strofinò gli occhi con due dita, tenendosi appoggiato al lavabo con l’altra mano. “Okay, ho fatto un check-up totale per l’assicurazione. So di non soffrire di tumori, sclerosi, epilessia, disordini della personalità o qualunque altra malattia mentale causata da traumi o congenita. Quindi, la logica suggerisce due cose,” continuò rivolto a quell’apparizione. “Uno, che mi sono ammalato di punto in bianco. Non impossibile, ma bel karma del cavolo.
“Due, che tu sia reale. Propendo per la seconda, se non altro perché se debbo avere un’allucinazione vorrei rivedere Helias, o mio fratello, insomma, qualcuno che conosco, e non un cane che non è neppure mio.”
Senza contare le telecamere. Con tutti quei farmaci, là dentro, il giudice gli avrebbe mandato la DEA a casa se non avesse fatto mettere ogni possibile sicurezza a quella specie di magazzino. Nel peggiore dei casi, le registrazioni avrebbero mostrato un bel caso di follia incipiente…
La proiezione di Tarot nello specchio annuì. Sembrava soddisfatta, gli occhi chiusi in un’espressione allegra. Quando li riaprì, erano invece due pozze di luce verde, smeraldina, ipnotica. La sua voce aveva una qualità echeggiante che gli trasmise un brivido.
“Si tratta di Grape. E di Peanut,” disse l’apparizione. Un inesistente vento le arruffava lievemente il pelo. “La tua venuta, Martin Foster, ha messo in moto un meccanismo di cui neppure io conoscevo l’esistenza.”
Martin corrucciò la fronte. Chissà perché tutte le apparizioni spettrali parlavano come la Sfinge...
Tarot scosse lievemente la testa. “La tua mente ed il tuo cuore sono aperti. Puoi accettare una mia richiesta senza porti dei dubbi?”
“Dipende. Io non ho una fede in una specifica entità, o serie di entità, ma penso che se queste esistono, operano su un piano così distante da quello umano, così diverso, che un solo sfiorarsi potrebbe portare a conseguenze inimmaginabili. Facevo sempre arrabbiare il mio insegnante di religione per questa visione delle cose.” Per fortuna, i suoi genitori riponevano la loro fede in Alec Guinness e Jeopardy, e ignoravano le proteste del prete sul blasfemo ragazzo. “Come se volessimo toccare il Sole. Non importa che ci dà la vita, a quel contatto ci consumerebbe.” Era altresì fermamente convinto che quelle entità lo avessero guidato da Alcor. Scegliere Babylon Gardens come residenza gli era venuto naturale, per la sua unicità. Ma quante possibilità c’erano che proprio nel periodo in cui stava organizzando i lavori incontrasse quel gatto bianco, come un memento sui suoi doveri almeno verso la memoria di Helias? Quante possibilità c’erano che proprio a Babylon Gardens si trovasse quella gatta lavanda..?
“Non trovi…strana, l’idea di un cane sensitivo?” chiese l’apparizione.
Martin fece una risatina. “Come ho detto, non ho mai negato a prescindere l’esistenza di forze ultraterrene, solo perché non le percepisco. E poi, che ci sarebbe di folle in un cane sensitivo? Sarebbe più strano di una grossa scimmia glabra sensitiva?”
Tarot lo osservò con attenzione. Annuì lentamente. “Sei una persona molto…interessante, Martin Foster. Per questo ho un semplice favore da chiederti.”
Lui fece per toccare lo specchio, ma decise di ripensarci. “Spara.”
“Riguarda il concerto di stasera.”
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IceKitsune
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by IceKitsune »

Yet another great update valerio. :mrgreen: I liked the exchange between Pete and King can't wait to see were all that goes especially the stuff about Sasha. I wonder what Tarot is going to ask Martin to do? Guess I'll find out next update.
Edit: I wonder am I the only person reading this?
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The Game
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by The Game »

No, I'm reading it but google chrome translator still has a few bugs
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IceKitsune
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by IceKitsune »

Yea I understand the translations from Google aren't that great (though I must admit their not as bad as I thought they would be,most of the time anyway.) I was just wondering because no one else was commenting on it.
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valerio
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by valerio »

I scared them off! :o
TOO MANY WORDS!! :?
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Two_Twig
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by Two_Twig »

valerio wrote:I scared them off! :o
TOO MANY WORDS!! :?
I'm still reading it. And loving it. At the same time :D

My only suggestion is maybe to put a space in between each paragraph? It won't appear so much as one large wall of text and makes it easier to read.
Hold still ~I'M PAINTING THE WORLD
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SIP. When is the next update coming? When you least expect it
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by Dr. Prower »

The Game wrote:No, I'm reading it but google chrome translator still has a few bugs
I still need a translator here...
I ship Grape&Peanut and support King&Bailey
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IceKitsune
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by IceKitsune »

Dr. Prower wrote:
The Game wrote:No, I'm reading it but google chrome translator still has a few bugs
I still need a translator here...
Just go here http://translate.google.com/# set it to translate from Italian to English and then copy and paste the text into the box that's what I do. It's not the greatest translation but its still readable and you can understand what going on.
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

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HOUSEPETS
La ballata dei nuovi giorni
di VALERIO

5.
Villa Foster, Babylon Gardens, Domenica, ore 19:30

“Peanut, ti posso parlare?”
“GAH!” Peanut Butter Sandwich per poco non schizzò fuori dalla pelliccia. Aveva passato circa l’ultima ora a fissare come in trance, estraniato dal resto del modo, il grande palco ora coperto da un tendone verde. Quel signor ‘Chiamami Martin’ Foster aveva dato fino a quel momento una festa magnifica. Peccato che la piscina fosse rimasta coperta, ma era anche vero che non faceva così caldo, e una montagna di pelo bagnato a scorazzare per il giardino/parco della proprietà sarebbe stato, be’… Ew!
Ma, mano a mano che le 21 si avvicinavano, Peanut si era dimenticato della festa, si era dimenticato di tutto il resto che non fosse quel concerto.
Si sentiva la gola secca come il deserto. Il cuore doveva essere andato in extrasistole più volte di quanto fosse biologicamente possibile. Stava talmente tremando che era un miracolo stare in piedi.
Così, quando la voce lo sorprese alle spalle, quasi fu il colpo di grazia. Voltandosi, si mise una mano al petto, verificando che il cuore fosse ancora lì. “Ehi, oh, ciao…Max.” Deglutì. Quel gattaccio nero aveva già intuito qualcosa, o peggio capito tutto, e adesso si preparava a tormentarlo e a rovinare tutto? Peanut non lo avrebbe sopportato, se Grape ne avesse sofferto…
“Ti dispiace seguirmi?” Il gatto nero si diresse verso il palco, e lì scostò un lembo del tendone, sparendo poi alla vista.
Un grosso punto interrogativo sembrò accendersi sulla testa di Peanut, ma il cane seguì ugualmente il suo ex rivale in amore. Quel gattaccio di strada era una miniera di assi nella manica, chissà cosa poteva avere in mente…
Una volta passate le tende, si trovò in un buio quasi totale. “Max..?”
Un paio di mani lo presero per le spalle, rifacendolo sobbalzare, e lo spinsero gentilmente verso terra, in un punto illuminato da una sottile sciabola di luce.
“Forse è meglio sedersi, eh?” fece il gatto nero, cercando di essere rassicurante.
“Uhh, sì?” Quando Peanut si fu accomodato, Max lo prese per una mano. A pensarci bene, era una scena un po’ imbarazzante, con il cane che sentiva arrossire e il gatto che gli mostrava un sorriso forse un po’ troppo confidente. Max appariva quasi una figura spettrale, illuminato solo in parte dalle ultime luci del tramonto, e gli occhi due perle acquamarina quasi brillanti di luce propria.
“Peanut, va tutto bene, okay? Voglio che tu lo sappia,” disse Max, dandogli una pacca affettuosa sul braccio.
“Ah, grazie. Credo? Di cosa stai parlando, Max..?”
“Di stasera, sciocco.”
Peanut si portò una mano dietro la testa. Sarebbe scoppiato in una falsa risata, non fosse che non voleva attirare l’attenzione degli altri. Quando cominciava a sentirsi così nervoso, trovarsi sotto lo scrutinio di dozzine di occhi estranei lo mandava totalmente in tilt. E lui non voleva andare in tilt, non voleva rovinare la serata perfetta che aveva programmato, se non ce la faceva stasera non ce la faceva più, e questo—
“Di te e di Grape.”
TILT! Peanut obbedì al cieco desiderio di scappare via, ma si ritrovò tenuto saldamente per le spalle. Si era dimenticato che Max era un micio forte, che di strada ne aveva fatto, da randagio, come provava la cicatrice a morso che spiccava sul suo orecchio destro.
Il povero cane ansimava come un dannato, nell’incontrare gli occhi felini. “Max, non è che io e—“
“Zitto, stupido,” lo interruppe l’altro, questa volta con una più marcata serietà nella voce. Il buio avanzava, e sembrava ancora più uno spettro, a parlare. “Andiamo, cane, pensavi davvero che non me ne fossi accorto? Ho cominciato a corteggiare seriamente Grape già due anni fa e passa, al Yarn Ball. Avevo fatto tutte le mosse giuste, avevo dato il massimo per farla stare bene, e stavo per arrivare a meta, lo sapevi?”
Peanut scosse la testa. Del resto, se la gatta non voleva parlarne, lui non avrebbe fatto lo spione nella sua vita privata.
“Poi lei mi dice che ancora non poteva, che doveva pensarci, che c’era questo suo…amico al quale voleva molto bene, che doveva essere sicura dei suoi sentimenti per lui, eccetera eccetera. E mi dice di aspettare, di pazientare, e io attendo…” Maxwell ridacchiò. “E sai cosa vedo? Lei che non frequenta nessuno. Ogni volta che la buttavo lì, anche solo per scherzare, che le chiedevo come andava con il suo misterioso bel pretendente, lei diventava tutta rossa e balbettava scuse. Ad un certo punto, faceva pure finta che fra lui e lei non ci fosse proprio niente, ma si vedeva lontano un miglio che questo suo ‘amico speciale’ era davvero speciale, per lei, e che allo stesso tempo non voleva farmi soffrire. Ma io ho insistito ugualmente, perché anche per me Grape è speciale, è in gamba, bellissima, forte…tutto quello che un gattone serio può chiedere.” Anche se non lo poteva vedere, Peanut era sicuro di percepire il calore che si irradiava dalle guance di Max. “Ma lei non frequentava nessuno. A parte te. Neanche un topo, come quello strambo di Joey.”
Peanut si trattenne dall’intavolare una filippica in difesa di quel cane eccezionale che, a suo carico, aveva considerato mezzo lunatico fino a non poco tempo fa e che ora era un suo intimo confidente.
“Di’, un po’, Peanut, pensi che i gatti siano stupidi? Quella è una prerogativa di voi botoli.”
“Max…”
“Lo ammetto, siete stati in gamba, a nascondere la vostra storia in pubblico…”
Peanut si sentì tutto scodinzolare! Ah! E Grape che aveva paura che lui non sapesse fare la sua parte!
“…Ma a me non l’avete fatta. Grape era sinceramente dispiaciuta di rompere con me, ma lo vedevo chiaramente che era anche sollevata. Aveva preso una decisione, e sono sicuro che sia stato per il meglio, nonostante le circostanze. E nonostante i nostri battibecchi, tu sei un cane decisamente in gamba. Se dovessi fidarmi ciecamente di qualcuno, dopo quell'esaltato di Fido, saresti tu.”
“Davvero? No, voglio dire che—“
Una mano gli diede una pacca sulla gamba. “So cosa vuoi dire. E naturalmente, sarà stasera la gran sera, eh?”
Peanut si sentì decisamente avvampare. “Uh, sì.”
Max sospirò. “Non so se chiamarla ironia della sorte, karma, o cerchio della vita: io che cerco di conquistarla ad un ballo d’inverno, fallendo, tu che ci provi ad un ballo d’estate.” La mano di prima si posò sulla spalla di Peanut. “Perciò, per quanto trovi strana questa vostra…cosa insieme, per quello che vale, hai la mia benedizione. Solo una cosa…”
“Sì?” *erk!* il cane fu strattonato con forza in avanti. Si ritrovò a fissare un’espressione minacciosa fatta di così tanti denti che Peanut non era sicuro che non appartenessero ad una tigre inferocita. Luccicavano.
“Falla soffrire, e ti farò conoscere dei tormenti che non hai mai neppure sognato! Mi sono spiegato, botolo?”
Peanut annuì freneticamente, non osando parlare. Aveva visto Grape così furiosa, da vicino, una volta, ma allora era perché lei era spaventata e impaurita all’idea di perdere il suo dolce cane per sempre. L’ira di Max aveva una qualità più…gelida. C’era tutto il guerriero della strada davanti a lui, in quel momento. Ed era peggio.
La mano di Max lo lasciò andare di colpo. Un frusciare d’erba, dopo, annunciò che si stava mettendo in piedi. “Mi sto giocando la reputazione, con questa storia, soprattutto con Bino. E odio essere sotto lo schiaffo di quel sacco di pulci arrogante. Ma ne vale la pena, per la felicità di Grape; quindi, te lo ripeto, non toppare.” Stavolta, il suo sorriso dentato fu più amichevole. “Solo un consiglio da amico, beninteso. Ah, e un altro favore piccino picciò?”
Anche Peanut si alzò. “Hn-n?”
“Il ballo di apertura. Lo concedi a un gentilgatto?”
“Okay.” Peanut si massaggiò il collo, assicurandosi che il collare non fosse stato rotto.
“Grandioso! A più tardi, allora!”

Peanut emerse dal tendone. Però, la sotto era caldo. La brezza fresca della sera, carica di odori di prato, di animali e di cibo lo accolse come una carezza.
Si sentiva terribilmente sollevato, adesso. Era Max la sua preoccupazione principale, e quella preoccupazione era svanita. Quasi avrebbe fatto la sua mossa con Grape subito, ma no. Scosse la testa –nossignore, doveva essere tutto perfetto, tutto al momento giusto. Non doveva essere solo una bella serata, stasera Grape Jelly Sandwich doveva uscirne con orgoglio, a testa alta. Basta paura!
Fischiettò, battendo il piede al ritmo che suonava nella sua testa delle canzoni che aveva scelto.
---
La gatta nera si guardò per l’ennesima volta allo specchio. Si diede un colpo di spazzola al fianco, proprio mentre la figura di un cane di razza indefinita, lo sguardo tristissimo, passava dietro di lei.
Sabrina si voltò. Con lei, nella stanza la cui porta era rigorosamente chiusa, c’era solo la volpina di nome Tarot, intenta a sua volta a spazzolarsi la testa ed il folto collo di pelo. “Questo posto pullula di—“ fece la gatta, già sapendo che Tarot sapeva, naturalmente. In fondo, non l’aveva condotta lei a contatto con l’oltremondo?
“Lo sai che è così,” disse Tarot. Dalla sua posizione presso il comodino, vedeva nello specchio una madre felina che allattava una nidiata di cuccioli. Se mai si fosse visto il tormento negli occhi di una mamma gatta… "Hai dimenticato che posto è questo?"
Ma sia Tarot che Sabrina ignorarono quelle mute richieste di aiuto. Dovevano, non perché fossero insensibili, ma perché erano fin troppo frequentemente a contatto con l’oltremondo. Entrambe avevano imparato in fretta che aiutare gli spiriti in pena era come volere fare il supereroe senza poteri in una città dominata dal crimine. Per uno che ne salvavi, mille erano pronti a chiedere un pezzo di te. La soddisfazione, l’appagamento che potevi ricavare da una singola azione giusta veniva presto sostituito da un’angoscia mortale per tutto quello che rimaneva da fare, e che, peggio, non potevi fare.
Tarot aveva sofferto molto, per questo, come chi l’aveva preceduta in quel ruolo. Ma presto aveva imparato che molti dei problemi delle anime in pena non erano fatti per essere risolti direttamente dai mortali. Questi, o meglio quei rari individui come Peanut e Grape, dovevano solo mettere in moto gli eventi atti a chiudere i problemi irrisolti.
Per questo Tarot era lì, con una riluttante Sabrina. “Lo faccio anche per te, mia cara,” disse alla sua felina maestra.
“Spero di doverti ringraziare, per questo, un giorno. Quello che vuoi fare stasera, è…” rabbrividì. Posò la spazzola sul letto, e si voltò verso il cane. “È la cosa più vicina all’ammutinamento che abbia mai visto. A molti spiriti non piacerà.”
Tarot posò la sua spazzola. Un altro cane, nello specchio, la accarezzò e abbaiò senza produrre un suono. “Non si possono accontentare tutti: il tuo primo insegnamento, giusto?
“Mi basta sapere che dopo stasera, la strada sarà aperta da Peanut e Grape. Molte vite, oggi, potranno concludersi nella felicità, nella forza. Inclusa la tua e quella di Fido.”
Sabrina si sentì arrossire. “Ci devi sempre tirare in mezzo? Non sta diventando un po’ una scusa?”
Tarot le rivolse un dito ammonitore, mentre apriva la porta. “Non è una scusa, continuare ad usare i vostri timori di essere scoperti per soffocare le vostre passioni? Ma non ti preoccupare, non è questa, la vostra sera. A noi due tocca solo di fare la nostra parte, a quel cane coraggioso il resto.”
---
“Camicia,” disse Martin Foster, in piedi davanti allo specchio. Se ne stava a torso nudo, e indossava un paio di blue jeans nuovissimi, lucidi, con una fibbia argentea che incorniciava una testa di lupo tribale decorata da un paio di piume. Gli stivali odoravano del lucido appena passato fino a renderli più puliti di quelli di un soldato.
Il gatto bianco in piedi davanti al comò, a quel comando prese dal cassettone aperto un indumento bianco a quadretti azzurri perfettamente piegato e inamidato. Lo porse al suo padrone. “Camicia!”
L’uomo la prese e la indossò con pochi, collaudati gesti. “Cravatta.”
“Cravatta,” fece il gatto Alcor, passandogli una confezione immacolata. La cravatta era di lunghezza media, di un grigio soffuso. In pochi secondi, Martin l’ebbe indossata alla perfezione.
“Sembra che tu vada a un matrimonio, non ad un concerto,” ridacchiò Alcor.
“Il signore ce ne scampi. Se volevo andare ad una festa triste, mi prenotavo un funerale.”
“Macabro. Ma quando io e Mizar abbiamo fatto la nostra cerimonia…”
“Che c’entra? Gli animali non fanno come noi, che si sposano perché il loro partner gli ricorda un genitore, solo per poi ricordarsi che quel genitore lo odiavano.” Martin si chinò ad abbracciare forte il suo gatto. Gli sospirò nel collo. “Sono così fortunato ad avere una coppia eccezionale come voi due. Anche per questo voglio dare il massimo, stasera, per i piccoli Sandwich. Non me la perdono, se toppiamo.”
Alcor evitò di fare battute sul fatto che il suo umano si sentisse di doversi fare perdonare di tante cose. Voleva che capisse che poteva essere un brav’uomo anche senza dannarsi.
Martin si rimise in piedi. “Coraggio, che il pubblico fremente aspetta. Strumenti tutti pronti?”
“Controllati e ricontrollati.”
“Amplificatori?”
“Avvocato al telefono e sul piede di guerra.”
“Allora andiamo.” Martin aprì la porta, e trovò in corridoio la figura di un uomo seduto su una sedia vicino ad un comodino. Il padrone di Villa Foster lo riconobbe subito, nonostante ormai la memoria gli si confondesse fra tutti gli umani e gli animali che si susseguivano per la sua proprietà. Più di una volta aveva avuto bisogno di un’aspirina.
Ma l’uomo sulla sedia, quello era un altro discorso: Martin gli aveva tenuto gli occhi ben puntati. Roger, il padrone di Sasha. Ex operaio, campava con l’assegno sociale, che spendeva perlopiù in birra e salatini, e il poco cibo e il minimo di cure che dava al suo cane, Sasha.
Un ritratto fin troppo familiare a Martin, che avvertiva una distinta vampata di odio nei confronti di quel perdente sulla strada dell’alcolismo e che, a sentire metà delle voci del vicinato, trattava quella dolcissima femmina come uno zerbino… In un certo senso, per Martin era come se suo padre avesse deciso di fargli una visita a sorpresa dall’oltretomba.
Sarebbe stato facile dare una ripassatina a Roger, minacciare di affogarlo in cause che non avrebbe potuto permettersi, togliere Sasha da quell’ambiente prima che succedesse qualcosa di irrimediabile… Ma Martin sapeva fin troppo bene che le decisioni affrettate erano i migliori mattoni per la strada verso l’inferno. E poi, c’era pur sempre il tempo di iniziare a metterli. Per ora… “Roger,” fece Martin, avvicinandosi a mano tesa. L’altro gliela strinse. Il fiato sapeva di parecchie bevute, ma l’uomo era ancora lucido. Martin aveva avuto il dubbio privilegio di fare esperienza con gli stati di ciucca di suo padre per tutta la vita.
“Martin. Mi volevi vedere.”
“Sì. Alcor, tu precedimi. Allora, Roger,” proseguì appena il gatto fu scomparso alla vista. “Ho un favore da chiederti, ed una proposta da farti.”
“Un favore? L’uomo più ricco di Babylon dai tempi del vecchio Milton che chiede un favore? Guarda che al massimo posso venderti l’anima, non mi rimane molto altro.”
“Niente del genere. Sasha può dormire da noi per questa notte, o comunque quando ne fa richiesta? Sai, festicciole con cuscini, gelato e tanta TV e roba simile—“
“Sì, sì, tutto qui?” fece George con un gesto annoiato della mano. “Non mi devi chissà che spiegazioni, vai tranquillo capo. E l’offerta di cui parlavi?” Molto probabilmente, si sarebbe dimenticato entro un paio di giorni di quel ‘favore’, si vedeva dov’era la sua testa: al supermercato, davanti all’espositore degli alcolici.
Martin Foster tirò un respiro. O la va… “Sai che fra un mese parte ufficialmente la nuova gestione del rifugio. Da domani, inizio le consultazioni per i lavori di ristrutturazione. Parlo di un giro a 360°, fatto presto e bene, come questa abitazione. Mi occorre gente qualificata, e tu sei qualificato, Roger.” Gli posò una mano alla spalla. “Paga buona e rispetto delle regole sindacali fino all’ultimo comma, e ci sarà tanto lavoro. Fammi dei begli straordinari e ti metterai al sicuro per un po’, mentre dopo elaborerò qualche altra diavoleria per i residenti in pelliccia di Babylon. Che mi dici?”
Gli occhi di Roger si illuminarono. “Dico che… Amico, da quale pianeta sei venuto?”
“Lo prendo come un sì?”
Roger tese la mano come se avesse appena mollato un colpo di karate. “Sono tutto tuo! Non potevi scegliere di meglio, quel lager te lo tiro a specchio… E questo cos’è?” fece, di colpo incuriosito al biglietto da visita che Martin gli aveva lasciato nella mano. La curiosità divenne diffidenza, appena vide l’inconfondibile simbolo della Alcolisti Anonimi. “È una specie di scherzo?”
“È il tuo passaporto per il lavoro, Roger: farò tutto secondo legge, e la legge non mi permette di assumere per questo lavoro un alcolista, a meno che questi non provi di essere in cura. E questa gente è il meglio che puoi avere, al posto di qualche dottorino che mira al tuo solo portafoglio. Posso chiederti una cosa?”
“Spara.” Roger stava fissando il biglietto come fosse stato un serpente sul punto di morderlo.
“Ci tieni, a Sasha?”
L’uomo sbatté più volte gli occhi. “Sasha? Che c’entra?”
“C’entra perché amo gli animali, sto per rifare un rifugio perché vivano quanto più dignitosamente possibile il loro abbandono, e non vorrei vedere quella dolce creatura attraversare le mie porte… O peggio.” Qui un lampo della sua furia doveva essersi fatto largo nei suoi occhi castani, perché Roger sembrò sgonfiarsi di colpo da che sembrava pronto ad una classica tirata del tipo ‘fatti-gli-affari-tuoi’
Il padrone di Sasha tornò a sedersi. Era pallido. “Le voglio un bene dell’anima, capo, credimi. Davvero. Dio, penso che una moglie non potrebbe essermi più devota di quella palletta di pelo, e certe volte, io…io…”
Martin sospirò. “Credimi, lo so. La vita ti ha preso per bene a calci nei denti, è un momentaccio, ma quello che mi preme di sapere è se sei pronto a rimetterti in carreggiata sul serio. Per voi due. Meritate entrambi di meglio che una lattina di Guinness e una sbraitata.”
Roger annuì debolmente. Tornò a guardare il biglietto da visita. “Se inizio questo programma..?”
“Ti firmo il contratto su due piedi. Caffè incluso nel pacchetto, ne avrai da fare. Però, ricorda: anche se tecnicamente c’è la privacy e tutte quelle robe là, seguirò i tuoi progressi come un’ombra. Intesi?
Roger si rialzò. Si mise il biglietto in tasca e tese la mano. “Non te ne pentirai.”
“Per Sasha?”
“Per Sasha. Sei un mito, mister.”
Martin ridacchiò. “Che ci vuoi fare, essere Dio non è semplice. E ora scusa, c’è un concerto che ci attende.”
“Come hai detto che si chiama, la band?”
“Project ReFur. Roba forte. Ci sarà una prima parte solo per gli animali, poi potremo unirci anche noi scimmioni.”
---
Ore 20:57

Quasi dodici ore dall’inizio della grande festa di benvenuto. Le ultime tre ore si sarebbero concluse in musica.
L’eccitazione regnava ancora sovrana, nonostante fosse stata una giornata tutt’altro che noiosa. Per molto tempo a venire, ci si sarebbe ricordati di tanti piccoli grandi eventi avvenuti in quella proprietà, non ultimo la trasformazione di Tiger da cane paranoico e insicuro a tigre di nome e di fatto.
Ma ben altro stavano per mettersi bene a mente…
Il tendone si sollevò a rivelare il palco. Al microfono centrale stava Martin, che reggeva una chitarra in legno. Un cono d’ombra avvolgeva i musicisti, le cui familiari sagome furono tuttavia subito riconosciute e salutate con una salva di applausi.
Benvenuti, adorati ospiti, a questo evento conclusivo!” La voce dell’uomo risuonava chiara e potente attraverso gli altoparlanti. Le luci erano ridotte praticamente al minimo. “Mentre la band si prepara, vogliate essere così gentili da ringraziare chi si prepara a scaldare voi!” un altro applauso, accompagnato da latrati e miagolii eccitati. “Vale a dire l’umile sottoscritto e i due maestri delle vostre più indimenticabili serate al chiaro di luna di tanti balli annuali, Fiddler e Keys!
Le luci illuminarono appieno i due gatti neri che tradizionalmente accompagnavano la colonna sonora dello Yarn Ball ed altre celebrazioni feline di Babylon Gardens. Fiddler, con in mano il violino che gli dava il nome, e Keys, in piedi alla sua fidata tastiera laccata di nero, si inchinarono un paio di volte in perfetta sincronia, con grande solennità.
Martin indicò un maschio di pastore tedesco alla batteria. “E con l’aiuto delle percussioni gestite dal prode Sergente Ralph, vi invitiamo a questa inaugurazione del nostro concerto! Coraggio, e uno e due e…” Martin pizzicò la chitarra, Fiddler le corde del violino, Keys seguì mentre Ralph toccava delicatamente i piatti. Prima piano, poi ad un ritmo crescente, fino a quando le percussioni divennero una breve raffica alla quale seguì frenetico il violino nel pezzo Rock On.
Ai gatti sembrarono che fossero partite tutte le molle interiori. I cani divennero frenetici come cuccioli.
Max si ritrovò davanti a Grape, e attaccò con lei al ritmo frenetico senza che lei avesse alcunché da obiettare. Lo stesso Peanut si ritrovò coinvolto in una mezza quadriglia con Joey e Ivan.
La voce di Martin produsse per l’occasione un bel timbro caldo e roco.

When you’re rockin’ to the sound/Of the old star rock-‘n’roll
And you’re rockin’ to the rythm of body and soul...


Grape si sentiva come se stesse davvero ballando fin verso il cielo. Max sembrava scatenato come non mai, nei suoi occhi c’era una luce quasi selvaggia mentre faceva a gara per dettare il ritmo a tutti i ballerini. Ogni tanto, la gatta vedeva Peanut, a sua volta estasiato di potere liberare tutta quella tensione con i cuccioli dei lupi che faticavano a stargli dietro. L’entusiasmo del cane era così contagioso che la gatta moltiplicò gli sforzi per seguire Max. Teoricamente, quella doveva essere una specie di quadriglia, ma Martin non aveva scherzato quando diceva che sarebbe servita per scaldarsi. Il solo ritmo a cui gli animali di Babylon Gardens stavano obbedendo era quello della loro gioia di vivere. E Grape non si sentì minimamente fuori posto fra loro...
Poi, la musica finì. Fu una sorpresa, nonostante il ritmo fosse stato ben gestito per arrivare ad una conclusione tutt’altro che brusca, con un pizzicare di chitarra e tastiere, mentre il violino produceva un ultima serie di languidi versi, chiosati dalla batteria.
Martin si riavvicinò al microfono. “Niente male come antipastino, vero?” E al generale ruggito di approvazione che mise d’accordo le varie specie di Babylon, l’uomo tornò ad indicare i componenti della band di supporto i quali si produssero in un ultimo inchino e lasciarono il palco. Ci furono cori di protesta, fischi e pernacchie a quella decisione.
Poi le proteste tacquero, quando nuvole di fumo artificiale riempirono il palco, fino ad oscurarlo del tutto.
Si udirono i passi della band che prendeva il suo posto. Martin, ora senza la chitarra, era una sagoma quasi indistinta nel fumo. “È giunto il momento,” disse con voce profonda, carica di mistero. Gli altoparlanti davano un eco quasi mistica alle sue parole. “Vi diamo il benvenuto in una terra di magia, di sogno, di musica…” dietro di lui, cominciarono a suonare le prime note dell’attacco. Un organo elettrico dispensava armonie con una chitarra elettrica e batterie suonate come un potente cuore, eppure tutto ancora molto attutito, per lasciare il tempo a Martin di terminare la presentazione. “…dove i vostri sensi saranno aggrediti, dove le vostre coscienze saranno aggredite, dove i vostri cuori saranno messi a dura prova nella strada verso i vostri sentimenti più profondi. Questa è la sera del coraggio, qui…ad Avantasia!
E la luce ESPLOSE. Non c’era un altro termine per definirlo. Il fumo si dissolse nel vento, il palco divenne un trionfo di colori, mentre la musica irrompeva nella notte come una cosa viva, facendo immediatamente ribollire il sangue dei presenti di puro entusiasmo. Il ritornello di prima divenne una valanga, aggredì i sensi come aveva promesso.
Gli occhi erano tutti per la band, con Alcor in piedi ad una potente tastiera Yamaha, Antares al basso che macinava note insieme a Mizar alla chitarra elettrica – e qui i maschi del vicinato, a quella dolce visione, andarono a dir poco in visibilio – e Aldebaran che martellava la batteria con un insieme di potenza e grazia.

Dal loro settore, gli umani erano a dir poco allibiti. Uno di loro, che stava reggendo una Coca, la lasciò cadere di mano, mentre l’altro rovesciò inconsapevolmente i salatini.
A giudicare dall’avvio e dalla ‘band’ di prima, pensavano che si sarebbe trattato di una seratina appena un po’ vivace, suonata con strumenti al limite di quelli giocattolo… Ma l’epic metal suonato in modo perfettamente professionale, quello no!
A Earl per poco non diventava bianca la barba. Bill, dietro di lui, divenne di colpo sobrio. “Amico, quello è ufficialmente fuori dall’universo. Se fosse una donna, lo sposerei.”

Ma fra il pubblico canino e felino, un paio di occhi in particolare seguivano due degli artisti, che quasi scomparivano nel gioco di luci, immobili com’erano.
Tarot e Sabrina. La volpina era in piedi, solenne, davanti al microfono di Martin, a guardare il pubblico come una polena. I suoi occhi erano così…verdi..? Verdi come la sfera di luce brillava fra le sue zampe, circondando il suo volto di una luce surreale.
Ma Fido, in realtà aveva più la sua attenzione per Sabrina. La gatta, al fianco di Martin, era raccolta come in preghiera, le mani giunte saldamente all’altezza del petto. Il volto concentrato e quasi etereo, la coda sollevata in un punto interrogativo. E così rimase, immobile come lo era Tarot, anche quando Martin attaccò a cantare,

Open my eyes and see my bleeding wounded hands
Feeling the pain too hard to stand.
To stand caught in the 'now and here'
while they are on the way
Hiding imagination, leading us astray


Grape scoccò un’occhiata a Peanut. Se si sentiva sicura che quelle parole fossero rivolte a lei, vedendolo capì che valeva anche per lui. Gli altri spettatori erano rapiti come potevano esserlo degli amanti della musica, ma Grape sapeva che quella canzone era per loro due…
Infatti, Martin guardava praticamente loro, mentre continuava,

Use your mind!
You will leave the flesh dimensions behind
Sanity can be the toll
leading to the core of your soul


Poi partì il coro. La folla ruggì all’unisono, mentre sul palco Sabrina improvvisamente levò in alto le braccia come a rilasciare le energie raccolte dalla preghiera. Un vento di luce smeraldina gonfiò la sua pelliccia come se fosse stata un fuoco nero, la coda di muoveva come un drago oscuro, dando alla gatta l’aspetto di una vera messaggera di una qualche antica divinità. La sua voce eruttò, potente come non mai, armoniosa e feroce, insieme ai vocalizzi della band.

We are the power inside, we bring you fantasy
We are the kingdom of light and dreams, gnosis and life: Avantasia!
We are the power inside, we bring you fantasy
We are the kingdom of light and dreams, gnosis and life: Avantasia!


La sfera di luce fra le mani di Tarot divenne un piccolo sole. Esplose, e le sue schegge si trasformarono in scie di comete, che sfiorarono tutti i partecipanti animali, facendo splendere i loro corpi.
Per la prima volta da quando aveva incontrato Tarot, Grape credette nella magia. Credette ad ogni parola che la ‘strana’ volpina le avesse mai pronunciato. Credette ora più che mai che Peanut non era solo il suo ‘ragazzo’, ma una parte stessa del tessuto del filo del suo fato.
E vide negli occhi di Peanut Butter gli stessi pensieri.
Per gli altri, quello era un concerto spettacolare.
Per loro due, quella era la notte della magia.

Walking along the icy gallery of pain
Tell me now: what can keep the flame alive?
Lack of imagination raising up the tower
where they hold our souls to take away the power


Le parole potevano descrivere lo stato d’animo di Grape?
Per tutto quel tempo, aveva pensato a Peanut – al suo Peanut come ad un cane dolce e generoso, senza mai vedere davvero oltre il suo cuore meraviglioso. Senza vederne la forza interiore capace di fare brillare la sua gatta.
Lei era stata maltrattata dalla vita, seppure brevemente, e la sua fiamma si era spenta. Peanut aveva fatto il possibile per riaccenderla, ora stava a lei usarla per bruciare le fondamenta della sua torre di miserie.

Tarot osservava le due creature. Era quasi fatta, pensò compiaciuta. Le loro anime brillavano, la loro reciproca consapevolezza era quasi al culmine…
Sabrina cantava, e con la sua voce tesseva gli incantesimi che davano a Tarot la forza di chiamare a sé gli spiriti benigni. I musicisti davano il massimo, ci mettevano cuore ed anima a loro volta. Il destino aveva portato Martin Foster, un uomo aperto alle vie dell’oltremondo, ad intrecciare già una volta la sua strada con quella di Grape, per poi concederle la possibilità di saldare il rapporto di lei con Peanut, con la complicità e la magia di una musica che sgorgava dall’anima stessa.
Per la prima volta da quando aveva cominciato ad esplorare l’oltremondo, Tarot aveva la forza, no, la determinazione di comandare attivamente gli spiriti. Perché proteggessero Peanut e Grape dalle tristi presenze della proprietà Foster.
Questa non è la vostra sera, anime perdute, comandò il cane, concentrata più che mai, Questo non è il vostro momento. Lasciate che i viventi brillino della propria luce, i loro pensieri incontaminati dal vostro rancore!

“Non so che razza di ‘magia’ stiano facendo le pupe, ma mi sento un pepe addosso..!” ghignò Antares, le cui dita sembravano muoversi di volontà propria sulle corde del suo strumento.
“A chi lo dici, fratello!” Aldebaran sembrava intenzionato a sfondarla, la batteria. “Ci diamo dentro?”
“Con sentimento, fratello!”
E si unirono alla replica del coro, mentre anche i loro collari prendevano a brillare come piccole stelle.

We are the power inside, we bring you fantasy
We are the kingdom of light and dreams, gnosis and life: Avantasia!
We are the power inside, we bring you fantasy
We are the kingdom of light and dreams, gnosis and life: Avantasia!


Per cinque volte lo ripeterono, nel visibilio generale, prima che le luci eteree si radunassero come un’unica stella che poi scomparve in un ultimo, potente bagliore che riempì il cielo sopra Babylon Gardens. Gli animali non stavano più nella pelle. Si scoprirono ad avere ballato a stretto contatto, ad abbracciarsi, ad esultare senza alcuna restrizione di specie. E anche realizzarlo, adesso, non cambiò le cose. Erano tutti felici.

Da un angolo fra gli alberi, protetto dalle ombre, l’omino in beige e bombetta conosciuto come ‘Pete’ ammirò soddisfatto quell’esibizione.
Sì, doveva ammetterlo. Le due cucciole meritavano rispetto, per questa sera. Una tregua non avrebbe fatto male a nessuno…

I musicisti si inchinarono più volte, con gli animali che si accalcavano intorno al palco.
Sabrina e Tarot lasciarono la scena, di nuovo con grande scorno del pubblico. “Lasciamole riposare, le nostre splendide signore,” stava ansimando Martin con un sorriso più grande del solito stampato in faccia. Da questa sera, se quella Tarot glielo avesse chiesto di nuovo, gliene avrebbe fatti, di altri favori! “È pur sempre la loro prima volta su un palco come questo. Fra un minuto, avremo dei coristi freschi e tosti per regalarvi un po’ di romanticismo!” Strizzò l’occhio, all’indirizzo di Peanut, per poi parlare con la band a volume spento.
Peanut si sentì il cuore andargli in gola. Stava per succedere davvero! Solo un minuto, solo un minuto ancora, pensava freneticamente, mentre sul palco salivano, in una nuova salva di applausi, i tre lupi Milton. Daryl, il fratello di Miles, indossava il suo immancabile berretto da baseball giallo come i suoi occhi.
Peanut quasi non si accorse della voce di Tarot. “Sei pronto?”
Lui annuì freneticamente, solo dopo ricordandosi di voltarsi verso di lei. “Tarot, io…grazie!” E non sapendo che altro dire, l’abbraccio con tutta la forza. “Graziegraziegrazie…” era sul punto di piangere, per tutte le emozioni che si stavano accavallando in lui.
Tarot si sciolse dall’abbraccio. “Siamo tutti noi a ringraziare te, coraggiosa creatura. È valsa la pena conoscerti ed è un onore essere tua amica.” Gli accarezzò una guancia. “Ora vai. Scusami se non resto, ma sono davvero stanca… Gli spiriti sanno essere talmente testardi, certe volte…” ridacchiò, e poi si allontanò.

“Sabrina…” fece Grape, accostandosi alla gatta. L’angelo di nero fuoco era scomparso, ed era tornata la tranquilla e riservata micia di sempre. “Sei stata…”
“Grape,” la interruppe lei. “Accetterò che tu mi dica che sono stata fantastica solo se ora compirai la tua parte.” Era difficile dire se fosse compiaciuta o scocciata. Di sicuro, qualunque cosa avesse fatto stanotte, era stata uno sforzo eccezionale, e nei suoi occhi lo si poteva leggere. Grape si sentì colpevole. Perché Fido non poteva correre dietro a Sabrina per consolarla. Non per ancora qualche ora, mentre lei era sul punto di fare qualcosa che per quei suoi due amici era ancora impensabile…
Peanut si avvicinò a Grape. Le prese delicatamente la mano, e lei non fece resistenza, lasciandosi guidare verso il palco fra due ali di una folla incuriosita, mentre con il coro dei lupi in sottofondo, partiva l’attacco di Call of the Wild
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by valerio »

Oplà!
The conclusion is near and I'm such a teaser trallallà! :mrgreen:
Seriously, I couldn't put DA SCENE at the end of the chapter, not after all the excitement. It deserves a better spotlight, and I hope you to will enjoy it in the final chapter of this long prologue...
Salut!
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by Sinder »

TILT!
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by valerio »

hehe! :mrgreen:
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by IceKitsune »

Ican'twaitIcan'twaitIcan'twaitIcan'twait give it too me now NOW NOW NOW
I love this story :D :D
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

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Liked the song scene, I take it?
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by IceKitsune »

Yes, yes I did. Was it that obvious?
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - final chapter

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HOUSEPETS
La ballata dei giorni nuovi
di Valerio

Dedicated to Sinder andTwo-Twig who gave me the inspiration, to the fans of this story and all Peanut+Grape devoted. May our hope come true!

6.

Outside, wild winds are calling
Broken leaves are falling


Il lento attacco di ‘Call of the Wild’ degli Ultravox, cantato dalla performante voce di Martin Foster, accompagnato dal coro soffuso dei tre lupi Milton, accarezzò l’aria della seria, placò in parte la potente eccitazione scatenata dal pezzo metal che l’aveva preceduta.
E Grape Jelly Sandwich stava ballando quel lento fra le braccia di Peanut Butter Sandwich.
Alle ore 21:30 di una domenica di prima estate, nel parco della proprietà Foster, davanti a tutti gli animali del vicinato, un cane ed un gatta stavano infrangendo un tabù sociale stringendosi l’un l’altra oltre ogni possibilità di equivoco. Una mano dell’uno serrata a quella dell’altra, l’arto libero di Grape cingeva il collo del cane, la mano di Peanut ben saldo intorno alla vita di lei.

Outside, wild winds are calling
Broken leaves are falling
Like I fall before you
Outside nightfall is returning
Our home fires are burning
Like I burn before you


Non era semplicemente ironico che quei passi glieli avesse insegnati Max, due inverni prima, nel tentativo più che naturale di conquistarla durante il Yarn Ball? Remotamente, Grape si chiese se questa canzone l’avesse richiesta Peanut – domanda sciocca, vero? Sarebbe bastato vedere l’occhiolino che Martin aveva rivolto loro due prima di cominciare. Sembrava che mezzo mondo avesse cospirato perché questo momento arrivasse, mentre l’altra metà osservava attonita…

Wind and rain may blow
Will we watch them come and go


Che buffo, Grape aveva pensato che di fronte a questo momento sarebbe andata in crisi isterica. Le sue fantasie finivano immancabilmente con sfuriate terribili, liti, aggressione fisica, la vergogna di essere additata come ‘quella gatta matta’ a vita…

Don't go
And in my heart I held you just for a while
Don't go
And in my eyes I see the love of a child
Don't go
You can't deny you feel the call of the wild
(Call of the wild)


La voce dei lupi e quella di Martin le arrivava dentro di lei come un antico messaggio. Proprio come prima, quando l’incredibile band formata da quell’uomo ed i suoi animali non aveva solo cantato, le aveva dato forza, le aveva indicato la strada, complice la magia di Tarot e Sabrina che usavano le note al posto di chissà che bla-bla mistici.

In your hand a heart is falling
A howling wolf is calling
And it's calling your name
And before the night is ending
The message that it's sending
Will it all be in vain


E la sua strada era lì, tracciata per percorrerla col suo cane meraviglioso. L’amico diventato confidente, e poi compagno. Colui che per lei c’era sempre stato, nel bene e nel male…

Say that you will stay
And we'll watch them come and go


Quanti problemi erano venuti ed andati, quante cose ancora dovevano succedere?

Don't go
And in my heart I held you just for a while
Don't go
And in my eyes I see the love of a child
Don't go
You can't deny you feel the call of the wild
(Call of the wild)


Eppure, eccolo lì, il cuore traditore, che si agitava come un uccellino in gabbia, spaventato di uscire e correre verso le nuvole… “Ho paura, Peanut,” sussurrò, la testa reclinata sul petto di lui, terrorizzata eppur beata del suo odore, del suo calore.
“E io la combatterò per te,” venne la voce di lui, lieve, quasi un brontolio, non un cagnolino che gioca a fare il grande, ma un drago di custodia alla sua principessa. “La scaccerò da te. Sarò qui per te, con te, contro ogni male, perché ti amo più della mia vita, perché niente al mondo vale quanto la nostra felicità.”

As the wailing winds are calling
And the broken leaves are falling
And the magic that surrounds you
I will build a world around you


Grape sollevò lo sguardo.
Il velo era caduto, la notte le aveva regalato un’ultima magia.
Peanut Butter era cresciuto. Davanti a lei, a proteggerla con le sue braccia, c’era il cane adulto che sarebbe diventato, le orecchie più erette, il petto più delineato, gli occhi di un blu davvero intenso come il cielo.
Era il suo campione, ed era bellissimo.
E poi eccolo, lo sbiancare del muso, la maschera candida che risaliva fino agli occhi, mentre il guerriero faceva posto a colui che anche allora avrebbe continuato a restarle affianco negli anni più tranquilli…
Quella non era la promessa di un cucciolo entusiasta ed inesperto del mondo. Non era un giuramento fatto sotto l’influenza romantica di un cielo meraviglioso. Non era una sfida che sapeva di amaro.
Era la loro vita insieme.

Don’t go…

Si baciarono.
La canzone scomparve. La gente scomparve. Il parco scomparve.
Il mondo era diventato un posto troppo piccolo per il bagliore che emettevano. La loro stella era parte di una costellazione senza tempo, e bruciava nei loro petti, nelle loro anime.
Il loro bacio fu un lungo momento di pura condivisione. Non un appagamento dei sensi, non una voglia repressa. Non c’era paura, non c’era timore, non c’erano lacrime.
C’erano loro, consci ad un livello che trasformava il loro vero primo contatto in una comunione. Da quel momento, non c’erano più Peanut Butter e Grape Jelly, cane e gatta.
C’era un'unica anima.

Le ultime note della canzone e della voce dell’intera band scemarono mentre finalmente le loro labbra si staccavano, frammenti di sole persi in frammenti di cielo.
Grape sapeva che i loro cuori stavano battendo in perfetta sincronia, adesso. Allo stesso ritmo pacato dei loro respiri.
La mano di Peanut andò sulla guancia di lei, avvolgendola come un delicato oggetto di vetro. Lei ci si abbandonò contro, facendo delle delicate fusa.
La canzone era terminata, e c’era un silenzio incredibile intorno a loro. Quasi si potevano udire i grilli.
Grape tornò a poggiare la testa contro il petto del cane. “Peanut?”
“Hmm?” fece lui, gli occhi chiusi mentre le accarezzava la schiena, dolce ed allo stesso tempo protettivo.
“Ci stanno guardando?”
“Sì.”
“Come se fossimo impazziti?”
“Quasi tutti.”
“Si danno di gomito e gesticolano facendo smorfie?”
“Sì.”
Grape tolse la testa dalla mano di Peanut. “E noi che pensiamo delle convenzioni sociali?”
“THPPPHTTHTHPH!” in perfetta sincronia, furono loro a chiudere gli occhi e a tirare fuori la lingua in un’allegra pernacchia.
A quel punto, dal palco eruttarono le note di un altro pezzo rock, anche se non certo potente come quello che praticamente aveva dato il ‘la’ alla serata.

In society, many dogs in many variations,
Come on, let's talk
Interesting facts that you can share
With people who really care…


Cani, gatti ed altri animali già carichi si scatenarono nel nuovo ballo senza badare più di tanto a questa stranissima coppia.
Peanut e Grape ne approfittarono per allontanarsi un po’ dall’area del concerto. Del resto, la popolazione femminile canina di Babylon Gardens era completamente partita per i colossali gemelli Antares e Aldebaran che davano uno splendido spettacolo al basso e alla batteria, mentre Alcor, in piedi dietro alla sua tastiera, lanciava ghigni da Stregatto che sotto i riflettori brillavano come luci a parte. I maschi sbavavano per la nuova femmina del quartiere, la bella Mizar che padroneggiava la sua chitarra elettrica con la perizia di un umano, il manto bianco attraversato dalla striscia nera dello strumento.
Cane e gatta si sedettero sull’erba fresca. “Sono proprio una cosa incredibile,” disse Grape guardando gli animali Foster. Non si era neppure accorta di stare ancora ansando leggermente, proprio come Peanut. “Ti amo,” gli disse, accarezzandogli la mano. E cos’altro poteva dirgli? Non era stato inventato un vocabolario per quello che stava provando, per il senso di conforto e di potenza che le correva dalla testa ai piedi.
Quella notte lassù, sul tetto del fienile alla fattoria di Zio Reuben, aveva scoperto per la prima volta quanto fosse grande il desiderio di Peanut per lei. Ma di fronte ad oggi, capì che avevano solo giocato, iniziato ad esplorarsi senza mai comprendere pienamente ogni sfumatura di due parole che tanti pronunciavano così casualmente.
Grape sapeva perfettamente cosa Mizar e Alcor provassero l’una per l’altro, e si sentiva fiera di provare quelle stesse emozioni, quella consapevolezza che finalmente una fase della sua vita si era chiusa. Certe paure erano ormai meno di un ricordo.
“Ti amo,” le disse Peanut, senza togliere i propri occhi dai suoi, ogni suo senso da quel corpo flessuoso, serico, che lo inebriava con una sola occhiata, una sola annusata, una sola carezza.
La amava così tanto da restarne stordito. Lei non era solo l’oggetto dei suoi desideri, era il suo destino. Ora lo sapeva per davvero, era lei che aveva cercato perché nel suo futuro non avrebbe dovuto esserci nessun altra. Quel giorno al rifugio, non poteva essere nessun altra. Come se spazio e tempo si fossero messi d’accordo per guidare il suo sguardo verso quella triste figura e sussurrarglielo, ‘È lei’, a lui che in quel momento vedeva solo qualcuno con cui condividere la sua vita di cucciolone.
Entrambi si erano spesso chiesti come sarebbe stata la loro vita se avessero intrapreso quel passo.
Ora lo sapevano.
Rimanevano ancora quello che erano, in bilico fra l’infanzia e l’età adulta, in quella vasta terra di conflitto chiamata ‘adolescenza’, ma quando il cambiamento definitivo fosse arrivato, sapevano come lo avrebbero affrontato…
“PEANUT!!” L’eccitato latrato fece venire loro un coccolone, il pelo dritto come scope, e le code due bastoni, gli occhi a spillo. Peanut ebbe appena il tempo di voltare la testa, prima che una specie di obice peloso gli finisse addosso, schiacciandolo al suolo. Di solito, erano Sasha o Kevin a dedicarsi a queste…esternazioni. Vedere quella specie di cucciolotto con una macchia intorno all’occhio sinistro fu una mezza sorpresa per Peanut. “Ciao, Joey?”
Fu il turno di Joey di stringerlo con una forza insospettata. “Sei stato ipermegaultrafantastico, amico! Sono così fiero di te!” gli strofinò il pugno in mezzo alle orecchie. Aveva un ghigno degno di un gatto.
Grape si schiarì la gola. Pessima idea, perché il fratello minore di Fido e Bino si gettò a riservarle lo stesso trattamento. “E sei stata bellissimissima anche tu, Grapey! Awww, avrei tanto voluto esserci io al posto di questo cagnaccio fortunato!!”
La gatta lavanda se lo staccò a fatica di dosso. “Joey, ti credo, ma per favore, è lui il mio ragazzo, okay?
Joey rimase in ginocchio fra loro due. Scodinzolava freneticamente senza smettere quel sorriso, le mani giunte al petto e gli occhi enormi. Sembrava pronto a farsi adottare da loro. “Io… Noi vi dobbiamo così tanto, sapete? Oh, se da domani cambieranno due o tre cosette. Anzi, perché non fate una cosa? Venite domani alle 9 al parco pubblico. Ho preparato un evento proprio nel caso*Hmrphmm!*” la mano di Grape gli serrò brutalmente la bocca.
“Aspetta un secondo, botolo intrigante! Vuol dire che hai, come dire…scommesso su noi due?”
Joey annuì freneticamente. Stava diventando viola per la mancanza di ossigeno, ma non sembrava curarsene. Con un sospiro, Grape lo lasciò andare.
Joey riprese, facendo il mezzo offeso, le braccia incrociate al petto. “Hmph, mica era una ‘scommessa’, eravamo assolutamente sicuri su voi due! E domani celebreremo ritrovandoci per dichiararci al mondo. Resterai sorpresa,” chiosò, aggiungendo una strizzatina d’occhio. Poi si alzò in piedi, e rifece a Peanut quel gesto col pollice levato. “Ti amo, campione!” E corse via tutto eccitato.
Grape fulminò Peanut con un’occhiataccia delle sue, le orecchie basse e le vibrisse frementi. Peanut fu lestissimo a levare le mani come fossero scudi. “Giurochenoncenientefranoi!”
Grape sospirò. Indubbiamente l’aspettavano nuovi giorni interessanti… “Ehi, Sasha.”
Da quanto tempo quella femmina svampitella era lì, in piedi, a fissarli con gli occhioni caramella tutti lucidi? Appena Grape le ebbe rivolto la parola, lei si chinò fulminea fra loro e li serrò in uno dei suoi collaudati abbracci a tenaglia. “AWWWWW!!! Siete così TENERINI!” Poi li lasciò andare, e mentre i poveretti si assicuravano di avere ancora il collo attaccato alle spalle, aggiunse, “Vorrei che Bino mi baciasse così. O Fido. O King. O uno di quei bei cagnoni neri…”
“Grazie per l’incoraggiamento, Sasha,” fece la gatta. “E per le immagini che ci stai trasmettendo.”
La cagnetta scodinzolò. “Non c’è di che. E poi sei fortunata, Grapey: lui è così carino.”
Peanut arrossì violentemente. Non sembrava essersi mai accorto di quanti fan contasse nell’altro sesso. Difficile, del resto, considerando che aveva occhi e cuore solo per una di loro.
Sasha si alzò. “Be’, volevo solo dirvelo. Se volete passare da me per fare quattro chiacchiere, sapete dove trovarmi!” soffiò un bacio a Peanut e si allontanò ridacchiando come una scolaretta.
Grape sospirò. “Non mi dispiace che ci sia qualcuno che ci ammiri per quello che siamo, ma ammetto che mi sentirei meglio se fosse qualcuno del giro dei…” qualunque gaffe stesse per pronunciare le morì in gola col raschiar di gola dietro di loro.
“Spero non sia una festa privata. Ancora,” disse Max avvicinandosi alla coppia. “Quei due sono delle testematte, ma su una cosa hanno ragione. Siete stati grandi. Baci come un vero signore, Peanut Butter Sandwich, e cedo cavallerescamente le armi a chi mi è superiore.” E con ciò fece una profonda reverenza con tanto di braccio levato. “Persino la prima volta che mi guardasti negli occhi, bella principessa, non avevi la metà della passione che in te colgo ora. Ma sappi che è stato un onore ed un piacere potere almeno sperare di averti mia, almeno per un po’. Lasci a questo pirata delle memorie vezzose con cui dilettarsi negli anni della vecchiaia.” E ripeté l’inchino galante.
Grape quasi lo spinse a terra. “Ma piantala, attore che non sei altro! Se sapevi tutto fin dall’inizio, te la sei solo goduta a mie spese.”
I due maschi fecero tanto d’occhi. Max, dopo una pausa tremendamente imbarazzata, fece, le orecchie ancora basse, “Tu sapevi che io sapevo?”
“Se tu non lo avessi scoperto già allora,” rispose lei, alzandosi in piedi, “Avrei pensato molto male della tua intelligenza, dongiovanni felino. Ma allora io non giocavo con te, ero in un momento molto difficile, e a tuo modo hai saputo aiutarmi a prendere la giusta decisione. Anzi, ti ringrazio per non avere forzato la mano a nessuno di noi, per avere rispettato i miei sentimenti.”
Max arrossì lievemente, mentre si metteva una mano dietro le orecchie. “Heh, quando vuoi mia bella. Quindi…sempre amici?”
“Sempre amici. E spero tu non ti vergognerai di passare un po’ di tempo con me e Peanut. Magari in pubblico.”
Lui si ringalluzzì di colpo. “Scherzi? La regina del vicinato e i suoi due migliori maschietti? Saremo l’invidia di quel branco di comari!”
Grape posò un dito sul tartufo di Max. “Splendido. Domani alle 9, al parco pubblico, allora. Sembra che Joey abbia organizzato un evento per le coppie strambe.”
Il gatto nero accentuò il suo collaudato ghigno. “Una sfida tosta. Lo sai come farmi felice, mia bella.” Poi l’espressione baldanzosa lasciò il posto ad una più…timida, se un simile sentimento si potesse applicare ad una creatura come Max. A Grape ricordò tanto quelle espressioni tristi delle ‘grandi occasioni’, quando voleva davvero qualcosa da lei premendo i tasti giusti. Il briccone era un manipolatore nato, ma i suoi modi non erano mai irritanti. Forse certi suoi fini, ma non i mezzi…
“Dimmi, Maxie.”
Lui agitò leggermente la punta della coda al nomignolo che lei gli aveva riservato. “Be’, anche se un anno è già passato, c’era questo proposito, se ti ricordi, e…”
Grape ci pensò su un attimo. Di che proposito stava—ma certo! Il suo primo Yarn Ball, quando Maxie la tirò fuori dal suo guscio di cinismo per mostrarle che il mondo poteva anche non essere un brutto posto.
Lei, ancora persa nei suoi pensieri più cupi, se ne era uscita sperando che l’anno nuovo non fosse stato schifoso come il precedente.
Lui si era proposto di baciare una bella ragazza.
Grape si sentì arrossire. “Non lo hai ancora dimenticato?”
Max fece tutto il finto timidone, quando in realtà i suoi occhi luccicavano e aveva di nuovo un inizio di quell’espressione da furbetto… “Non avrei mai potuto dimenticarlo, lo sai. Allora? L’ultima occasione?”
Grape lanciò un’occhiata a Peanut, temendo di vederlo rabbuiarsi in un’espressione gelosa, o peggio afflosciarsi tutto come un cucciolo ferito. Lei si sentiva morire, quando lo feriva, anche se cercava sempre di mostrarsi forte.
Invece Peanut stava scodinzolando. Era tutto contento e guardava i due gatti come Sasha aveva guardato lui e Grape, prima. “Va tutto bene,” disse semplicemente, e niente in lui stava mentendo: era felice di avere un amico come Max, uno dei pochi che li avrebbe capiti per davvero, il loro vero angelo custode. Peanut se lo sentiva.
Max serrò Grape a sé come un vero Rodolfo Valentino dei gatti, e baciò Grape con una passione da fondere il cemento! La gatta, inizialmente sorpresa da tanta veemenza, si sciolse praticamente nelle braccia di Max, mugolando.
Peanut cominciò a sentirsi appena appena allarmato. “Grape..?”
Max si staccò, aiutandola a mettersi in ginocchio sull’erba. “Allora?”
Lei aveva due piattini al posto delle pupille. “Whammola.”
“Lo sai cosa ti perdi, adesso, hm?” fece lui più malizioso che mai.
Grape rispose riavvicinandosi a Peanut, che la strinse a sé, questa volta con lo sguardo un po’ più guardingo ed una smorfia buffa sul muso, anche se nelle sue intenzioni doveva essere di avvertimento. La gatta disse, “Lo so sì, ed è per questo che sono convinta più che mai di amare lui con tutta me stessa.”
Max fece un ultimo inchino. “Uno ci deve provare, miei cari. Passo a prendervi io, domani?” E si allontanò senza aspettare risposta.

Quando fu prossimo al vialetto che portava all’uscita, Max sbadigliò, stiracchiandosi sommariamente, e disse, “Lo so che sei lì, peste. Puoi farti vedere, adesso.”
Bino emerse dai roseti che circondavano il vialetto. Grape aveva ragione, ci sarebbe stato da lavorare molto per rimetterli in sesto. “Come puoi accettarlo?”
“Ho scelta, mon brave? Mi rode l’anima vedere Grape con...quel botolo. Ma è felice come se fosse il suo angelo, e se li separassi, se anche elaborassi un piano così perfetto e satanico da riuscirci senza che lei mi scoprisse, sarei solo riuscito a distruggere il suo stesso spirito.” Max aveva gli occhi lucidi, mentre fissava la falce di Luna che, come se anche il cielo si fosse ricordato di fare la sua parte, era la stessa ad avere testimoniato quel primo, fatale bacio alla fattoria… “E se ti permetti di separare quei due, Bino, sarò io a separare te.” Fletté il polso, e mostrò un set di artigli impressionanti. Il suo tono era casuale, quasi distratto, e ciò rendeva la minaccia – no, la promessa – ancora più sinistra. “In tante belle fettine. Pensa piuttosto a fare felice Sasha, ingrato che non sei altro: lei quasi respira per te, e tu stai qua a perdere tempo a roderti perché c’è una coppia strana in giro.” Detto ciò, si allontano, il passo non più tanto baldanzoso, e la schiena leggermente incurvata. Sii felice, principessa.

“Ti dispiace…ripetere?”
Dal palco, venivano le ultime note della cover di Peek-a-Boo dei Cosmo4, con la voce di Sasha unita a quella di Mizar. A giudicare dalle energie che ci stavano mettendo, la Project ReFur band tutto sembrava tranne che stanca.
Fido aveva pensato davvero di avere capito male, forse a causa della musica. Dopo essersi riposata qualche minuto, Sabrina era tornata ed ora eccoli lì dietro al palco, mentre gli applausi si scatenavano ancora una volta.
“Non ‘se’, ma quando vorrai dire di noi ai tuoi amici, amore mio, io sarò pronta. Ti sosterrò in qualunque tua decisione.”
Lui non credeva che avrebbe mai sentito simili parole provenire dalle labbra di lei. Sabrina era sempre stata così terrorizzata dall’idea che potessero venire separati a causa della loro relazione, e a poco erano valse le assicurazioni di Fido che gli umani trovavano normalmente molto carine le relazioni interspecie fra i loro animali domestici…
Ma Fido non l’aveva aiutata. Aveva costruito la sua carriera con sacrifici e tanta passione, e alienarsi i suoi colleghi nell’unità cinofila di polizia avrebbe avuto conseguenze disastrose per il suo lavoro di poliziotto, e di conseguenza verso coloro che voleva proteggere…
Ma ora, vedere la sua amata così sicura di sé, così…tranquilla, come se finalmente la paura fosse diventata anche per lei solo un ricordo, rinnovò anche il suo, di coraggio. Fido accarezzò una guancia di Sabrina. “Ti ringrazio. Anche se non posso fare un simile annuncio così brutalmente davanti a tutti, proprio stasera, ti prometto che questa volta ci penserò molto attentamente. Nel caso, spero tu voglia venire a vivere da me.”
La nera gatta annuì. Doveva qualcosa a quell’intrigante di Tarot, sì… “Maipiù,” disse, baciandogli appena il naso, la cosa più scandalosamente pubblica che potesse permettersi viste le circostanze. Fido divenne un peperone, e la lasciò andare, mentre Martin diceva, “…E con il pezzo che state per ascoltare, la Project ReFur Band vi da la buonanotte! È stata una giornata fantastica, e sono sicuro che altre anche migliori seguiranno!” La folla approvò entusiasta. “Questa canzone, ancora una volta è dedicata a voi, cuori romantici. Non posso che fare a tutti voi i miei migliori auguri per una bella e lunga vita insieme! E ora, per concludere al meglio questa serata, lasciate che vi ripresenti la nostra eccezionale ospite d’onore, la bella Sabrina!
Fido sospirò, e si allontanò con discrezione.

Grape si sentiva la spalla sul punto di slogarsi. “Insomma, cosa ti prende adesso?” scattò, quando finalmente Peanut l’ebbe lasciata andare. Quando il cane si era accorto della canzone che stavano suonando, era stato come se fosse scattato un allarme nella sua testolina. “Ocielocielocielo me ne stavo scordando!! Presto, vieni subito!” aveva detto come un bianconiglio sotto caffeina, e praticamente l’aveva tirata di nuovo verso il palco. Era decisamente nel panico, ma cosa poteva esserci che non andava? A quel punto, la serata era praticamente perfetta, memorabile, indimenticabile, mentre adesso…
Martin stava annunciando la fine dell’evento, quando Peanut, fendendo in due la folla, era arrivato appena in tempo per vedere Sabrina che saliva sul palco. Molti nella folla gli lanciarono occhiate fra il diffidente e il disgustato, ma lui le ignorò tutte. “Scusami,” disse invece a Grape, per poi ricomporsi rapidamente mentre le bacchette della batteria davano l’attacco.
Peanut riprese la sua amata gatta fra le braccia come aveva fatto prima, e lanciò uno sguardo riconoscente a Martin.
L’uomo si allontanò mentre sul palco, la chitarra di Mizar e la voce di entrambe le femmine si univano in una melodia angelica che Grape riconobbe all’istante. La gatta lavanda si sentì svenire dall’emozione, gli occhi divennero due specchi lucidi. “La mia canzone preferita. Te…te lo sei ricordato.”

Are you goin' to Scarborough Fair? Parsley, sage, rosemary, and thyme.
Remember me to one who lives there, she once was a true love of mine.


Peanut le mostrò quel sorriso caldo come il sole. “Ti amo, Jellybelly.”
“Hmm,” lei si rannicchiò tutta contro di lui. “Ti amo, sciocco botolo.”


The Beginning…
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valerio
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by valerio »

Well, this concludes what I call the prelude to the 'new days' in my Housepets! fanfic.
4 days to write down what I've had in mind for some time and that, thanks again to the inspiration provided by Sinder and Two-Twig, is the prelude to a whole series.
I've really, really enjoyed this experience and hope the next stories will be as good. There are so many open questions and possibilities to explore and never enough time... *sigh* I can't promise frequent updates such as with this story, for I am running ten Marvel fanfic series, not to mention other trifle activities such as sleep and food and my lovable pets (they became quite jealous of the PC, these days, heh). But I'll make most definitely sure to give you a regular update. In the meantime, I hope you can find the time to better translate what I've written so far.
Thank you for your appretiation. See ya soon on these pages!
And a big thank you to Rick Griffin for giving us the universe of Housepets!
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IceKitsune
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by IceKitsune »

Yay! That was a great ending I loved it so much. Thank you so much for the story valerio. :D :mrgreen: It was a great story and I can't wait to see more from you in the future. By the way were can I find your Marvel fanfics?
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Barkeron
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by Barkeron »

Great fic. Well done. However, the translator kept throwing me off but i was able to understand it. I had skimmed through the story and I say, nicely put together there. I going to go back and read it again later.
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Cerberusx
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by Cerberusx »

Yo valerio. Why don't you use the google translator, to translate it and fix the parts that need to sound right.
"Living is Hard Dying is Easy"

"The longer you stare into the abyss, the hard it is to find a reasons to turn back."
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by valerio »

Cerberusx wrote:Yo valerio. Why don't you use the google translator, to translate it and fix the parts that need to sound right.
1) NOT enough time
2) other projects I am working on, including the very HP series

Believe me, comrade, I am truly sorry for this inconvenience. I hope you can use the translabot as Icekitsune did and enjoy it all the same.
When I win the lottery, I will buy myself the services of a professional :mrgreen:
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by Cerberusx »

valerio wrote:
Cerberusx wrote:Yo valerio. Why don't you use the google translator, to translate it and fix the parts that need to sound right.
1) NOT enough time
2) other projects I am working on, including the very HP series

Believe me, comrade, I am truly sorry for this inconvenience. I hope you can use the translabot as Icekitsune did and enjoy it all the same.
When I win the lottery, I will buy myself the services of a professional :mrgreen:
Wait...Icekitsune translated?
"Living is Hard Dying is Easy"

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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by IceKitsune »

Cerberusx wrote:
valerio wrote:
Cerberusx wrote:Yo valerio. Why don't you use the google translator, to translate it and fix the parts that need to sound right.
1) NOT enough time
2) other projects I am working on, including the very HP series

Believe me, comrade, I am truly sorry for this inconvenience. I hope you can use the translabot as Icekitsune did and enjoy it all the same.
When I win the lottery, I will buy myself the services of a professional :mrgreen:
Wait...Icekitsune translated?
I used Google Translation and set it to translate from Italian to English then Copy Pasted the chapters into it. As I said before the translation is not really that great but Its readable and barring a few problems very easy to understand.
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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

Post by Cerberusx »

IceKitsune wrote: I used Google Translation and set it to translate from Italian to English then Copy Pasted the chapters into it. As I said before the translation is not really that great but Its readable and barring a few problems very easy to understand.
So were did you post it mate?
"Living is Hard Dying is Easy"

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Re: Housepets: La ballata dei nuovi giorni - updated

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Cerberusx wrote:
IceKitsune wrote: I used Google Translation and set it to translate from Italian to English then Copy Pasted the chapters into it. As I said before the translation is not really that great but Its readable and barring a few problems very easy to understand.
So were did you post it mate?
I didn't sorry I just read it off of that translator.
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